Come le città stanno provando a migliorare la percezione di sicurezza delle donne

In molte per la paura rinunciano ad attività nel tempo libero e anche ad alcuni lavori: in Italia e altrove sono stati fatti degli esperimenti

(REUTERS/Jason Lee)
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Nel 2012 il comune di Umeå, in Svezia, doveva costruire un sottopassaggio per collegare la stazione centrale con un quartiere residenziale a nord e il centro città a sud. Per progettarlo, scelse di adottare una prospettiva di genere, tenendo cioè in conto le esigenze specifiche delle donne, che comunemente e storicamente segnalano una maggiore paura degli uomini a camminare per strada di notte.

Si chiama Lev! ed è diverso dai sottopassaggi a cui siamo abituati, bui, stretti e desolati: è largo e ha un soffitto alto, cosa che permette alla luce di entrare; garantisce una visibilità ampia, e ha un marciapiede e una pista ciclabile separati dalla corsia delle macchine, per permettere a chi si sposta in bici e a piedi (spesso donne) di non sentirsi in balia del traffico. Il comune affidò a un collettivo artistico la realizzazione di una serie di installazioni che danno l’impressione di un luogo curato e non abbandonato, cosa che normalmente fa sentire le persone più tranquille.

Il sottopassaggio di Umeå è una delle tante applicazioni pratiche dell’urbanistica di genere, cioè la materia che studia come rendere le città più vivibili per le donne e le minoranze di genere. La loro prospettiva è stata storicamente esclusa dalla progettazione della maggior parte delle città, prima di tutto perché per decenni non erano rappresentate nei luoghi in cui venivano prese le decisioni. Inoltre per molto tempo nessuno ha raccolto le loro esperienze per trasformarle in dati, come è invece sempre stato fatto con gli uomini, che per secoli sono stati una sorta di genere neutro, archetipo dell’intera umanità. Lo spiega la giornalista britannica Caroline Criado Perez nel suo libro di grande successo Invisibili.

L’uscita del sottopassaggio Lev! di Umeå, in Svezia (Mickeno, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons)

«Ci sono donne che tremano in uffici la cui temperatura è regolata in base alle esigenze maschili, altre che devono fare acrobazie per raggiungere un ripiano comodissimo per un uomo di statura media, ma troppo alto per loro» scrive Perez. «Sono cose antipatiche, di sicuro anche ingiuste, ma almeno non si rischia la pelle. Non è come avere un incidente su un’auto con dispositivi di sicurezza che non tengono conto delle misure femminili. Non è come avere un attacco di cuore che non viene diagnosticato perché i sintomi sono considerati “atipici”».

La differenza tra uomini e donne nella percezione di sicurezza cambia in base al paese, ma ha proporzioni simili in ogni parte del mondo. In Italia per esempio, secondo un’indagine dell’Istat, il 19,5 per cento delle donne non esce di casa dopo il tramonto perché ha paura, quattro volte di più rispetto agli uomini (5,3%). Le conseguenze non riguardano solo il tempo libero: succede che le donne che si sentono poco sicure rifiutino lavori che richiedono turni notturni, e questo è un problema in un paese che è già il peggiore in Europa per occupazione femminile.

Si parla di percezione perché i crimini violenti che avvengono per strada, come le rapine, coinvolgono principalmente gli uomini, ed è dimostrato che a compiere la maggior parte degli stupri o dei femminicidi sono i parenti, i fidanzati o gli amici, e non gli sconosciuti. Ma non significa che questa paura venga dal nulla: ha a che fare per esempio con le frequenti molestie che non rientrano nella definizione di crimini e non vengono quasi mai denunciate, e con l’entità del rischio percepito. L’idea di subire una violenza sessuale è così traumatica e diffusa nell’immaginario collettivo che le porta a ridurre la loro libertà anche a fronte di un rischio basso.

Diverse amministrazioni cittadine in varie parti del mondo hanno provato a risolvere la questione. Sono spesso solo sperimentazioni, in alcuni casi anche molto piccole e che da sole non sono una soluzione, ma che possono indicare una direzione e soprattutto un metodo.

Spesso, infatti, la risposta più immediata delle amministrazioni di fronte alla richiesta delle cittadine di sentirsi più sicure consiste in politiche securitarie, come più forze dell’ordine, telecamere, daspo urbano e più in generale le politiche per il decoro, strumenti la cui reale efficacia è spesso contestata. Molti di questi esperimenti, invece, hanno una cosa in comune: partono da iniziative come focus group o questionari, pensati per raccogliere l’opinione delle donne e ovviare allo storico divario di genere nella progettazione urbanistica.

Auto della polizia a Milano (Emanuele Cremaschi/Getty Images)

Per esempio a Milano iniziative di questo tipo, organizzate dal Comune insieme ad Avventura Urbana e Sex and The City, due realtà che si occupano di studi in ambito urbanistico, hanno fatto emergere alcuni dati interessanti. È venuto fuori che la percezione di sicurezza peggiora in spazi degradati o abbandonati, quando ci sono angoli bui o strade senza via d’uscita, dove non ci sono mezzi pubblici o attività aperte, dove non c’è un’illuminazione efficace dello spazio. Non è soltanto questione di poca luce: diversi studi hanno dimostrato che anche un’eccessiva illuminazione, come a una fermata del bus, può limitare la visuale sull’ambiente circostante, facendo sentire meno sicuri. Tutti criteri applicati nel caso del Lev! Tunnel di Umeå.

A Bologna una camminata esplorativa (cioè una passeggiata alla presenza di esperti in cui le donne indicano cosa le fa sentire sicure e cosa no) ha portato, a gennaio di quest’anno, a rivedere diversi punti luce in città. Come spiega la vicesindaca Emily Clancy l’idea è nata dopo una serie di episodi di violenza di genere che si erano verificati nella zona universitaria, ma è parte di un piano molto più ampio.

Bologna è infatti tra le prime città in Italia ad avere una delega all’economia della notte, che è della stessa Clancy. L’idea è quella di «invertire lo sguardo sul tempo notturno, trasformandolo da uno spazio di semplice interruzione delle attività a uno degno della stessa attenzione e della stessa cura di quello diurno». Sono più di 80 le città nel mondo ad aver avviato progetti simili, e in tutti la sicurezza delle donne di notte resta una questione centrale.

A Londra per esempio è stata redatto un documento sulla sicurezza a cui può aderire qualsiasi organizzazione che offra servizi di notte, dall’azienda del trasporto pubblico all’associazione dei proprietari di minimarket. Firmando le aziende si impegnano a formare il proprio staff per reagire di fronte alla violenza di genere, a incoraggiare le segnalazioni e, quando possibile, a modificare i propri spazi per far sentire più sicure le donne che li frequentano.

I portici di Bologna (Michele Lapini/Getty Images)

In Italia una cosa simile è stata fatta a Bolzano, dove da tempo esiste una rete che unisce bar, farmacie e negozi dove il personale è formato ad accogliere le donne in difficoltà. Anche in questo caso, spiega l’assessora alle Pari Opportunità Chiara Rabini, l’amministrazione era partita da una raccolta di segnalazioni spontanee delle bolzanine.

Un’altra sperimentazione piccola riguarda sempre Bologna: si chiama Nottambula ed è un servizio di accompagnamento attivo tra le 10 di sera e le 3 di notte, che permette di farsi accompagnare a piedi da uno o più volontari, identificabili con una pettorina e contattabili tramite Instagram o Telegram.

Partendo dalla consapevolezza che molto spesso la percezione di sicurezza migliora con la presenza di altre persone o attività aperte nei paraggi, il comune sta anche cercando di popolare alcune zone della città che normalmente non sono frequentate dopo il tramonto. Clancy spiega per esempio è stato riaperto il parco della Montagnola, vicino alla stazione, con la presenza di volontari del comune e un bagno presidiato, e che sono stati pubblicati dei bandi per bar o locali che offrano anche servizi di assistenza base, come la possibilità di ricaricare il telefono.

Altre città nel mondo hanno tentato approcci ancora diversi. A Montreal per esempio l’azienda del trasporto pubblico ha introdotto la possibilità per chi viaggia tra le 21 e le 5 del mattino di chiedere al conducente di fare una fermata intermedia, in modo da ridurre il tragitto a piedi in zone pericolose (questa soluzione in Italia è difficile da applicare, per i criteri molto stringenti sulla creazione di nuove fermate).

In varie città della Germania, invece, hanno puntato sui taxi, offrendo voucher o rimborsi alle donne che viaggiano da sole di notte. Di recente a Colonia hanno incluso anche le persone non binarie (per essere riconosciute come tali serve avere sul documento l’indicazione del genere neutro, come previsto dalla legge tedesca). Dall’amministrazione di Colonia confermano che è una misura che è stata molto apprezzata, e i voucher sono terminati in fretta. Coprendo una piccola parte del costo della corsa, è comunque uno strumento che non tutte possono permettersi.