Il mondo non è pronto per la prossima pandemia

A cinque anni da quella da coronavirus, non è questione di "se", ma di "quando" ci sarà la prossima, eppure i governi non si mettono d'accordo su un piano di prevenzione

(Thierry Monasse/Getty Images)
(Thierry Monasse/Getty Images)
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Alla fine di maggio i rappresentanti dei 194 paesi che fanno parte dell’Organizzazione mondiale della sanità si riuniranno a Ginevra per decidere su un trattato, che potrebbe rivelarsi cruciale per evitare milioni di morti nella prossima pandemia. Dopo quella di coronavirus che ha sconvolto la vita di miliardi di persone in tutto il mondo, gli esperti e i diplomatici che lavorano al trattato, così come gli epidemiologi e i virologi, sanno che per una futura pandemia non è tanto questione di se, ma di quando arriverà e con che grado di preparazione la affronteremo. Al momento, i piani sono confusi e non c’è accordo nella comunità internazionale.

Proprio per questo la riunione dell’Assemblea mondiale della sanità di maggio, l’organo governativo dell’OMS, è vista come l’ultima grande opportunità per trovare un accordo prima che sia dato seguito alla decisione di Donald Trump di fare abbandonare l’organizzazione agli Stati Uniti. Le modalità e i tempi con cui avverrà non sono ancora chiari, ma secondo diversi analisti l’annuncio ha dato un maggiore senso di urgenza ai negoziati, dopo le trattative infruttuose degli scorsi anni.

L’OMS è al lavoro sul “Trattato internazionale sulla prevenzione, sulla preparazione e sulla risposta alle pandemie” da più di tre anni, ma ci sono forti divergenze tra i paesi sia sulle risorse economiche da destinare all’iniziativa sia sulla condivisione dei dati e delle responsabilità. Non si è trovato un accordo nonostante in tre anni di trattative ampie parti del trattato siano state ridimensionate, portando a un testo meno ambizioso.

L’obiettivo iniziale era adottare nuove regole per ridurre le disuguaglianze emerse tra i paesi nel corso della pandemia da coronavirus, per esempio con i paesi più ricchi che avevano avuto maggior accesso ai vaccini rispetto a quelli più poveri e in via di sviluppo. Le disparità avevano inoltre riguardato le possibilità di cura, la disponibilità dei dispositivi di protezione individuale come le mascherine e le risorse per effettuare il tracciamento dei contatti. In questi anni si era quindi provato a trattare sulla costituzione di un fondo economico condiviso, da impiegare soprattutto per aiutare i paesi più poveri ad affrontare l’emergenza sanitaria, a beneficio di tutti.

In più occasioni nel corso delle trattative si è infatti ricordato che una pandemia “non conosce confini”, come si è visto nel 2020, e che poter contenere la diffusione di una nuova malattia infettiva in un paese va a beneficio di tutti gli altri. Nonostante i buoni propositi, si è però faticato a trovare un accordo sulle politiche di prevenzione da adottare e su un meccanismo di condivisione delle informazioni su nuove malattie, in cambio di un accesso agevolato a farmaci e vaccini.

Vaccinazioni anti COVID-19 ad Harare, Zimbabwe, nel marzo del 2021 (Tafadzwa Ufumeli/Getty Images)

L’Unione Europea ha spinto per le iniziative orientate alla prevenzione, con la predisposizione di piani pandemici nazionali per identificare velocemente l’insorgenza di malattie infettive sconosciute, in modo da contenerle più velocemente. Organizzare e mantenere iniziative di questo tipo ha però un costo che non tutti i paesi sono disposti a sostenere o nelle condizioni di farlo. Il gruppo che rappresenta i paesi africani alle trattative ha insistito sulla necessità di avere un accesso prioritario ai vaccini, ai farmaci e alle risorse necessarie per le analisi che consentono di identificare nuovi patogeni (come virus e batteri). Durante la pandemia da coronavirus, e ancora prima con le epidemie di ebola, erano emerse grandi difficoltà nell’effettuare rapidamente analisi e controlli su campioni prelevati da persone sospettate di essere infette.

A partire dalle prime settimane di quest’anno, l’organo negoziale intergovernativo (INB) incaricato dall’OMS di gestire le trattative ha lavorato per provare ad appianare le discordanze, ma i tempi sono stretti considerato che una proposta dovrà essere presentata a fine maggio. Una delle proposte prevede di spostare i punti su cui ci sono maggiori difficoltà in un’appendice al trattato, che potrà essere discussa anche dopo l’adozione. I paesi più poveri e in via di sviluppo temono però che si perda la possibilità di confrontarsi da subito sui temi legati al finanziamento, uno dei punti chiave per coordinare le attività di ricerca e prevenzione.

Gli esperti segnalano da ancora prima dell’emergenza sanitaria dovuta al coronavirus che le pandemie sono inevitabili, e che senza misure adeguate potrebbero diventare molto più frequenti. I crescenti contagi dovuti a un tipo di virus che causa l’influenza aviaria stanno suscitando grande attenzione e preoccupazione. Finora sono stati rilevati diversi casi di passaggi dal pollame e altri animali agli umani, mentre non sono noti casi di contagio tra le persone. Il passaggio dagli uccelli ai mammiferi fa aumentare il rischio di mutazioni, che potrebbero aumentare la capacità del virus di infettare gli umani.

I rischi legati all’aviaria sono noti e ci sono sistemi di controllo nazionali e internazionali, ma da tempo viene segnalata l’inadeguatezza della sorveglianza nel settore dell’allevamento, dove gli umani stanno a stretto contatto con gli animali. Gli allevamenti intensivi di pollame rendono inoltre più probabile la trasmissione del virus, con ulteriori rischi di mutazioni. A oggi la raccolta dei campioni è spesso carente e soprattutto non c’è un’efficace condivisione dei profili genetici dei virus sulle piattaforme online, accessibili dai gruppi di ricerca in giro per il mondo.

(AP Photo/Denis Farrell)

La pandemia da coronavirus ha inoltre mostrato la fragilità dei sistemi sanitari, in molti casi ancora in fase di recupero con lunghe liste di attesa per tutti i trattamenti rinviati nel pieno dell’emergenza sanitaria. In diverse parti del mondo l’influenza stagionale ha fatto registrare un aumento dei casi rispetto a prima della pandemia, così come sono state registrate epidemie di morbillo, colera e difterite, spesso in concomitanza con alluvioni e altri disastri ambientali legati al cambiamento climatico.

Uno dei responsabili del Fondo pandemico, meccanismo di finanziamento per i paesi più poveri, ha commentato di recente sull’impreparazione per la prossima pandemia: «Da quando è finita l’emergenza sanitaria lo scorso anno, la maggior parte dei leader politici ha focalizzato la propria attenzione e le proprie risorse su altri problemi. Stiamo di nuovo entrando in quello che chiamiamo il “ciclo della negazione”. Le persone iniziano a scordarsi di quanto sia stata costosa la pandemia sia in termini di vite umane sia in termini economici e non stanno facendo tesoro di quanto hanno imparato».

Qualcosa di analogo avvenne dopo la fine della pandemia di influenza spagnola all’inizio del Novecento: anche all’epoca non si serbò molto il ricordo delle conoscenze acquisite. Il mondo di oggi è naturalmente molto diverso da quello di allora e in nessun altro momento della storia abbiamo avuto tanti strumenti come oggi per identificare i pericoli e ridurre i rischi. Farlo richiede però investimenti i cui frutti sono all’apparenza invisibili, quindi più difficili da rivendicare come importanti risultati su cui i governi possano costruire il proprio consenso. Le difficoltà sul trattato internazionale sono la dimostrazione più evidente di questi calcoli politici, che condizioneranno la possibilità di arrivare a un accordo il prossimo maggio.