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  • Domenica 13 aprile 2025

In Ecuador si guarda al voto delle popolazioni indigene

Potrebbe decidere il ballottaggio delle elezioni presidenziali previsto per oggi, che sembra poter essere molto equilibrato

La candidata Luisa González con rappresentanti delle popolazioni indigene, il 30 marzo 2025 (AP Photo/Dolores Ochoa)
La candidata Luisa González con rappresentanti delle popolazioni indigene, il 30 marzo 2025 (AP Photo/Dolores Ochoa)
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In Ecuador domenica si vota per scegliere il presidente: al ballottaggio sono arrivati Daniel Noboa, presidente uscente di destra, e Luisa González, candidata di centrosinistra. Sono in una situazione di sostanziale pareggio: al primo turno la differenza era stata di 19mila voti in più per Noboa su 13,7 milioni di elettori (con voto obbligatorio). Insieme hanno preso oltre l’88 per cento dei voti. Quasi la metà dei rimanenti, 536mila, sono andati a Leónidas Iza, candidato di Pachakutik, partito che rappresenta le popolazioni indigene.

La campagna per il secondo turno, in un paese molto polarizzato fra due candidati con visioni quasi opposte del futuro dell’Ecuador, si è concentrata proprio sul “voto indigeno”. In Ecuador circa l’8 per cento della popolazione si identifica come indigena, pari a circa 1,3 milioni di persone. Il gruppo più numeroso è quello kichwa-quichua: vive principalmente nella regione chiamata Sierra Central, che è quella andina e attraversa da nord a sud il paese.

Pachakutik è l’espressione politica della Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador (CONAIE), fra le più potenti e radicate organizzazioni dei popoli nativi dell’America Latina. Qualche settimana fa Pachakutik aveva firmato a Tixan, nella provincia di Chimborazo, un accordo programmatico con González per garantirle il suo sostegno. Le due parti condividono un orientamento progressista e di sinistra.

Ma non è così semplice: il movimento indigeno è a sua volta diviso e parte della base non ha apprezzato la decisione dei leader del partito. Noboa per esempio ha fatto molta campagna elettorale proprio nelle regioni in cui il voto indigeno è più forte e ha tenuto un comizio nella stessa provincia di Chimborazo, quando ha promesso che la prossima Assemblea costituente avrà sede a Riobamba, proprio in quella zona. Noboa ha inoltre annunciato un piano di sviluppo del sistema idrico da 30 milioni di euro per la Sierra Central.

Sostenitori di Daniel Noboa a Pelileo (AP Photo/Dolores Ochoa)

Noboa è del partito Azione Democratica Nazionale, conservatore e liberista, ed è stato presidente 17 mesi, perché vinse in un’elezione straordinaria organizzata dopo le caotiche dimissioni del suo predecessore, Guillermo Lasso. È un imprenditore di una famiglia che ha fatto fortuna con l’esportazione delle banane, ha un approccio tutto basato sul libero mercato, sull’iniziativa privata e sulla riduzione dell’intervento e delle spese dello stato. Ha cercato e in parte ricevuto l’appoggio di Donald Trump e ha più volte auspicato anche un sostegno statunitense nella lotta ai narcotrafficanti. È accusato di avere tendenze autoritarie ed è stato impegnato in una lunga faida interna con la propria vicepresidente Verónica Abad, per cui è stato accusato anche di decisioni anticostituzionali.

González è la candidata di Revolución Ciudadana. Segue l’approccio classico della sinistra sudamericana, con un modello di stato forte e interventista, che però si scontra con un forte indebitamento dei conti pubblici dello stato. In politica estera è contrapposta a Trump e vicino ai governi di sinistra di Lula in Brasile e di Gustavo Petro in Colombia. Il suo partito è di fatto guidato a distanza da Rafael Correa, ex presidente (2007-2017) e ancora figura centrale della politica ecuadoriana, nonostante viva in esilio in Belgio dal 2022 per sfuggire a una condanna per corruzione (che denuncia come politicamente motivata)

Alla base del rifiuto di parte del movimento indigeno a un sostegno per González ci sono proprio le pessime relazioni passate fra Correa e la CONAIE: durante la presidenza Correa, ci furono varie mobilitazioni contro progetti di estrazione petrolifera e mineraria che portarono a una contrapposizione tra governo e comunità indigene, a una dura repressione da parte delle forze di sicurezza e alla criminalizzazione della protesta.

Soldati e sostenitori di González a Tixan (AP Photo/Dolores Ochoa)

Prima del primo turno delle elezioni presidenziali, e della rinnovata attenzione a Pachakutik, il dibattito sui temi economici e ambientali più legati al movimento indigeno era diventato marginale.

La discussione pubblica era tutta incentrata sulla questione della sicurezza: l’Ecuador ha oggi il tasso di omicidi più alto del Sudamerica, e vari gruppi criminali controllano aree sempre più grandi del paese. Impongono il pagamento del pizzo (che lì chiamano vacuna, vaccino) a ogni attività commerciale, praticano estrazioni minerarie illegali e soprattutto controllano il transito e la vendita della droga verso il Nordamerica e verso l’Europa. La “guerra totale” dichiarata da Noboa ha portato solo risultati molto parziali: la convinzione che sia necessario continuare dure politiche repressive è però condivisa da entrambi i candidati (l’unica cosa su cui i due hanno idee simili, anche se approcci diversi per realizzarle).

Daniel Noboa posa per un selfie a Pelileo (AP Photo/Dolores Ochoa)

I pochi voti di distacco fra i due candidati (almeno secondo i sondaggi, che in Ecuador non sempre sono stati affidabili) hanno aumentato attenzioni e accuse preventive su possibili brogli, arrivate da entrambi gli schieramenti.

Alle elezioni ci saranno 92mila osservatori, mentre la commissione elettorale su richiesta di Noboa ha vietato l’uso dei telefoni cellulari all’interno dei seggi. Il presidente ha sostenuto senza prove che Revolución Ciudadana garantisse pagamenti a chi poteva provare con una foto di aver votato per González. Chi entra nella cabina con il telefono può essere punito con una multa fino a 32mila dollari, chi lo fa con un’arma solo fino a 235.

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