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  • Giovedì 3 aprile 2025

L’Ungheria si ritirerà dalla Corte penale internazionale

Mentre è iniziata la visita nel paese del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, su cui pende un mandato di arresto emesso dalla Corte stessa

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e quello ungherese Viktor Orbán (sulla destra) durante una cerimonia a Budapest, Ungheria, 3 aprile 2025 (REUTERS/Bernadett Szabo)
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e quello ungherese Viktor Orbán (sulla destra) durante una cerimonia a Budapest, Ungheria, 3 aprile 2025 (REUTERS/Bernadett Szabo)

Il governo dell’Ungheria ha detto che lascerà la Corte penale internazionale, il principale tribunale internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. La decisione è stata annunciata nello stesso giorno in cui è iniziata la visita nel paese del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, su cui pende un mandato d’arresto emesso proprio dalla Corte per accuse di crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi durante l’invasione della Striscia di Gaza.

L’Ungheria riconosce la giurisdizione della Corte, e anche se il mandato d’arresto era stato molto contestato dal primo ministro ungherese Viktor Orbán teoricamente le autorità ungheresi avrebbero dovuto arrestare Netanyahu al suo arrivo nel paese. Era comunque chiaro fin da subito che non sarebbe successo, sia per la vicinanza tra Orbán e Netanyahu, sia perché la Corte non ha gli strumenti per obbligare gli stati membri a rispettare le sue decisioni. Infatti era già successo in passato, con altri leader e in altri posti: per esempio quando il presidente russo Vladimir Putin visitò la Mongolia nonostante il mandato d’arresto per le accuse di crimini commessi in Ucraina, ma non venne arrestato.

Attualmente della Corte penale internazionale fanno parte 125 paesi, tra cui tutti i membri dell’Unione Europea, di cui l’Ungheria diventerebbe l’unico a esserne escluso. Non la riconoscono invece, tra gli altri, né gli Stati Uniti né Israele. La decisione del governo ungherese non porterà comunque all’uscita immediata del paese: il processo burocratico e amministrativo dovrebbe impiegare diversi mesi. Dovrà inoltre passare dal parlamento, dove però Fidesz, il partito di estrema destra di Orbán, ha la maggioranza: è quindi improbabile che venga ostacolata.

Per il governo ungherese e gli altri critici del mandato di arresto a Netanyahu le accuse sarebbero pretestuose e influenzate dalle posizioni ideologiche della Corte: lo ha ribadito giovedì il capo dello staff dell’amministrazione di Orbán, Gergely Gulyás, spiegando i motivi per cui il governo ha deciso di lasciarla. Secondo Gulyás «l’incriminazione di Benjamin Netanyahu è l’esempio più triste» della politicizzazione del tribunale.

Nel mandato d’arresto la Corte disse di aver riscontrato «ragionevoli motivi» per credere che Netanyahu (e il ministro della Difesa Yoav Gallant) abbiano la responsabilità penale per aver usato la privazione dei beni di prima necessità come arma di guerra, e che siano responsabili di omicidio e persecuzione della popolazione della Striscia di Gaza. Dall’inizio dell’invasione sono state uccise più di 50mila persone (secondo alcune stime anche oltre 60mila); sono stati distrutti tra il 60 e il 70 per cento degli edifici della Striscia; Israele ha più volte bombardato luoghi che aveva in precedenza indicato come sicuri e ha ostacolato regolarmente l’accesso di cibo, acqua, elettricità e altri beni di prima necessità.

La posizione del governo di Orbán nei confronti della decisione della Corte – un organo indipendente della giustizia internazionale e in teoria riconosciuto dalle istituzioni ungheresi – è soltanto uno dei tanti esempi dello scontro sempre più evidente tra la magistratura e i partiti populisti e di estrema destra. L’argomento usato da questi politici (e da molti altri in questi giorni) contrappone il consenso popolare allo stato di diritto e sostiene, semplificando, che quando un leader politico eletto è condannato o accusato di un reato, vengono danneggiati anche i diritti democratici dei suoi elettori.