Forse la cosa più difficile al mondo da fare con un verme

Un'iniziativa prova da anni a creare una simulazione al computer perfetta di uno degli animali più semplici e studiati che ci siano: potrebbe aprirci la mente

di Emanuele Menietti

(Bob Goldstein)
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Da quasi quattordici anni informatici, neurobiologi e semplici appassionati stanno provando a creare un clone digitale di un verme minuscolo, ma la loro impresa si sta rivelando più complicata del previsto. Le difficoltà sono tantissime, eppure non demordono: se ci riuscissero, dicono, la nostra comprensione del modo in cui interagiscono i neuroni verrebbe rivoluzionata, dandoci la possibilità di capire come il cervello comunica con il mondo e sviluppa il comportamento. Per ora, anche la sola simulazione dei movimenti del verme non va sempre liscia.

Disponendo da qualche anno di sistemi di intelligenza artificiale (AI) che rispondono alle nostre domande, generando testi e immagini, viene da chiedersi perché mai incaponirsi con la simulazione di un verme. Le AI come ChatGPT (OpenAI) e Gemini (Google) sono per lo più basate su modelli linguistici di grandi dimensioni: generano testi imparando da enormi quantità di dati, calcolando le probabilità che certe parole ne seguano altre in determinati contesti. In un certo senso sono degli ottimi imitatori, mentre la simulazione al computer di un essere vivente, come un verme, potrebbe portare alla creazione di una “vita digitale” che riproduce fedelmente il comportamento dell’organismo di partenza, basandosi sulle cose che sappiamo sulla sua biologia. Sarebbe il punto di partenza per scoprire nuove cose non solo sulle AI, ma anche sulla nostra mente, con grandi implicazioni filosofiche sullo stesso concetto di vita.

Il verme da simulare non è propriamente un verme, ma un nematode. A dirla tutta i “vermi” non esistono, è un modo che usiamo per descrivere animali anche molto diversi tra loro che non hanno zampe, sono cilindrici e si muovono strisciando o dando l’idea di farlo. L’oggetto della simulazione è Caenorhabditis elegans, un nematode che a differenza di altri animali di questo tipo non è un parassita e conduce una vita libera e autonoma. Benché un individuo adulto raggiunga appena il millimetro di lunghezza, C. elegans ha un ruolo enorme nello studio della vita. È un “organismo modello”, cioè una specie relativamente più semplice di altre e quindi ideale per studiare i fenomeni biologici comuni a più esseri viventi.

Nessun animale è di per sé un organismo modello, ma lo diventa quando uno o più umani decidono di approfondire la sua conoscenza. Nel caso di C. elegans quella decisione spettò al biologo sudafricano Sydney Brenner, uno dei più brillanti e importanti studiosi di genetica del Novecento.

Negli anni Sessanta Brenner aveva avuto un ruolo centrale nell’ipotizzare l’esistenza e parte dei meccanismi dell’RNA messaggero (mRNA), aiutando a spiegare come dalle informazioni contenute nel DNA si arrivasse alla produzione di proteine da parte delle cellule. Risolto quel mistero, Brenner passò ad altro e si dedicò alla ricerca di un organismo modello per lo studio dello sviluppo animale e in particolare di quello dei neuroni. Scelse C. elegans per vari motivi: è un organismo semplice, nasce e si sviluppa velocemente, è trasparente se osservato al microscopio e si presta bene alle analisi genetiche.

Brenner in pochi anni divenne il più grande esperto di C. elegans in circolazione e nel 1974 pubblicò uno studio ancora oggi considerato tra i più importanti nella descrizione di un organismo modello. Quasi tutti gli individui di questa specie sono ermafroditi (si riproducono quindi per conto proprio) e hanno sempre lo stesso numero di cellule: 959, di cui 302 di tipo nervoso. I loro neuroni sono organizzati e collegati tra loro nello stesso modo e possono essere mappati e tenuti sotto controllo. Ciò permette di avere una versione semplificata di un sistema nervoso, molto più facile da gestire e da analizzare rispetto a quella di altri animali tipicamente studiati in laboratorio, come i topi che hanno oltre 100 milioni di neuroni con un’alta variabilità nel modo in cui sono collegati tra loro.

Rappresentazione schematica di C. elegans (Wikimedia)

C. elegans, inoltre, si riproduce e cresce molto velocemente. In condizioni normali, il suo intero ciclo di vita dura circa tre giorni e ogni individuo produce centinaia di nuovi nematodi. Questo significa che si possono facilmente studiare più generazioni in poco tempo, confrontando le loro caratteristiche a seconda degli interventi di laboratorio, per modificarne il materiale genetico o altre caratteristiche.

Il lavoro su C. elegans valse a Brenner il Premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia nel 2002 insieme ad altri due importanti ricercatori, H. Robert Horvitz e John E. Sulston. Quando Brenner tenne il proprio discorso in occasione della consegna del premio ammise che mancava qualcuno alla cerimonia: «Senza ombra di dubbio il quarto vincitore del Premio Nobel di quest’anno è Caenorhabditis elegans, si meriterebbe tutti gli onori, ma – ovviamente – non potrà condividere la parte monetaria del premio».

Per moltissimi gruppi di ricerca, soprattutto quelli meno affezionati al moscerino della frutta (Drosophila melanogaster, un altro organismo modello), C. elegans è il compagno di laboratorio ideale per fare ricerca in molti ambiti della biologia legati soprattutto allo studio dello sviluppo degli organismi. Nella sua semplicità, mantiene il giusto livello di complessità per capire molte cose degli animali in generale, e probabilmente per questo nel 2011 ha indotto alcuni informatici a immaginare la possibilità di ricrearlo digitalmente.

La loro idea è confluita in OpenWorm, un’iniziativa che coinvolge decine di persone da diversi ambiti di ricerca e che segue un approccio che in biologia non è sempre praticabile: studiare il funzionamento di un organismo nel suo complesso, invece di concentrarsi su specifici organi o cellule. Per simulare fedelmente come si muove e si comporta C. elegans in un programma per computer occorre soprattutto sapere come funziona il suo sistema nervoso. E in questo il lavoro di Brenner si è rivelato prezioso, in particolare una sua ricerca di ben 340 pagine pubblicata nel 1986 e che descrive in grande dettaglio il funzionamento del sistema nervoso del suo nematode preferito.

Quello studio, che tra gli appassionati di neuroni viene spesso definito “la mente del verme”, è il risultato di tredici anni di lavoro di Brenner e dei suoi colleghi in un laboratorio di Cambridge, in Inghilterra. Fecero crescere e sezionarono migliaia di C. elegans fotografandoli al microscopio elettronico, costruendo via via una mappa dettagliata del sistema nervoso. Studi successivi, resi possibili da alcuni importanti avanzamenti tecnologici, permisero di rendere ancora più dettagliata la mappa, offrendo a OpenWorm un importante punto di riferimento su cui lavorare.

Recettori sensoriali evidenziati in una sezione di C. elegans (Philosophical Transactions of the Royal Society B)

Quando Stephen Larson, uno dei cofondatori, iniziò a lavorarci pensò che con il giusto gruppo di ricerca non sarebbe stato poi così difficile imitare digitalmente la biologia di C. elegans. A circa quattordici anni di distanza, la pensa diversamente: «Il progetto potrebbe essere una cattedrale. Se non avrò la possibilità di finirlo, qualcuno potrà usarlo per continuare a costruirci sopra». Larson ritiene comunque che i recenti progressi nei sistemi di intelligenza artificiale (AI) potrebbero portare a un’accelerazione del progetto.

Negli ultimi anni abbiamo imparato a conoscere le AI soprattutto in servizi commerciali come quelli offerti da OpenAI e Gemini, ma ci sono moltissimi ambiti della ricerca in cui i sistemi di intelligenza artificiale sono utilizzati per analizzare dati e scoprire andamenti, invece di generare testi o produrre immagini. OpenWorm non fa direttamente ricerca su C. elegans, ma utilizza le grandi quantità di informazioni sul suo conto prodotte nella letteratura scientifica. Le AI offrono l’opportunità di analizzare più facilmente i dati e derivare informazioni da inserire nei modelli matematici che in ultima istanza fanno funzionare la versione digitale del verme.

Simularlo alla perfezione non significa infatti crearne una versione verosimile, che si muove sullo schermo sinuosamente come fa l’originale e basta. L’obiettivo è di fare in modo che il C. elegans digitale funzioni esattamente come quello biologico. In un certo senso che sia un suo clone, per quanto formato da bit ed esistente solo attraverso una catena di 1 e di 0.

Tutte le 959 cellule di C. elegans sono state mappate e di buona parte di loro se ne conoscono le funzioni. Studiandole è stato possibile produrre modelli al computer che simulano il modo particolare che usa questo minuscolo animale per muoversi, strisciando sinuosamente grazie ai fasci muscolari che ricoprono il suo corpo. Il modello più elaborato descrive come il verme si muove in avanti in diversi tipi di materiali, ma non è utilizzabile per simulare i suoi movimenti all’indietro. Lo studio di come si muove è complicato dal fatto che C. elegans viene osservato quasi sempre quando è schiacciato tra due vetrini al microscopio e appare quindi come se fosse bidimensionale, rendendo difficile occuparsi dei suoi movimenti in tutte e tre le dimensioni.

Simulazione al computer dei movimenti di C. elegans (OpenWorm)

C’è poi la questione del perché C. elegans si muova in un certo modo, scelga di spostarsi e per fare cosa. Non possiede un cervello vero e proprio, ma qualcosa che gli somiglia: una struttura ad anello che avvolge la parte iniziale dell’esofago, nella testa del verme. È una sorta di centro di controllo che riceve i segnali sensoriali e coordina le risposte motorie. È la parte più difficile da studiare e analizzare per poterne creare una versione digitale, ma secondo diversi ricercatori è anche la chiave per risolvere l’intera questione.

Per provare a dare una nuova spinta al progetto, tra il 2023 e il 2024 un gruppo di 37 ricercatrici e ricercatori ha preparato e sottoscritto un documento con una proposta: studiare singolarmente ogni neurone misurando il modo in cui interagisce con gli altri 301. I vermi vengono modificati geneticamente, per esempio per fare in modo che uno specifico neurone produca una proteina sensibile alla luce o a una sostanza chimica, per poterne tracciare l’attività. Gli esperimenti devono essere poi ripetuti in parallelo centinaia di migliaia di volte per ricostruire tutte le interazioni, capendo quali eventi ne innescano o ne arrestano altri.

Un’iniziativa di questo tipo potrebbe richiedere dieci anni di lavoro, il coinvolgimento di decine di laboratori e molti milioni di euro per essere completata. Potrebbero essere necessari più di 200mila C. elegans e una quantità di dati senza paragoni nella storia della biologia, tutto per capire come funziona un singolo individuo lungo appena un millimetro. Non è chiaro chi potrebbe finanziare e coordinare una ricerca così ambiziosa, ma nel ricco settore delle intelligenze artificiali c’è un certo interesse per nuovi approcci da integrare alle tecnologie esistenti per renderle più efficienti.

Come ha scritto Claire L. Evans su Wired, potrebbe essere il Tamagotchi più sofisticato di sempre, nonché il più costoso, ma il risultato finale potrebbe essere una grande opportunità per l’avanzamento degli studi in biologia. Potrebbe offrire un nuovo modo di studiare e comprendere il funzionamento non solo di un sistema nervoso semplice, per quanto ancora inestricabile, ma anche di sistemi più complessi con diversi ordini di grandezza in più di neuroni. Potrebbe essere il primo passo verso la comprensione del funzionamento della mente umana, uno dei più grandi obiettivi della biologia stessa.

Una perfetta simulazione di C. elegans avrebbe inoltre non poche implicazioni filosofiche sul concetto stesso di vita. Un organismo che non esiste veramente, ma che si comporta esattamente come uno reale fino all’ultima delle sue molecole, è vivo? Per alcuni il confine dovrebbero essere le molecole che messe insieme costituiscono quell’individuo, per altri dovrebbe essere meno netto e orientato verso il risultato finale, cioè l’informazione. Quella che coinvolge un C. elegans reale sarebbe indistinguibile da quella di uno virtuale, quindi dove sarebbe la differenza tra le due entità?

Biologi e informatici sono tipi pratici e per ora invece delle riflessioni filosofiche si accontenterebbero di avere il loro verme che si muove da solo su uno schermo. Poterlo osservare mentre lo percorre da una parte all’altra e torna indietro, sapendo che i suoi 302 neuroni digitali hanno scelto di fare così.