Antonio Conte e il suo rapporto complicato coi giocatori che dribblano
Khvicha Kvaratskhelia sta andando via dal Napoli, ma forse all'allenatore non mancherà poi tanto

Il Napoli è vicino a cedere l’attaccante georgiano Khvicha Kvaratskhelia al Paris Saint-Germain per circa 70 milioni di euro (lui ha già salutato i tifosi): è una scelta inattesa se si considera che quasi mai nella sessione di calciomercato di gennaio le squadre si privano dei loro migliori giocatori, ma è comprensibile se si tiene conto delle premesse e soprattutto di come lavora l’allenatore del Napoli, Antonio Conte. Sin dalla scorsa estate infatti commentatori ed esperti raccontavano che Kvaratskhelia stesse pensando di cambiare squadra, alla ricerca di nuovi stimoli, ambizioni e migliori prospettive di guadagno, dopo due anni trascorsi al Napoli, uno molto positivo (con la vittoria dello Scudetto) e uno piuttosto negativo (la scorsa stagione il Napoli è arrivato decimo in campionato). A questo contesto si aggiungeva in modo decisivo l’idea che Conte, arrivato al Napoli proprio la scorsa estate, avrebbe faticato a trovare per Kvaratskhelia una collocazione sensata ed efficace.
Dopo nemmeno sei mesi si può dire che questi dubbi si siano concretizzati. In questo periodo i due hanno provato a lavorare insieme e fare dei compromessi ma Kvaratskhelia, nonostante alcuni momenti positivi (ha segnato 5 gol e fatto 3 assist in campionato), è sembrato spesso poco a suo agio nel contesto tattico impostato da Conte. D’altra parte sembra che all’allenatore la cessione del georgiano non dispiaccia più di tanto, per quanto fosse uno dei calciatori più forti e talentuosi in rosa.
Conte ha quasi sempre fatto giocare alle sue squadre una fase offensiva molto codificata, basata su movimenti ripetitivi e quasi sincronizzati: dai calciatori pretende applicazione, disciplina tattica e rispetto meticoloso dei compiti che gli vengono assegnati, e per questo motivo non ha mai troppo impiegato o apprezzato i calciatori particolarmente creativi ed estrosi, o quantomeno quelli che non sono riusciti a mettere la loro creatività al servizio del sistema.
Kvaratskhelia invece è un esterno d’attacco molto istintivo, che punta sul dribbling, sull’abilità di superare gli avversari con la sua grande tecnica in velocità e che rende meglio se gli viene concessa una certa libertà di iniziativa. Il dribbling può rappresentare uno strumento tattico per affrontare le difese avversarie, ma è un fondamentale più aleatorio e meno controllabile di altri: e Conte vuole controllare più cose possibili in una partita di calcio.
Pur preferendo il 3-5-2 come schema di gioco (i numeri corrispondono indicativamente ai giocatori impiegati in difesa, a centrocampo e in attacco), Conte ha provato a far giocare il Napoli con il 4-3-3 in modo da mettere Kvaratskhelia nel suo ruolo preferito, come attaccante esterno. Il problema ha riguardato più che altro l’interpretazione del gioco. A inizio dicembre un’analisi del sito di approfondimento sportivo Ultimo Uomo raccontava come le statistiche sui dribbling tentati e riusciti da Kvaratskhelia fossero nettamente peggiorate in questa sua terza stagione al Napoli, soprattutto perché l’allenatore non ha voluto indirizzare il comportamento complessivo della squadra per far emergere le qualità migliori del georgiano.
Conte vuole che i suoi esterni d’attacco facciano movimenti precisi sia quando hanno la palla sia soprattutto quando non ce l’hanno, e infatti non a caso si sta trovando molto bene con l’esterno destro Matteo Politano (Kvaratskhelia giocava a sinistra), che è senza dubbio meno talentuoso e tecnico di Kvaratskhelia, ma garantisce un ordine, un equilibrio e un’applicazione tattica eccellenti. Tra i possibili sostituti di Kvaratskhelia, il Napoli potrebbe prendere Dan Ndoye del Bologna, un altro attaccante che non segna molto ma che corre e fa tanto movimento per la squadra.
Dieci minuti di Kvaratskhelia che fa diventare matti i difensori avversari
Non è la prima volta che succede una cosa del genere. Durante la sua prima estate da allenatore della Juventus insistette molto per far acquistare alla società l’attaccante esterno Eljero Elia, ma una volta arrivato lo fece giocare per soli 92 minuti in tutto il campionato, preferendogli per esempio un giocatore meno estroso ma più disciplinato e predisposto alla fatica come Simone Pepe. Quando era al Chelsea, il trequartista brasiliano Oscar scelse di trasferirsi in Cina dopo sei mesi per lo stipendio che gli offrirono, ma anche perché veniva impiegato poco da Conte, mentre un altro attaccante brasiliano, Willian, quando Conte se ne andò disse che era molto difficile lavorare con lui e che non sarebbe mai rimasto al Chelsea se fosse rimasto anche l’allenatore.
Eden Hazard, uno dei più forti e fantasiosi attaccanti esterni degli ultimi decenni, è stato in parte un’eccezione, perché nella prima stagione con Conte giocò alla grande (fece 16 gol nel campionato inglese, che il Chelsea vinse). Ne uscì però molto provato, come ha raccontato varie volte; lo scorso anno parlò così di Conte: «È uno dei più grandi allenatori e forse con lui ho vissuto la mia stagione migliore al Chelsea, ma non ne potevo più dei suoi allenamenti, delle sedute tattiche». Per Conte è stato sempre difficile, insomma, accettare di fare compromessi con i calciatori più creativi e meno inclini a rispettare le sue idee un po’ dogmatiche, cioè considerate indiscutibili.
Di contro, invece, i calciatori che si sono affidati totalmente a Conte sono migliorati tantissimo con lui, arrivando a giocare in diversi casi al di sopra delle loro possibilità: Emanuele Giaccherini è stato importante nella Juventus e nell’Italia allenate da Conte, pur non essendo considerato un giocatore di eccezionale talento e avendo avuto per il resto una carriera modesta; Victor Moses giocò le sue migliori stagioni quando il Chelsea era allenato da Conte, del quale disse una volta che «è un uomo incredibile che ha totalmente cambiato il mio modo di giocare, mi ha dato la determinazione necessaria per credere in me stesso e per godermi il mio calcio». Nelle stagioni successive Moses ha fatto molta fatica un po’ in tutte le squadre in cui ha giocato.

Eden Hazard e Antonio Conte al Chelsea, nel 2017 (AP Photo/Alastair Grant)
Non è che Conte preferisca allenare giocatori meno forti, ma pretende che tutti si adeguino alle sue idee, ed è più raro che questo succeda con i fuoriclasse, i cui ego e talento sono più difficili da incastrare in contesti fatti di tante regole (a volte farlo è proprio controproducente). Quando succede, i risultati sono spesso eccellenti: l’attaccante Carlos Tévez alla Juventus fu eccezionale, perché unì il suo grande talento a un encomiabile impegno; Ivan Perisic cambiò modo di giocare per rientrare negli schemi di Conte, accettando di dover difendere di più e dribblare di meno, e fu uno dei calciatori cruciali sia nell’Inter sia nel Tottenham (l’altra squadra inglese allenata da Conte).
Per far rendere al meglio in poco tempo le sue squadre, una cosa in cui Conte è eccezionale soprattutto se sono in qualche modo da costruire o da ricostruire, ha insomma bisogno di sapere che sono tutti motivati e coinvolti al cento per cento. È probabile che Kvaratskhelia non lo fosse dall’inizio, ma è altrettanto plausibile che Conte non avesse troppa voglia di trovare un modo di coinvolgerlo fino in fondo.