Una delle più gravi stragi di migranti nel Mediterraneo di cui siamo a conoscenza
Il 18 aprile 2015 un vecchio peschereccio con più di 600 persone a bordo naufragò a 100 chilometri dalle coste libiche: si salvarono in pochissimi

Nella notte tra il 18 e il 19 aprile 2015 un vecchio peschereccio su cui viaggiavano almeno 600 persone migranti, secondo alcuni circa un migliaio, affondò nel Mediterraneo centrale circa 200 chilometri a sud di Lampedusa. Fu uno dei più gravi naufragi di migranti avvenuti nel Mediterraneo di cui si abbia notizia. Ma anche quello per cui venne organizzata la più grande operazione mai condotta dopo una strage di migranti: poco più di un anno dopo il naufragio, il peschereccio venne recuperato a quasi 400 metri di profondità e i resti umani al suo interno furono sottoposti ad autopsia per raccogliere dati sulle persone a bordo e permettere un eventuale riconoscimento futuro da parte dei parenti.
Anche per questa ragione, oltre che per il numero altissimo di persone morte e il contesto in cui avvenne, il naufragio del 18 aprile 2015 attirò molte attenzioni e i quotidiani italiani ne parlarono per giorni.
Il peschereccio era partito da un porto del nord-ovest della Libia, vicino a Zuara: oltre che vecchio era piuttosto malmesso e carico ben oltre il previsto, come succede spesso con le imbarcazioni su cui i trafficanti di esseri umani fanno salire i migranti che cercano di raggiungere l’Europa via mare. Intorno alla mezzanotte le persone a bordo inviarono una richiesta di aiuto alla Guardia costiera italiana usando un telefono satellitare che gli era stato dato dai trafficanti. Il Comando generale della Capitaneria di porto rispose inviando sul luogo dell’incidente una nave mercantile portoghese che si trovava relativamente vicina, la King Jacob.
Secondo le testimonianze dell’equipaggio del mercantile e dei pochi sopravvissuti, vedendo la nave avvicinarsi una parte dei migranti si spostò su un lato del peschereccio, che si sbilanciò e si capovolse. L’equipaggio della King Jacob riuscì a soccorrere solo 28 persone. Successivamente molte altre navi (altri mercantili e pescherecci di passaggio, oltre a imbarcazioni delle marine italiana e maltese) parteciparono ai tentativi di soccorso, senza però trovare altre persone vive. Alcuni corpi furono trovati in mare, ma la maggior parte affondò insieme al barcone.
Il naufragio del 18 aprile accadde in un periodo in cui i naufragi di imbarcazioni di migranti stavano aumentando. Proprio quel giorno il Post pubblicò un articolo che parlava di questo aumento raccontando estesamente di un altro grande naufragio avvenuto nel Mediterraneo centrale appena sei giorni prima.
Erano i primi mesi di attività di Triton, un’operazione promossa e finanziata da Frontex – l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera – che aveva preso il posto dell’operazione italiana Mare Nostrum.
Mare Nostrum era stata organizzata dal governo di centrosinistra guidato da Enrico Letta dopo il naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, in cui morirono 368 persone. Il suo obiettivo era unicamente quello di soccorrere i migranti in pericolo e per questa ragione venne criticata moltissimo dalla destra italiana, che la riteneva troppo costosa nonché un fattore di attrazione per i migranti (quest’ultimo elemento non è mai stato provato).
Il governo italiano di centrosinistra che sostituì Letta, guidato da Matteo Renzi, reagì alle critiche chiudendo Mare Nostrum e facendo pressioni affinché nascesse una missione diversa. Lo scopo ufficiale di Triton (che sarebbe durata fino al 2018) era invece la semplice sorveglianza delle frontiere: era un’operazione meno estesa per numero di navi e area sorvegliata, e ovviamente più economica. Per questo, secondo gli esperti di migrazioni, tra la fine del 2014 e i primi mesi del 2015 il numero di migranti morti in mare aumentò rispetto al periodo appena precedente. All’epoca, peraltro, nel Mediterraneo centrale non era ancora attiva nessuna nave delle ong che si occupano di ricerca e soccorso di migranti.
Il numero di migranti morti nel Mediterraneo centrale sarebbe aumentato ancora di più nel 2016, quando si stima che furono almeno 4.574. Secondo le stime dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, l’agenzia dell’ONU che si occupa di migranti, il numero di migranti morti attraversando questo tratto di mare non ha più raggiunto le cifre di quegli anni, anche grazie al lavoro delle ong (intervenute proprio per colmare il vuoto lasciato da Mare Nostrum).
A bordo del peschereccio affondato il 18 aprile 2015 c’erano persone provenienti da molti paesi dell’Africa subsahariana, tra cui Senegal, Mali, Mauritania, Eritrea, Sudan, Guinea Bissau, Somalia e Costa d’Avorio, ma anche dalla Siria e dal Bangladesh. Non conosciamo con precisione il loro numero perché non fu possibile recuperare tutti i corpi delle persone annegate, ma secondo le testimonianze dei sopravvissuti a bordo c’era circa un migliaio di persone. Secondo le stime degli antropologi forensi che hanno analizzato i resti umani trovati nel barcone più della metà delle persone a bordo del barcone avevano meno di 30 anni.
Tra loro c’era un quattordicenne originario del Mali che aveva con sé una pagella scolastica. Cristina Cattaneo, la nota medica legale che dirige il Laboratorio di antropologia e odontologia forense (Labanof) dell’Università Statale di Milano e che guidò il grande gruppo di ricerca che si occupò delle autopsie dei resti trovati nel barcone, raccontò del ritrovamento della pagella nel suo libro Naufraghi senza volto, uscito alla fine del 2018. La storia ebbe una grande attenzione anche per la vignetta ispirata al ragazzino disegnata da Makkox e pubblicata sul Foglio.
– Leggi anche: Stiamo ancora cercando di identificare i migranti morti nel naufragio di Lampedusa del 2013



