Non sarà facile per il governo usare il “golden power” per fermare Unicredit
È la norma con cui in teoria potrebbe impedirle di acquistare Banco BPM: in teoria, appunto
Il governo, e in particolare gli esponenti della Lega e di Fratelli d’Italia, ha mostrato una netta ostilità rispetto all’operazione annunciata lunedì mattina da Unicredit, la seconda banca italiana, che ha detto di voler comprare Banco BPM. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, leghista, ha in particolare lamentato il fatto che l’operazione non fosse stata concordata con il governo e ha ipotizzato il ricorso al golden power, cioè allo strumento attraverso il quale la presidenza del Consiglio può di fatto condizionare o addirittura vietare un’operazione di mercato nel caso in cui questa riguardi beni o strutture che si considerano strategici per gli interessi nazionali.
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Il golden power, introdotto in Italia nel 2012, è stato più volte ampliato e potenziato, estendendo la sua possibilità di utilizzo e semplificando le procedure per applicarlo. A partire dal 2019 (prima in via temporanea e poi definitiva) si può ricorrere a questo potere speciale anche nel caso in cui a compiere l’operazione ritenuta sospetta o pericolosa sia un soggetto dell’Unione Europea, cosa che era invece di fatto vietata in precedenza. Nell’evoluzione della normativa, inoltre, si è introdotta la facoltà di utilizzo del golden power non più solo alle questioni militari e all’industria della difesa, ma anche a quelle delle infrastrutture e delle telecomunicazioni, e poi via via a quasi tutti i settori economici e finanziari, fino all’agroalimentare.
In teoria, dunque, la legge consente al governo di opporsi all’acquisizione di Banco BPM da parte di Unicredit, anche se si tratta di un’operazione in ambito bancario che riguarda due banche non solo europee, ma italiane. Sarebbe però una decisione senza precedenti in Italia e piuttosto inusuale anche a livello europeo. Dall’entrata in vigore della nuova normativa nel 2019, infatti, l’Italia ha posto il veto attraverso il golden power in 11 casi: nessuno riguardava il settore bancario, nessuno riguardava due società italiane, e solo in un caso si è vietata un’operazione di un soggetto europeo, ma solo temporaneamente.
Un eventuale veto da parte del governo nei confronti di Unicredit finirebbe dunque facilmente per generare un contenzioso amministrativo che dovrebbe essere risolto dal Tar o dal Consiglio di Stato, e potrebbe anche entrare in conflitto con recenti pronunciamenti della Corte di Giustizia Europea, che nel luglio del 2023 ha raccomandato un’applicazione contenuta del golden power, «solamente in caso di minaccia effettiva e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività».
Su questa faccenda il quadro europeo va tenuto in grande considerazione, dal momento che è sempre stata l’Unione Europea a indirizzare gli orientamenti e le modifiche normative dei vari Stati membri. Questo ha a che vedere anche con la novità più sostanziale che riguarda la possibile acquisizione di Banco BPM da parte di Unicredit, e cioè l’estensione dell’utilizzo del golden power anche a operazioni tra soggetti europei. La Commissione Europea è stata a lungo piuttosto contraria all’utilizzo di questi strumenti da parte degli Stati membri, tollerandolo solo in casi specifici, perché li riteneva di fatto delle misure protezionistiche e nazionaliste che producevano distorsione del libero mercato. L’orientamento è però decisamente cambiato dopo il 2019, prima con la crisi generata dalla pandemia e poi con le tensioni internazionali connesse all’invasione russa dell’Ucraina.
Da quel momento la Commissione ha non solo favorito, ma in più occasioni ha quasi incentivato, i vari governi a rafforzare il loro potere di intervento speciale per monitorare e in caso vietare gli investimenti esteri, ma in virtù di due esigenze molto specifiche. La prima era quella di impedire le acquisizioni predatorie fatte da aziende esterne all’Unione Europea, soprattutto da parte di società cinesi riconducibili al regime: in un momento di grave crisi economica, le aziende indebolite e fiaccate dalla pandemia diventavano più facilmente acquistabili da soggetti esteri, spesso interessati a compiere operazioni finanziarie ostili o ad acquisire competenze e strumenti su settori di grande rilievo pubblico. In secondo luogo c’era la necessità di prevenire o bloccare operazioni commerciali e finanziarie da parte di imprenditori o oligarchi russi e bielorussi che, proprio attraverso società europee da loro controllate o possedute, stavano cercando di aggirare le sanzioni europee approvate come ritorsione per l’invasione dell’Ucraina.
Nonostante queste premesse i partiti politici, sia di destra sia di sinistra, hanno subito iniziato a considerare il golden power come uno strumento a cui ricorrere per proteggere settori su cui avevano interessi politici ed elettorali, e in alcuni casi hanno tentato di utilizzarlo proprio per salvaguardare i privilegi di alcune categorie e per limitare la concorrenza su certi mercati. A un certo punto i partiti della destra, contrari all’applicazione della direttiva europea Bolkestein (che prevede gare per tutte le concessioni pubbliche), proposero di adottare il golden power sulle concessioni demaniali, per proteggere i titolari degli stabilimenti balneari.
C’è insomma la ricorrente tentazione di utilizzare il golden power in maniera impropria, magari per favorire imprenditori vicini a certi partiti o a certi leader politici. Uno dei principali autori della normativa sul golden power, il giurista Roberto Chieppa che è stato segretario generale di Palazzo Chigi sia nei governi di Giuseppe Conte sia in quello di Mario Draghi, ha di recente scritto un libro sul tema in cui, tra le altre cose, ha segnalato proprio il rischio che il golden power venga interpretato «come uno strumento pubblico dirigistico dei mercati; uno strumento per decidere chi debba essere il proprietario di determinati assets e non per limitarsi a verificare se una data operazione è compatibile con gli interessi nazionali».
Questo vale a maggior ragione quando si parla di soggetti europei. «Ancor più eccezionale – scrive ancora Chieppa – deve essere l’esercizio dei poteri speciali per le operazioni intra-UE, tenuto anche conto che la Commissione valuterà la nuova disciplina non solo in astratto, ma anche per come in concreto verrà applicata».
È proprio il caso di Unicredit. Probabilmente è anche per questo che il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, per giustificare la propria contrarietà all’operazione di acquisto di Banco BPM, ha detto che Unicredit «è una banca straniera», alludendo al fatto che il suo azionariato è composto in larga parte da investitori non italiani. Il 75 per cento delle quote di Unicredit è detenuto da investitori istituzionali (banche, assicurazioni, fondi d’investimento), e il 42 per cento di questi è statunitense (il più importante di tutti, il fondo d’investimento BlackRock, detiene il 7 per cento), il 25 per cento fa riferimento al Regno Unito, e il 4 per cento ad altri paesi non europei. Ma Unicredit è a tutti gli effetti una banca italiana (ha sede a Milano, paga le tasse in Italia) ed europea.
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Se il governo decidesse di adottare il golden power, lo farebbe in virtù del rafforzamento introdotto in maniera definitiva nel 2022 dal governo di Draghi, che ne aveva ampliato gli ambiti di utilizzo proprio in reazione alla guerra in Ucraina e ne aveva poi snellito le procedure di utilizzo.
Con il golden power così rinnovato ci sono diverse misure che potrebbero essere applicate al caso di Unicredit e Banco BPM. Il governo potrebbe anzitutto richiedere maggiori dettagli sull’operazione alle due banche coinvolte, e poi imporre a Unicredit prescrizioni più o meno stringenti, subordinando l’autorizzazione all’acquisto a certe condizioni; oppure potrebbe arrivare a porre il veto, e dunque vietare tutto. Quest’ultimo pare però uno scenario assai poco verosimile: nel 2022, l’anno in cui è stata introdotta la nuova normativa, su 608 operazioni di mercato ritenute potenzialmente sospette e su cui il governo ha avviato delle verifiche, solo in quattro casi è stato infine opposto il veto.
Tra il 2019 e il 2023, cioè dal primo anno in cui è stata adottata la nuova normativa fino all’ultimo di cui si abbiano i dati completi forniti dalla presidenza del Consiglio, su 2.256 casi esaminati si è applicato il veto solo 11 volte. In sette circostanze, il veto ha riguardato operazioni tentate da società cinesi; in due casi c’erano di mezzo investitori russi (in un caso si trattava di una società olandese ma con forti legami finanziari con la Russia), e in uno il veto ha riguardato un’operazione in cui erano coinvolti investitori del Mali e degli Emirati Arabi Uniti. Per lo più, i settori interessati erano quello aerospaziale e militare (3 casi), energetico (4 casi), quello delle telecomunicazioni (2 casi), e poi robotica e agroalimentare.
Mai, dunque, è stato coinvolto il settore bancario, e mai due società italiane. C’è invece un solo precedente di golden power applicato a soggetti europei (come sarebbero Unicredit e Banco BPM), che però mostra bene quanto delicato sia utilizzare su società di paesi alleati poteri speciali pensati anzitutto per proteggere la sicurezza nazionale da imprese legate ai regimi russo e cinese. Il caso risale al novembre del 2023, quando su sollecitazione del ministero della Difesa il governo di Meloni utilizzò il golden power per impedire al gruppo Safran, partecipato dal governo francese, di comprare Microtecnica, una società torinese attiva nel settore aeronautico. Il governo di Meloni ritenne che l’operazione poteva mettere a rischio le linee di produzione dell’aereo da combattimento Eurofighter per le forze armate italiane, e così pose il veto.
La decisione generò un certo clamore. Il governo francese protestò, sia col governo italiano sia con le autorità europee. Anche le imprese del settore italiano della difesa fecero pressioni sul governo di Meloni, temendo peraltro ritorsioni e ripercussioni negative. Safran fece anche ricorso al Tar, contestando la legittimità del provvedimento. Nel giugno del 2024 il governo italiano ritirò il veto, venendo incontro anche a delle specifiche richieste informali della Commissione Europea: il ministero della Difesa ottenne che venissero indicate delle prescrizioni rigorose sull’operazione, che però alla fine venne autorizzata.