Le pessime giornate delle borse statunitensi
Le politiche erratiche di Trump stanno creando incertezze e preoccupazione tra gli investitori, e qualcuno ora ritiene plausibile una recessione

Da giorni i mercati finanziari delle principali economie avanzate stanno mostrando cali significativi, innescati perlopiù dal pessimo andamento della borsa statunitense, che sta risentendo delle politiche erratiche del presidente Donald Trump sui dazi e dei plausibili contraccolpi che potrebbero avere sull’economia. Nelle ultime sedute le borse statunitensi hanno perso gran parte dei consistenti guadagni che avevano fatto nei mesi prima dell’insediamento di Trump, quando c’era ancora grande entusiasmo per le promesse di tagli delle tasse e di deregolamentazione.
Lunedì ci sono stati tra i cali più ampi degli ultimi anni nei principali indici statunitensi, cioè in quei valori che sintetizzano l’andamento delle azioni delle più importanti società quotate. Il più penalizzato è stato il Nasdaq, che contiene tutti i principali titoli delle aziende tecnologiche: ha chiuso la giornata con un calo del 4 per cento, la perdita maggiore in due anni e mezzo, trascinata perlopiù dal grosso deprezzamento delle azioni di Tesla, che nel corso della giornata erano arrivate a perdere fino al 15 per cento del loro valore.
Con perdite del genere è proprio Tesla la protagonista della principale storia finanziaria di questi giorni. Contro ogni aspettativa l’azienda sta risentendo molto dell’avvicinamento dell’amministratore delegato Elon Musk a Donald Trump e del suo ruolo nell’amministrazione statunitense: il prezzo delle azioni di Tesla, che a novembre aveva iniziato a crescere in maniera significativa, da gennaio è in calo costante e ha finito per annullare tutti i guadagni dei mesi precedenti. Ora le sue azioni valgono meno della metà rispetto al picco post elettorale: gli investitori hanno iniziato a notare il preoccupante calo delle vendite di auto Tesla, causato perlopiù dall’impopolarità di Musk che inizia a interferire coi risultati aziendali.
I cali di Tesla hanno portato al ribasso gran parte del settore tecnologico, le cui personalità sono peraltro tutte connesse e simpatizzanti con Trump: da giorni è in calo il prezzo dei titoli di Meta, la società che controlla social network come Facebook e Instagram, di Alphabet, l’azienda di Google, di Nvidia, la più importante società che progetta chip, di Apple e di Amazon, che nella sola giornata di lunedì hanno registrato perdite di circa il 5 per cento.

Da sinistra: Mark Zuckerberg, presidente e amministratore delegato di Meta, Lauren Sanchez, compagna di Jeff Bezos, lo stesso Jeff Bezos, fondatore di Amazon, Sundar Pichai, amministratore delegato di Google ed Elon Musk, alla cerimonia di insediamento di Trump, il 20 gennaio del 2025 (AP Photo/Julia Demaree Nikhinson)
Le perdite non si sono limitate al settore tecnologico. Lunedì l’indice S&P 500, che rappresenta l’andamento delle 500 aziende quotate più grandi degli Stati Uniti, è sceso del 2,7 per cento: in meno di un mese ha perso complessivamente quasi l’8 per cento rispetto al massimo storico raggiunto il 19 febbraio. Il Dow Jones, il più importante e conosciuto indice della borsa statunitense, che sintetizza come vanno le azioni delle prime 30 società quotate, solo lunedì ha perso il 2 per cento, con una perdita complessiva del 6 per cento dal 19 febbraio. Anche le criptovalute, che avevano guadagnato parecchio valore dall’elezione di Trump, sono risultate in calo: il prezzo di un Bitcoin ora si aggira intorno gli 80mila dollari, in netto calo rispetto agli oltre 100mila di dicembre.
Al contrario stanno andando molto bene i titoli di stato degli Stati Uniti, i cosiddetti treasury. I titoli di stato, soprattutto quelli statunitensi, sono del resto tra gli investimenti più sicuri e conservativi essendo emessi e garantiti dallo Stato: gli investitori li stanno comprando proprio per mettersi al riparo dalle grosse oscillazioni di mercato di questi giorni.
Quello che sta succedendo è che c’è stato un netto cambio di opinione a meno di due mesi dall’inizio del mandato di Trump, che era stato accolto con grande favore dal settore finanziario: la scommessa iniziale era che i suoi piani di tagli alle tasse e deregolamentazione sarebbero stati stimoli per un’economia già solidamente in espansione.
Queste aspettative si sono assai sgonfiate nelle ultime settimane, perlopiù a causa del modo caotico ed erratico con cui Trump annuncia le sue politiche. Un esempio è stata la gestione dei dazi verso Messico, Canada e Cina: sono stati prima annunciati con grande clamore, dopo neanche 48 ore ne è stata rimandata l’entrata in vigore per quelli sulle merci messicane e canadesi. Sono infine entrati in vigore il 4 marzo, e fino all’ultimo minuto non era chiaro se sarebbe davvero successo. Giovedì scorso Trump è tornato indietro di nuovo, e li ha sospesi su alcuni prodotti.
L’incertezza – forse anche più degli eventi negativi stessi – è ciò che causa maggiore nervosismo tra gli investitori e gli operatori economici, che si ritrovano a prendere decisioni in un contesto instabile. Sui mercati finanziari l’incertezza si misura con l’indice Vix, che calcola la volatilità dell’indice S&P 500 della borsa statunitense, cioè quanto l’indice è soggetto ad ampi rialzi o ribassi: l’indice Vix è aumentato di circa il 70 per cento nell’ultimo mese.
Lunedì un giornalista ha chiesto a Trump se teme una recessione. Lui ha risposto che gli Stati Uniti incasseranno talmente tanti soldi con i dazi che non sapranno neanche come spenderli: promettere prosperità economica tramite entrate fiscali dirompenti non solo non è plausibile dal punto di vista economico, ma è anche il contrario di quanto promesso da Trump stesso, che ha sempre predicato la necessità che lo stato tagli la spesa pubblica a favore del libero mercato.
I dazi sono del resto una tassa sulle importazioni, che pagheranno i consumatori e le aziende statunitensi che continueranno a comprare merce straniera. Dunque nel breve periodo – a meno che gli Stati Uniti non smettano di colpo di importare merce dall’estero, cosa assai improbabile – i prezzi aumenteranno, a scapito di consumatori e imprese che sono appena usciti da anni di aumento del costo della vita. Sono una misura ritenuta dalla teoria economica distorsiva e controproducente, soprattutto per il paese che li applica e soprattutto se così alti e indiscriminati. Non è dunque più così scontato che l’economia statunitense, che negli ultimi anni ha fatto registrare diversi record, continuerà ad andare bene, e tra gli osservatori c’è qualcuno che ritiene plausibile attendersi a un certo punto una recessione.
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