La sfilata di Victoria’s Secret ha funzionato?
Dopo cinque anni di pausa, uno degli spettacoli più seguiti della moda è tornato con alcune novità, e per dimostrare qualcosa
Martedì sera a New York è tornata la tradizionale sfilata del marchio di abbigliamento intimo Victoria’s Secret, famoso per i completi sexy, pieni di pelle, piume, pizzi e paillettes, e per le modelle, i cosiddetti “angeli”, considerate le più belle del mondo. È stata particolarmente ripresa e commentata perché Victoria’s Secret non ne faceva una dal 2018, dopo che quella del 2019 fu cancellata per diversi scandali che riguardavano il suo proprietario e la cultura misogina e sessista dell’azienda.
L’immagine e la comunicazione di Victoria’s Secret sono sempre state molto orientate a una generale sessualizzazione dei corpi femminili e negli anni Dieci, quelli del #Metoo, della diffusione delle idee femministe e di una maggiore attenzione verso la rappresentazione delle donne, la reputazione dell’azienda si era incrinata. Le vendite erano diminuite e così anche il prestigio della sua sfilata, che dal 1995 veniva organizzata ogni anno a novembre, con le modelle più popolari del momento e con performance di musicisti con largo seguito, tra cui Harry Styles, Lady Gaga e Taylor Swift. Per anni era stato uno spettacolo molto popolare e seguito, su internet e in tv, ma nel 2018 gli spettatori erano stati 3,3 milioni: cioè pochi, considerando che nel 2013 erano stati 9,7 milioni.
La sfilata di martedì era quindi molto attesa, un po’ per capire se sarebbe stata grandiosa come in passato, un po’ per inquadrare la direzione dell’azienda, che da anni sta attraversando una forte crisi di identità e subendo la concorrenza di nuovi marchi di intimo dal messaggio più contemporaneo e più pensato per le donne che per gli uomini, come Savage X Fenty della musicista Rihanna e Skims di Kim Kardashian. Nel 2022 Victoria’s Secret aveva rinnovato completamente la propria immagine con una campagna pubblicitaria con donne dai corpi molto diversi tra loro e biancheria intima comoda e poco vistosa, che però era stata giudicata poco convincente perché troppo lontana dall’identità del marchio. E così più recentemente l’azienda è tornata sui suoi passi.
Per questo alcuni critici hanno definito la sfilata un “rebranding del rebranding”, cioè un nuovo tentativo di riposizionare l’azienda, questa volta riaffermando lo spirito sexy e kitsch di un tempo, ma provando comunque a costruire un’idea di bellezza più inclusiva e fare uno spettacolo rivolto alle donne e non agli uomini. La produzione della sfilata è stata gestita interamente da donne, tra cui Sarah Sylvester, la vicepresidente esecutiva del marketing, che ha spiegato che «i nostri clienti ci hanno detto forte e chiaro che la rivolevano».
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Lo spettacolo è stato aperto dalla top model Gigi Hadid con un paio di ali rosa (fatte di piume sintetiche approvate dall’associazione ambientalista PETA) come accadeva nelle precedenti sfilate del marchio. Le protagoniste erano per questo chiamate “Angels”, che dal 2021 sono state sostituite dalle “Ambassador”, persone famose per i loro successi anziché per la loro bellezza, come la calciatrice e attivista per i diritti LGBT+ Megan Rapinoe.
C’erano alcune modelle che hanno fatto la storia del marchio, come Adriana Lima, Alessandra Ambrosio e Tyra Banks, che a 50 anni ha chiuso la sfilata con un body nero e un mantello argento, e altre che anni fa sarebbero state impensabili, come le modelle cosiddette “plus size” Paloma Elsesser e Ashley Graham, e le modelle transgender Valentina Sampaio e Alex Consani. C’è stata anche attenzione all’età: il 15 per cento delle modelle aveva più di 40 anni, tra cui Carla Bruni (56), Eva Herzigova (51) e Kate Moss, che a 50 anni ha sfilato per l’azienda per la prima volta, insieme alla figlia Lila. Si sono anche visti capelli afro al naturale (e non lisciati come prima), cicatrici e lentiggini non coperte dal trucco. Le ballerine e le cantanti erano tutte donne: Lisa del gruppo K-pop coreano Blackpink, Tyla e Cher.
Si è visto un cambiamento anche nell’offerta di prodotti: oltre a completi intimi sexy, ci sono pantaloni del pigiama, boxer, leggings e sottovesti trasparenti. La scelta è in linea con un assortimento nei negozi più ampio e diversificato, con costumi da bagno, activewear (cioè abbigliamento da sport) e abbigliamento comodo per stare a casa. Quello che si vedeva in passerella si poteva acquistare in contemporanea sul sito del marchio e anche per questo c’erano soprattutto capi commerciali, meno stravaganti del solito.
Sui social i commenti alla sfilata sono stati diversi tra loro: c’è chi ha apprezzato il ritorno dello spettacolo in sé, chi si aspettava qualcosa di più simile al passato e chi avrebbe preferito un legame più forte con la storia del marchio, per esempio che la sfilata fosse aperta da Banks anziché da Hadid. La giornalista Faran Krentcil ha definito i vestiti sulla rivista Elle «chaotic neutral», un neutro caotico, e aggiunto che «un po’ di lingerie sembrava aggressiva ma non eccitante».
La giornalista Aiyana Ishmael di Teen Vogue ha scritto che «mentre vedevo una modella magra dopo l’altra sono stata catapultata nel salotto della mia infanzia, quando guardavo donne che non mi assomigliavano dettare uno standard di bellezza che nessuna donna raggiungerà mai». Anche secondo Dani Maher di Harper’s Bazaar «la passerella era ancora dominata da modelle magre convenzionalmente attraenti»; inoltre la sfilata mancava di «spettacolarità» e senso del divertimento: «ho sentito la mancanza della giocosità di alcuni temi dei vecchi tempi: quelli ridicolmente kitsch che prendevano ispirazione dallo sport, dal circo, dagli animali selvaggi, dai supereroi e altro ancora» e ha aggiunto che «nella mia testa si sono impressi dei momenti [come nelle sfilate passate]? Non ne sono certa».
Vanessa Friedman del New York Times è stata ancora più critica: ha scritto che «c’è una bella differenza tra celebrare una diversità fisica reale e celebrare persone la cui fama è più grande di qualsiasi taglia» e ha definito la sfilata «un relitto d’altri tempi». Secondo lei «il tutto non è sembrato un passo avanti ma un ritrovo di amiche del liceo: un raduno di quelle che un tempo erano le più popolari e meglio vestite, che rivivono qualcosa che avevano vissuto nella foschia della nostalgia o delle vere complicazioni del mondo là fuori».
Nonostante le difficoltà degli ultimi anni, Victoria’s Secret resta il più grande marchio di biancheria intima del Nord America, con una quota di circa il 20 per cento del mercato e 1.370 negozi in tutto il mondo. In confronto, Skims, il suo principale rivale nato nel 2019, ne ha soltanto cinque, ma è in crescita costante, anche perché è riuscita a creare un marchio di abiti sexy e comodi pensati per le donne di qualsiasi età, colore della pelle e tipologia di corpo, con il coinvolgimento di testimonial dal mondo del cinema e dello sport. Ha saputo, insomma, costruire un marchio di intimo per le donne contemporanee, quello che da anni sta cercando di fare senza riuscirci anche Victoria’s Secret.
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