Il caso della donna invalida al 100 per cento detenuta nel carcere di Torino
Soffre di schizofrenia e per due volte ne è stata ordinata la liberazione, ma è ancora lì ed è assistita solo dalle compagne di cella

Il quotidiano La Stampa si sta occupando da alcune settimane della situazione di una donna di 50 anni che è stata dichiarata invalida al 100 per cento, che ha una diagnosi di schizofrenia e che, nonostante questo, continua ad essere detenuta al carcere Lorusso e Cutugno di Torino. Il tribunale di sorveglianza, stabilendo che la donna «non è pericolosa socialmente», ne ha ordinato due volte il trasferimento in una comunità sanitaria: trasferimento che per la mancanza di posti non è ancora avvenuto. La Corte di Cassazione e la Corte europea per i diritti umani hanno ribadito più volte, in varie sentenze, che le persone gravemente malate non possono stare in carcere.
Secondo quanto ne scrivono i giornali la donna al centro della vicenda era entrata nel carcere di Torino a novembre con una condanna pari a un anno e nove mesi per furto. Viste le sue condizioni di salute mentale, i suoi legali avevano subito scritto al tribunale di sorveglianza per chiedere che alla detenuta venissero concessi i domiciliari (il tribunale di sorveglianza è quello che decide sulle richieste di pene alternative di detenute e detenuti).
Il giudice ne aveva ordinato la scarcerazione e la donna era uscita nel tardo pomeriggio del 28 dicembre. Il giorno dopo aveva violato i domiciliari ed era stata nuovamente arrestata dai carabinieri. Dopo meno di 48 ore dalla sua liberazione, la donna era dunque tornata in carcere. Al tribunale di sorveglianza era stata presentata una seconda istanza di liberazione, nuovamente accolta.
Il problema sono però i posti a disposizione: Sergio Rovasio, presidente dell’associazione Marco Pannella, ha spiegato che per persone come la donna al centro della storia, una paziente psichiatrica che deve finire di scontare una pena, al momento non ce ne sono: «Alle Vallette (nome con cui è conosciuto il carcere Lorusso e Cutugno di Torino, ndr) esiste una nuova struttura psichiatrica ristrutturata da poco, ma c’è posto solo per i maschi». Questa sezione del carcere può accogliere 22 persone. Attualmente la donna si trova in una cella comune ed è assistita da due compagne. Secondo quanto raccontato dai suoi avvocati le sue condizioni di salute mentale e fisica stanno visibilmente peggiorando giorno dopo giorno.
Il carcere di Torino è uno degli istituti più grandi del Piemonte e ospita al proprio interno tutti i circuiti detentivi ad eccezione del 41-bis. L’istituto, secondo l’associazione Antigone, che si occupa dei diritti delle persone detenute, risulta continuamente sovraffollato: ha una presenza media pari a circa 1.450 persone detenute su poco più di 1.000 posti disponibili. Nella sezione femminile ci sono 85 posti e 108 detenute.
Sempre secondo gli ultimi dati diffusi da Antigone, nel 2023 nelle carceri italiane il 12 per cento delle persone detenute (quasi 6mila) aveva una diagnosi psichiatrica grave (l’anno precedente era pari al 10 per cento). Il 19,7 per cento assumeva stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi, e il 40 per cento sedativi o ipnotici. Scorporando i numeri per genere, risulta che il disagio psichico sia maggiore tra le donne detenute piuttosto che tra gli uomini.
Gli spazi interni al carcere per il trattamento delle patologie psichiatriche, soprattutto nella fase più acuta, sono chiamati Articolazioni per la Tutela della Salute Mentale (ATSM): in Italia sono 32, collocati in 17 istituti penitenziari, uno per regione, e dunque insufficienti. Gli ultimi dati, sempre dell’associazione Antigone, dicono che nelle carceri italiane lavorano 9,14 psichiatri ogni 100 detenuti e 19,8 psicologi ogni 100 detenuti.



