• Sport
  • Giovedì 13 marzo 2025

I campi in cemento più discussi del tennis mondiale

Al torneo di Indian Wells sono davvero così “lenti”? È colpa di una vernice troppo sabbiosa? Del vento? O è tutto nella testa dei tennisti?

Il campo centrale di Indian Wells (AP Photo/Mark J. Terrill)
Il campo centrale di Indian Wells (AP Photo/Mark J. Terrill)
Caricamento player

Il torneo di tennis di Indian Wells, che è in corso in questi giorni, si gioca in condizioni meteorologiche uniche in tutto il circuito mondiale: nel deserto della California, con temperature che variano moltissimo tra le ore di sole e quelle serali, aria secca, improvvise raffiche di vento e sabbia, a volte piogge di cui è difficile prevedere durata e intensità. Poi c’è la superficie dei campi, che è in cemento ma di un cemento più lento rispetto alla media degli altri tornei sulla stessa superficie, secondo molti il più lento in assoluto (in gergo si dice così per indicare quanta velocità perde la pallina dopo il rimbalzo a seconda della superficie: ci torniamo).

In uno sport in cui i giocatori hanno un’attenzione quasi maniacale per dettagli minimi e a volte apparentemente insignificanti, tutti questi fattori fanno sì che ogni anno in questo periodo si parli moltissimo della superficie di Indian Wells, su cui per una ragione o per un’altra sembra ci sia sempre moltissimo da dire. È successo anche quest’anno, perché gli organizzatori del torneo hanno deciso di cambiare il cemento dei campi con l’intento esplicito di avere una superficie più veloce e rimediare alle molte critiche ricevute l’anno scorso. Solo che il torneo è iniziato da più di una settimana (finisce domenica 16 marzo) e i campi non sembrano affatto più veloci: anzi, per qualche tennista sono persino più lenti.

Nel tennis la “velocità” dei campi è una misura fondamentale e citata di continuo, perché influenza moltissimo il gioco: ci sono i tennisti che giocano meglio su campi veloci e quelli che giocano meglio su campi più lenti, e anche in base a questo decidono a quali tornei iscriversi durante la stagione, e quindi dove concentrare le energie per raccogliere punti in classifica e soldi.

Semplificando un po’, tra le superfici del tennis la terra rossa è generalmente la più lenta, perché quando arriva su una pavimentazione granulosa la pallina incontra più attrito e la sua corsa viene in parte frenata, rimbalza più in alto e perde velocità. Il cemento invece, su cui di solito la pallina incontra meno attrito, ha rimbalzi regolari ed è più veloce. L’erba è spesso ancora più veloce perché la pallina schizza, con un rimbalzo molto basso e imprevedibile a causa delle imperfezioni del terreno naturale. Nello strato più superficiale del cemento, che è fatto di vernice, viene messa una quantità variabile di sabbia fine per non far scivolare i tennisti: è probabile, come vedremo, che la vernice di Indian Wells sia più “sabbiosa” di altre, e questo causi maggior attrito quando la pallina rimbalza.

– Leggi anche: A Wimbledon non c’è più l’erba di una volta

Ma anche se nei discorsi sul tennis la “velocità” della pallina è sempre associata genericamente ai campi, in realtà i fattori che concorrono a rendere un campo più o meno veloce vanno oltre la sola pavimentazione: qui si aggiungono problemi per Indian Wells. Alla velocità della pallina concorre anche l’aria, che più è secca e meno ne riduce la velocità, e il vento, che può rendere tutto più imprevedibile. Nei tornei che si giocano al chiuso per esempio, che a livello professionistico sono tutti su cemento, la pallina va sensibilmente più veloce. La pallina stessa può fare la differenza: ciascun torneo ne usa diverse a seconda degli sponsor che le forniscono, e anche se devono rispettare alcuni parametri condivisi ci sono palline più o meno leggere, e palline che a ogni colpo si spelacchiano di più o di meno. Una pallina più spelacchiata è una pallina su cui l’aria fa un po’ più di attrito, rallentandola.

Una pallina non molto spelacchiata (AP Photo/Thibault Camus)

Lo “spelacchiamento” è uno di quei dettagli apparentemente impercettibili e a cui sembrano badare solo i tennisti, che però ci tengono tantissimo: è una delle cose che guardano quando scelgono con cura le palline da usare per il servizio con cui si inizia il punto, restituendo ai raccattapalle quelle che non gli vanno a genio. E controllano anche quanto sono gonfie, certo: è un altro fattore che all’interno della partita può influenzare la velocità della pallina (più è sgonfia, più perde velocità dopo il rimbalzo, ma più viene colpita e più si sgonfia).

A Indian Wells quasi tutti questi fattori hanno elementi di eccezionalità che non si trovano in altri tornei. L’attenzione è sempre alta perché è uno dei tornei più importanti al mondo: è un Masters 1000, la categoria più prestigiosa dopo i quattro del Grande Slam (e spesso viene definito “il quinto Slam”). “Indian Wells” in inglese significa “pozzi indiani”, perché i campi si trovano in una valle dove fino all’Ottocento sorgeva un villaggio nativo americano con un’importante riserva d’acqua (la Coachella Valley nel sud della California, una zona amena oggi frequentata da persone molto benestanti). La valle è delimitata da due gruppi montuosi, che oltre a rendere il panorama suggestivo la rendono molto ventosa: l’aria calda del suolo desertico va verso l’alto, mentre quella fresca proveniente dalle montagne va verso il basso, creando frequenti raffiche irregolari, a volte sabbiose.

Il campo principale di Indian Wells, la sua forma particolare e le montagne dietro (AP Photo/Mark J. Terrill)

In base alla direzione che il vento prende, ogni giorno cambiano anche le condizioni di ciascun campo: quello principale, su cui si giocano le partite più importanti, ha una struttura a imbuto (per gli spalti) che rende le correnti molto frequenti. Nel tennis non ci sono regole che tutelino il gioco quando il vento è molto forte, e tendenzialmente non si possono interrompere o rinviare le partite per il vento: se una raffica sposta la pallina mentre è in aria rendendola imprendibile, il punto è sempre valido. C’è tutta una storia di partite fortemente condizionate dal vento a Indian Wells.

Un colpo steccato che in qualsiasi altro torneo del mondo sarebbe finito sugli spalti a Indian Wells può facilmente essere rimesso in gioco dal vento

Adattarsi alle condizioni di Indian Wells è molto complicato, anche per i tennisti con più esperienza e che ci hanno giocato più volte, perché ogni anno si possono trovare condizioni diverse.

Novak Djokovic, che è considerato quasi unanimemente il miglior tennista di sempre sul cemento (sicuramente il più vincente), dopo aver perso al primo turno di questo Indian Wells contro il meno quotato Botic van de Zandschulp ha detto in conferenza stampa: «La differenza tra il campo principale (quello su cui ha giocato lui, ndr) e gli altri campi (quelli su cui si è allenato nei giorni precedenti, ndr) è immensa. Nel campo principale la pallina rimbalza più alta che in alcuni dei campi in terra rossa con più rimbalzo».

Il fatto è che il cemento di Indian Wells non è solo lento rispetto agli altri cementi, ma a detta di tutti – tennisti, commentatori, addetti ai lavori – assomiglia per molti aspetti alla terra rossa, perché la palla rimbalza molto. Negli anni, basandosi sull’esperienza dei tennisti, si è arrivati alla conclusione più o meno condivisa che questa particolarità sia dovuta soprattutto al fatto che la vernice usata nell’ultimo strato del campo è molto sabbiosa: è un altro di quegli elementi che nessuno che non sia sul campo può notare, e che forse può sembrare assurdo a chi non segue molto il tennis, ma per i giocatori è cruciale.

I campi in cemento come quello di Indian Wells e di molti altri tornei sono fatti da tre strati: quello più in profondità di cemento o asfalto, poi un secondo strato più morbido di acrilico o silicone, e infine una vernice a cui viene aggiunta una quantità variabile di sabbia fine, che serve a rendere la pavimentazione più ruvida e quindi meno scivolosa per i tennisti. La presenza di sabbia in grandi quantità però ha lo stesso effetto sulla pallina della terra rossa: fa più attrito, fa rimbalzare la palla più alta e la fa rallentare.

– Leggi anche: Dizionario minimo per seguire le telecronache del tennis

Quando la palla rimbalza più alta c’è più tempo per colpirla, e quindi su campi del genere (come quello di Indian Wells o quelli in terra rossa) si trovano meglio i tennisti che puntano sul gioco da fondo campo, sui recuperi, sugli scambi prolungati. Non è un caso che le ultime due edizioni di Indian Wells maschile siano state vinte da Carlos Alcaraz e due delle ultime tre edizioni femminili da Iga Swiatek: due tennisti fortissimi sulla terra rossa e che sfruttano al meglio il top-spin, il colpo eseguito con un movimento della racchetta dal basso verso l’alto esasperandone la rotazione e di conseguenza il rimbalzo.

«Mi sembra lo stesso campo, molto lento, tanto rimbalzo», ha detto Alcaraz quando gli è stato chiesto come abbia trovato la nuova superficie di Indian Wells, dopo aver battuto Denis Shapovalov nei sedicesimi di finale. Anche quelli che si trovano solitamente male a Indian Wells hanno avuto la stessa impressione: il russo Daniil Medvedev, uno che di solito in questo genere di giudizi è molto estremo e teatrale, per far capire il suo disappunto ha detto che la pavimentazione è talmente rugosa da avergli raschiato la racchetta quando gli è accidentalmente caduta per terra.

I tennisti più a disagio come Medvedev sono quelli che puntano a scambi più rapidi grazie a colpi potenti e definitivi, o a fare punto direttamente col servizio. La statunitense Coco Gauff ha fatto notare uno degli aspetti paradossali delle condizioni di Indian Wells: «È difficile fare vincenti o fare punto direttamente col servizio. A volte colpisci bene, pensi che verrà fuori un gran colpo e poi la tua avversaria ci arriva comunque. È come un esercizio per la pazienza». Quello che dice Gauff è spiegabile: a Indian Wells, quando i tennisti colpiscono la pallina, questa prende subito velocità perché l’aria è secca e non fa attrito, ma dopo il rimbalzo sulla pavimentazione rugosa il colpo rallenta bruscamente, dando più tempo agli avversari per colpirla.

Medvedev sul cemento di Indian Wells (Frey/TPN/Getty Images)

Il cambio di superficie di quest’anno doveva servire proprio a far somigliare un po’ meno il cemento di Indian Wells alla terra rossa, ma non è successo. Questa operazione è stata fatta cambiando il fornitore della superficie, e scegliendo lo stesso che fa i cementi del torneo di Miami e degli US Open (uno dei quattro tornei del Grande Slam, che si gioca a New York). L’azienda però non fa i cementi sempre allo stesso modo, e nella composizione segue le indicazioni che riceve dagli organizzatori: non è detto insomma che venga fuori la stessa superficie degli altri due tornei.

Ci sono anche, come detto, le condizioni anomale di tutto il resto a Indian Wells, che rendono il cemento solo uno dei molti fattori che influenzano la velocità della pallina: già prima dell’inizio del torneo alcuni commentatori avevano in effetti fatto notare che, se si prende in esame solo la pavimentazione, Indian Wells non è il torneo Masters 1000 più lento tra quelli in cemento; viene considerato tale per via di tutto il resto.

E poi ci sono i tennisti e le loro percezioni, appunto, che dipendono sia dal loro livello di ossessione per certi dettagli (in certi casi è molto alto), sia dal loro stile di gioco e dalla loro capacità di adattamento. Chi gioca all’ora di pranzo col sole e l’aria molto secca trova il campo più veloce di chi gioca la sera, ma dipende anche dall’avversario di giornata: per esempio da quanto usa il top-spin. Il sito sportivo The Athletic ha scritto che «la bellezza del campo sta negli occhi di chi guarda». Iga Swiatek ha detto di non aver notato differenze rispetto all’anno scorso: «Forse è un’idea che abbiamo in testa perché tutti ne parlano».