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  • Mercoledì 16 aprile 2025

I problemi del reato di “rivolta in carcere” introdotto dal governo

Il nuovo “decreto Sicurezza” limita molto la possibilità di protestare per i detenuti, anche nella forma non violenta della «resistenza passiva»

Il carcere minorile Beccaria di Milano, il giorno di una protesta dei detenuti, 29 Maggio 2024 
(Stefano Porta/LaPresse)
Il carcere minorile Beccaria di Milano, il giorno di una protesta dei detenuti, 29 Maggio 2024 (Stefano Porta/LaPresse)
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Martedì il presidente e il segretario regionale dell’Unione dei sindacati di polizia penitenziaria (Uspp) alla notizia della rivolta, poi sedata, nel carcere di Piacenza hanno chiesto l’immediata applicazione nei confronti dei detenuti coinvolti del reato di “rivolta in carcere”: è quello introdotto dal governo con l’approvazione del nuovo “decreto Sicurezza” entrato in vigore la scorsa settimana.

Il decreto, molto contestato, contiene diverse misure sulle forze di polizia, sull’ordinamento delle carceri, sull’ordine pubblico e in generale sulla pubblica sicurezza. E introduce tra le altre cose un numero eccezionale di nuovi reati, tra cui quello di «rivolta all’interno di un istituto penitenziario». Viene modificato il codice penale con l’aggiunta di uno specifico articolo, il 415-bis, che introduce un nuovo reato per una condotta che era già sanzionata dal codice penale all’articolo 415 («Istigazione a disobbedire alle leggi», con pene da 6 mesi a 5 anni di reclusione), e che ora il decreto aggrava ulteriormente aumentando la pena proprio nei casi in cui il fatto sia commesso in un carcere.

Con «rivolta» il decreto-legge si riferisce a quelli che definisce «atti di violenza o minaccia o di resistenza» agli ordini, compiuti da tre o più persone riunite con questo intento. Il decreto-legge prevede che queste persone, già detenute, siano punite con la carcerazione da uno a cinque anni, con pene più lunghe se la rivolta provoca lesioni personali, o morte, al personale penitenziario.

Il nuovo reato punisce con le stesse pene anche le «condotte di resistenza passiva», che a seguito di obiezioni del presidente della Repubblica il governo ha definito nella stesura finale della norma in maniera più precisa, ma comunque ampiamente soggetta a interpretazioni: tra queste condotte vengono incluse le azioni che «impediscono il compimento degli atti dell’ufficio o del servizio necessari alla gestione dell’ordine e della sicurezza» all’interno delle carceri. È una formulazione vaga e difficile da spiegare ulteriormente, anche perché ancora non è mai stata applicata.

Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, ha criticato questa norma perché non chiarisce quali siano le condotte materiali che costituirebbero il nuovo reato: «Non si capisce quali sono le azioni violente o non violente che determinano il meta delitto di rivolta. Ogni atto di violenza o minaccia o di resistenza attiva è infatti già perseguito dal codice penale. Cosa li trasforma in rivolta? Non è dato sapersi». Secondo Gonnella inoltre la norma violerebbe il «principio di offensività, in base al quale si possono prevedere delitti solo se ledono beni o interessi costituzionalmente rilevanti. Non si capisce quale sia il bene offeso da una protesta nonviolenta». Gonnella ha anche fatto notare che nella nuova legge non ci sono indicazioni sul fatto che gli ordini che si chiede ai detenuti di rispettare debbano essere legittimi.

Il reato di rivolta in carcere vale anche per i centri di trattenimento per i migranti irregolari, ad esempio i Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR), strutture detentive note per le documentate condizioni estremamente degradanti in cui vengono spesso mantenute le persone al loro interno, e in cui le proteste e le rivolte sono anche per questa ragione frequenti.

Il nuovo reato di rivolta è stato interpretato come una specie di risposta alle recenti e diffuse proteste delle persone detenute nelle carceri italiane dovute soprattutto alle pessime condizioni in cui gli istituti si trovano. Il fatto che vengano criminalizzate anche le proteste non violente aveva portato Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone, a chiedersi se d’ora in poi potrà essere perseguito anche lo sciopero della fame. Nel 2024 si sono verificati circa 1.500 episodi di protesta collettiva non violenta nelle carceri, come la battitura delle sbarre o il rifiuto di rientrare in cella. Gli strumenti a disposizione dei detenuti per protestare contro le loro condizioni ed esprimere una posizione di dissenso sono molto limitati.

– Leggi anche: Il “decreto Sicurezza” peggiorerà la situazione già gravissima delle carceri

Sempre martedì un altro sindacato della polizia penitenziaria, l’Uilpa, ha pubblicato un comunicato in cui nota che dopo la pubblicazione in gazzetta ufficiale del “decreto Sicurezza” sono aumentate le tensioni nelle carceri e in 4 giorni sono state almeno due le situazioni di disordine che la polizia penitenziaria ha dovuto affrontare: la prima domenica sera nella casa circondariale di Cassino, in provincia di Frosinone, e la seconda a Piacenza. Il sindacato ha scritto: «Anche a non voler attribuire alle due cose un rapporto di causa ed effetto, certamente le prime avvisaglie ci dicono che l’introduzione del reato, da sola, non ha alcuna efficacia nell’evitare i disordini, non solo perché punta tutto sulla repressione trascurando la prevenzione, ma soprattutto perché lascia immutata la gravissima emergenza carceraria in atto».

I “relatori speciali” delle Nazioni Unite, esperti indipendenti che si occupano di controllare categorie specifiche di diritti all’interno dei paesi, hanno inviato una nuova comunicazione al governo italiano invitandolo ad abrogare il decreto Sicurezza (lo avevano già fatto a dicembre, quando ancora molte norme di questo decreto dovevano essere approvate all’interno di un disegno di legge). Tra le norme problematiche del “decreto Sicurezza” segnalate dall’ONU c’è proprio il reato di rivolta in carcere e nei CPR, definito «restrizione inutile e sproporzionata del diritto di protesta pacifica e di espressione» delle persone detenute.