Perché le regioni e il governo litigano sulle liste d’attesa

Gira tutto intorno ai provvedimenti che il ministero della Salute vorrebbe attuare in caso di esami e visite a rilento

Due letti in un ospedale italiano
(Stefano Porta / LaPresse)
Caricamento player

Giovedì nella conferenza tra Stato e regioni, l’assemblea in cui il governo si confronta con i presidenti regionali, non è stato trovato un accordo sul decreto ministeriale per ridurre le liste d’attesa di visite ed esami medici. Da mesi governo e regioni litigano su questo provvedimento, che tra le altre cose prevede la cosiddetta attuazione dei poteri sostitutivi, una sorta di commissariamento della sanità regionale quando non vengono rispettati determinati obiettivi: secondo le regioni, che in Italia hanno gran parte delle competenze sulla sanità, l’ipotesi di un commissariamento è un’ingerenza eccessiva dello Stato sui loro poteri. Il governo sostiene invece che i poteri sostituiti siano necessari per risolvere uno dei problemi più sentiti dalle persone, alle prese con tempi lunghissimi per farsi visitare.

Il decreto ministeriale serve a rendere operativo il piano sulle liste d’attesa approvato dal governo l’estate scorsa e per la maggior parte rimasto inattuato proprio per i litigi con le regioni. Il piano prevede tra le altre cose la creazione di una piattaforma nazionale delle liste d’attesa, un sistema per controllare che le regioni rispettino le priorità indicate sulla ricetta. Un’altra misura riguarda i centri di prenotazione regionale, che dovranno comunicare alle persone i tempi di attesa sia degli ospedali pubblici che di quelli privati accreditati.

– Leggi anche: Le gravi conseguenze delle lunghe liste d’attesa negli ospedali

Negli ultimi mesi alcune regioni hanno iniziato a comunicare i dati al ministero per alimentare la piattaforma nazionale, ma proprio quei dati hanno convinto il governo che la situazione è pessima. A marzo il ministro della Salute Orazio Schillaci aveva mandato una lettera alle regioni per richiamarle proprio sulla gestione delle liste d’attesa. Aveva scritto che ci sono «troppe situazioni indegne» e di «pratiche opache» che ostacolano l’accesso alle cure. Dalle recenti ispezioni dei carabinieri per la tutela della salute (NAS) sono emerse gravi irregolarità nel 27 per cento delle strutture sanitarie.

Una delle irregolarità più note è la chiusura delle agende, cioè l’impossibilità di prenotare perché non c’è posto, nemmeno a mesi di distanza. Nonostante sia una pratica piuttosto diffusa, è vietata dalla legge: le strutture sanitarie pubbliche devono sempre avere a disposizione appuntamenti, anche a costo di rivolgersi a strutture private convenzionate a cui commissionare la prestazione che non si riesce a garantire.

Secondo il ministero, i poteri sostitutivi servirebbero solo in caso di gravi irregolarità perché spesso i controlli sulle liste d’attesa vengono fatti solo dopo l’intervento dei NAS o di servizi giornalistici. L’intervento del ministero avverrebbe attraverso un “Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria” pronto a subentrare quando vengono accertate continue irregolarità, come la chiusura delle agende di prenotazione.

Le regioni però sostengono che questi criteri non siano molto chiari, per cui hanno chiesto al governo di rinviare la discussione sul provvedimento per tentare una nuova mediazione. Secondo il presidente della Toscana Eugenio Giani il decreto è troppo discrezionale e anzi teme che il governo possa commissariare una regione su base politica e non tanto su criteri legati alle liste d’attesa. Anche i presidenti di destra sono contrari.

Ora il governo e le regioni hanno trenta giorni di tempo per trovare un accordo, dopo di che il governo potrà approvare il decreto ministeriale in autonomia, anche senza il consenso delle regioni, che però hanno già minacciato di appellarsi al tribunale amministrativo (TAR) contro il provvedimento e alla Corte costituzionale contro l’intromissione dello Stato in settori di loro competenza.

– Leggi anche: Stiamo privatizzando la sanità?