L’NBA ha un problema con le squadre che perdono apposta
In questa stagione ci sono più casi evidenti di “tanking” rispetto al solito

Nel principale campionato di basket nordamericano, l’NBA, mancano poche partite alla fine della stagione regolare, al termine della quale si stabiliscono le sedici squadre che giocheranno nei playoff (la fase decisiva del torneo). Da qualche anno le classificate dal settimo al decimo posto nelle due conference, i gironi in cui si divide l’NBA, giocano una specie di preliminare, chiamato Play-In, che decide le ultime due qualificate ai playoff: significa che venti delle trenta squadre totali sono in qualche modo coinvolte nella seconda parte di stagione.
Per le restanti dieci, invece, classificarsi nella peggior posizione possibile può essere un discreto vantaggio per il modo in cui è organizzato il draft, cioè la selezione dei nuovi giocatori per la stagione successiva di NBA (ci arriviamo). È sempre stato così e in genere viene quindi accettato, o comunque tollerato, che le squadre peggiori del campionato a un certo punto comincino a non impegnarsi troppo nelle ultime partite della stagione regolare, per darsi maggiori possibilità al draft. In questa stagione però la cosa sta sfuggendo un po’ di mano.
Diversi commentatori ed esperti hanno fatto notare che alcune squadre lo stanno facendo in modo abbastanza spudorato, e soprattutto che sono in troppe a farlo, e questo causa problemi alla competitività del campionato. Una persona che lavora per l’NBA ha detto al sito sportivo ESPN che al momento nove squadre (su trenta) stanno tankando; tankare è un calco italiano del verbo to tank, usato negli sport statunitensi per definire la pratica di perdere di proposito con l’obiettivo di provare a vincere in futuro. Il sito specializzato The Ringer si è chiesto se questa sia la peggior stagione nella storia dell’NBA da questo punto di vista.
In questo momento gli Utah Jazz, i Washington Wizards e i Charlotte Hornets sono le squadre con il peggior record vittorie-sconfitte, e quindi meglio posizionate per avere le prime scelte al draft
Per capire perché le squadre sono portate a tankare bisogna aver presente come funziona il draft, l’evento in cui in estate le squadre dell’NBA selezionano dal campionato universitario statunitense oppure dai campionati stranieri i nuovi giocatori. Al draft è molto importante l’ordine di scelta, soprattutto all’inizio: la squadra che ottiene la prima scelta assoluta, per dire, può selezionare il giocatore che ritiene più forte o adatto a essa anticipando tutte le avversarie; e poi via via le altre scelgono un giocatore a testa, fino a che ricomincia il giro.
Per rendere il campionato più competitivo e vario, al draft dell’NBA (e in generale nelle principali leghe sportive statunitensi) viene data da sempre la precedenza alle squadre che non si sono qualificate per i playoff. L’ordine di scelta viene deciso con un sorteggio (la cosiddetta lottery) nel quale più le squadre sono andate male l’anno prima, più hanno possibilità di piazzarsi meglio in vista del draft: le tre peggiori del campionato precedente hanno la probabilità più alta di ottenere la prima scelta, cioè il 14 per cento ciascuna. Chi ci riuscirà, sceglierà probabilmente Cooper Flagg dalla squadra universitaria Duke Blue Devils, considerato uno dei giocatori più promettenti degli ultimi anni.
A marzo l’NBA ha multato per centomila dollari gli Utah Jazz, una delle peggiori squadre di questa stagione (hanno perso 60 partite su 76 finora), per non aver fatto giocare Lauri Markkanen nonostante non fosse infortunato o indisponibile. L’NBA considera Markkanen una “star”, perché due anni fa aveva partecipato all’All Star Game, e secondo gli organizzatori Utah non l’ha fatto giocare di proposito per diminuire le proprie possibilità di vittoria, contravvenendo alla player participation policy della lega.
Questo caso è l’unico sanzionato quest’anno, ma ce ne sono altri abbastanza palesi. In diverse occasioni l’allenatore dei Toronto Raptors ha tolto dal campo i giocatori titolari nei momenti decisivi delle partite: nella recente partita contro i Washington Wizards (16 vittorie e 59 sconfitte finora), entrambe le squadre hanno giocato l’ultimo quarto con i panchinari in campo. I Philadelphia 76ers erano partiti con discrete possibilità di classificarsi nelle prime posizioni, ma le cose sono andate peggio del previsto e di recente stanno quasi dichiaratamente tankando: hanno perso le ultime nove partite consecutive e 24 delle ultime 28, alcune delle quali contro le peggiori squadre del campionato.
Cooper Flagg sembra in effetti un buon motivo per tankare
Philadelphia peraltro è stata nelle passate stagioni un esempio di tanking eseguito quasi ad arte: tra il 2013 e il 2016 giocò tre stagioni pessime, in cui vinse rispettivamente 19, 18 e 10 partite su 82 (fu creato lo slogan trust the process, fidatevi del processo, per spiegare ai tifosi che quelle stagioni disastrose facevano parte di un piano). In questo modo ottennero per quattro anni consecutivi una delle prime tre scelte assolute al draft, con cui selezionarono giovani molto forti e ambiti come Joel Embiid e Ben Simmons. Negli anni successivi diventarono una squadra competitiva, da più di 50 vittorie in stagione, anche se Simmons andò abbastanza male e non riuscirono mai a superare le semifinali di conference ai playoff.
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Non sempre comunque tankare funziona, in parte per l’aleatorietà della lotteria e della selezione dei nuovi giocatori, che possono dimostrarsi scelte azzeccate o invece sbagliate o poco funzionali alla squadra, e in parte perché le squadre che cominciano a perdere di proposito a volte non hanno progetti definiti e lungimiranti per il futuro, e quindi faticano a costruire qualcosa intorno ai giovani giocatori che arrivano. Giocare una stagione in cui si perdono 60, 70 partite può avere inoltre conseguenze negative anche a livello psicologico, per una squadra e i suoi giocatori.
I migliori e peggiori casi di tanking in NBA
Per l’NBA è difficile contrastare i casi più evidenti di tanking (a parte quando chi lo fa ammette di farlo) senza cambiare il meccanismo di funzionamento del draft. Il problema è ci sono alcune squadre che hanno smesso di impegnarsi nel tentativo di posizionarsi più in basso possibile in classifica, e altre che hanno un po’ rallentato il ritmo perché già sicure di un buon piazzamento, con l’obiettivo quindi di riposarsi un po’ per i playoff. Da ormai un mese quindi ci sono tante partite poco competitive, in un contesto già non sempre così agonistico come quello della regular season, che è molto lunga (82 partite, appunto) e nella quale quindi le squadre non mettono il massimo dell’impegno in ciascuna partita.
In diversi articoli scritti di recente sul tema, The Athletic ha parlato di «corsa al ribasso più serrata che mai» e ha messo insieme alcune soluzioni che l’NBA potrebbe adottare per contrastare questa pratica, e rendere di conseguenza più entusiasmanti per il pubblico (e per i giocatori) le ultime partite della regular season. Si è parlato per esempio di una riduzione del numero totale di partite, per rendere più significative quelle che si giocano e più difficile accumulare distacchi molto ampi e irrecuperabili in classifica, ma anche per dare meno pretesti agli allenatori per non far giocare i migliori cestisti. La maggior parte dei cambiamenti comunque riguarderebbe il funzionamento del draft: quelli più drastici (e meno praticabili) ipotizzano addirittura l’abolizione del draft o almeno della lotteria, dando quindi le stesse possibilità di avere le scelte migliori a tutte le squadre (o solo a quelle escluse dai playoff).
In realtà già il Play-In, introdotto nel 2021, aveva l’obiettivo di ridurre il numero di squadre indotte a tankare, perché prima si qualificavano per i playoff le prime otto, mentre ora fino al decimo posto si ha una possibilità di accedere alla seconda parte della stagione. In questo modo si pensava che più squadre avrebbero provato a competere fino alla fine, ma per il momento non è così, come dimostra la classifica della Eastern Conference di quest’anno, con un distacco abbastanza netto tra il decimo e l’undicesimo posto.
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