A Roma si discute del futuro dei cinema chiusi

Una proposta di legge permetterebbe di trasformare le sale in disuso in negozi o altre attività commerciali, ma attori e registi famosi si oppongono

Il cinema Metropolitan chiuso in via del Corso a Roma, 19 gennaio 2019 (Fabrizio Corradetti/LaPresse)
Il cinema Metropolitan chiuso in via del Corso a Roma, 19 gennaio 2019 (Fabrizio Corradetti/LaPresse)
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A Roma ci sono 44 cinema chiusi da tempo che potrebbero essere trasformati più facilmente in negozi o altri locali commerciali se dovesse essere approvata una proposta di legge regionale che a breve sarà discussa nel consiglio regionale del Lazio. Se ne sta parlando parecchio in questi giorni anche perché molti attori, registi e produttori famosi hanno firmato una lettera d’appello in cui criticano la proposta di legge e si dicono pronti ad acquistare le sale chiuse, rivendicando il loro ruolo di importante presidio culturale per la città e in generale per la storia del cinema italiano.

Il loro appello è molto circolato in questi giorni, e sabato il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, ha detto di essere disponibile a incontrare gli artisti per discutere insieme del testo, «che è una norma, non il Vangelo», e pertanto – dice sempre Rocca – può essere migliorata prima di essere approvata definitivamente.

La proposta di legge era stata presentata dall’assessore all’Urbanistica, il leghista Pasquale Ciacciarelli, ed era stata adottata dalla giunta regionale lo scorso agosto. Tra le varie misure prevede la possibilità di fare interventi di ristrutturazione, demolizione e ricostruzione nei cinema che risultano chiusi o dismessi al 31 dicembre del 2023 con l’obiettivo di cambiarne la destinazione d’uso, cioè di convertire gli spazi dei cinema per nuove funzioni, dopo dieci anni dalla chiusura. La precedente legge regionale, del 2017, stabiliva invece che all’interno di cinema, teatri e centri culturali potesse essere dedicato ad attività commerciali al massimo il 30 per cento degli spazi. La bozza attuale propone di sostituire l’articolo della legge del 2017 con cui era stato fissato un limite alla riconversione degli spazi, e dunque dà la possibilità di cambiare completamente la funzione delle sale cinema.

In un’intervista a Repubblica del 30 gennaio Federica Lucisano, amministratrice delegata di una nota società di produzione cinematografica, ha definito la proposta di legge un «disastro» e ha fatto un appello ad altri imprenditori per «salvare i cinema chiusi di Roma». Al suo appello si è aggiunto quello firmato da attori e registi, tra cui molte persone famose come Paolo Sorrentino, Matteo Garrone, Paola Cortellesi, Pietro Valsecchi, Riccardo Tozzi, Marco Bellocchio, Mario Martone, Roberto Andò, Riccardo Milani, Paolo Genovese, Valerio Mastandrea, Anna Ferzetti, Leonardo Fasoli e Pierfrancesco Favino. Nel testo i firmatari difendono il «valore storico e culturale» dei cinema e scrivono che la loro «chiusura o trasformazione in centri commerciali» rappresenta una «perdita irreparabile» per la società. Per questa ragione hanno chiesto alle istituzioni di fermare quello che definiscono «sciacallaggio immobiliare» e si sono detti pronti ad acquistare le sale chiuse per restituirle alla loro funzione d’origine.

L’ingresso del cinema Troisi a Roma, 20 settembre 2021 (ANSA)

Come ha raccontato l’attore Carlo Verdone a Repubblica Roma, molti dei cinema chiusi sono luoghi con una certa storia. Tra questi ci sono per esempio il Metropolitan di via del Corso, il Roma (fondato peraltro da Verdone stesso) e il Pasquino a Trastevere, il Rivoli a nord del centro storico, sotto Villa Borghese, il Palazzo a San Lorenzo e l’Empire di viale Regina Margherita. Alcuni di questi cinema, peraltro, sono stati venduti all’asta e acquistati di recente da un fondo olandese. Secondo Verdone, che cita alcuni esempi a Roma, ci sono enti interessati a comprare sale cinematografiche in disuso e a rilanciarle. Per l’attore il modello a cui ispirarsi dovrebbe essere il cinema Troisi di via Induno, a Trastevere, che oltre alla sala per guardare i film ospita un centro culturale molto attivo, un’aula studio assai frequentata dagli studenti e un bar.

Il produttore cinematografico Pietro Valsecchi ha proposto di fissare a 30 anni il periodo dopo cui è possibile cambiare la destinazione d’uso di un cinema chiuso, in modo da evitare speculazioni immobiliari. Valsecchi ha fatto sapere di essersi confrontato con alcuni giuristi per coinvolgere direttamente nella vicenda anche il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, affinché eserciti un «diritto di tutela» sulle sale romane, riconoscendone la valenza culturale e impedendone così la riconversione in attività commerciali.

Nel frattempo sabato davanti al cinema Barberini, in centro a Roma, c’è stato un sit-in di protesta contro la proposta di legge regionale organizzato dal Partito Democratico. L’assessore all’Urbanistica Ciacciarelli, referente del testo, ha promesso «massima apertura» per la discussione della proposta di legge. «Il nostro obiettivo non è che le sale chiudano», ha detto. Il problema, secondo Ciacciarelli, sono le sale cinematografiche chiuse da tempo, diventate un «ricettacolo di occupazioni abusive e di mancanza di decoro». Per l’assessore i cinema aperti e quelli che vogliono riaprire vanno però aiutati dando la possibilità di creare anche un «piccolo shop, un bar, perché altrimenti non sopravvivono».

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