La statua simbolo dell’Abruzzo è un falso?
Un documentario sostiene che il “Guerriero di Capestrano” sia stato realizzato nel 1934 e non nel VI secolo a.C., e nella discussione è intervenuto anche il presidente della Regione
Il reperto archeologico più noto d’Abruzzo, che nel 2024 è stato anche inserito all’interno dello stemma della Regione, è il “Guerriero di Capestrano”. È una statua scoperta nel 1934, conservata nel Museo archeologico nazionale d’Abruzzo, a Chieti. Raffigura un guerriero dell’antico popolo italico dei Vestini, e secondo gli archeologi risale al VI secolo avanti Cristo: ma le sue origini in realtà sono contestate, e nella discussione sono intervenuti di recente sia il TAR che il presidente della Regione.
La statua fu scoperta da un contadino, Michele Castagna, in un terreno a nordest di Capestrano, piccola città in provincia dell’Aquila, da cui il nome che gli è stato dato. Gli scavi nella zona portarono alla scoperta di una necropoli, risalente probabilmente all’antica città di Aufinum. Oltre alla statua del guerriero furono rinvenuti vari manufatti e il torso di una statua di donna, detta “Dama di Capestrano”.
Il caso riguardante l’autenticità della statua in realtà era iniziato nel 2022, quando il regista pescarese Alessio Consorte aveva realizzato un documentario intitolato Il Guerriero mi pare Strano. Nel documentario Consorte sosteneva di aver avuto accesso a un documento che potrebbe dimostrare la falsità dell’opera: una lettera firmata dal sacerdote Antonio Ferrua, celebre archeologo della Città del Vaticano, che tra le altre cose si occupò delle ricerche sulla tomba di San Pietro.
Nella lettera, indirizzata allo storico e archeologo abruzzese Fulvio Giustizia, Ferrua diceva di aver avuto notizia dal monsignor Stanislas Le Grelle che la statua sarebbe stata fabbricata da un antiquario napoletano in collaborazione con il contadino Castagna, e spacciata per vera. Secondo Consorte, in base ai documenti in suo possesso, la statua sarebbe stata realizzata per ottenere dallo Stato un premio per il rinvenimento di beni archeologici, di 12.500 lire.
Nel documentario Consorte sosteneva anche che il fatto che due anni dopo la statua fosse stata esposta a Roma in occasione delle celebrazioni del bimillenario dalla nascita dell’imperatore Augusto sarebbe da collegare a una qualche partecipazione del partito fascista nella realizzazione dell’opera. Consorte nel documentario allude anche a una somiglianza fisica tra il volto del guerriero e quello di Benito Mussolini: secondo lui la statua potrebbe essere quindi stata modellata sulle sue fattezze.
Dopo la pubblicazione del documentario Consorte aveva avviato un’azione legale contro la Direzione Regionale Musei Abruzzo per ottenere l’accesso agli atti relativi alle analisi scientifiche fatte negli anni sulla scultura. Consorte avrebbe voluto fare esami con nuovi metodi scientifici, e in particolare un esame spettrofotometrico XRF, una tecnica di analisi con fluorescenza di raggi X, sui pigmenti presenti sulla statua e sulla pietra di cui è composta. Nell’ottobre del 2023 la Direzione Regionale Musei Abruzzo aveva respinto la richiesta di Consorte perché le stesse analisi sarebbero già state condotte in passato. Il regista aveva insistito e chiesto di avere accesso ai documenti relativi a quelle analisi, ma il 2 febbraio anche questa richiesta gli era stata respinta perché, secondo la direttrice Federica Zalabra l’istanza non era sufficientemente motivata.
A quel punto Consorte ha fatto ricorso al TAR (tribunale amministrativo regionale), che a giugno gli ha dato ragione e ha sostenuto che il ministero della Cultura e la soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio non possono negare l’accesso agli atti sull’autenticità della statua a Consorte. La sentenza del TAR però non è stata rispettata, e a Consorte sono state fornite solo alcune fotocopie di analisi XRF eseguite dal CNR (Consiglio nazionale delle ricerche) nel 2005.
Secondo Consorte questi documenti non sarebbero utili alla sua ricerca, dato che non furono realizzati per verificare l’autenticità della statua ma per testare un nuovo macchinario della ditta Assing SPA. Peraltro, secondo Consorte, da quei documenti emergerebbero diverse anomalie, come la presenza di elementi come scandio, rubidio, titanio e rame, oltre alla mancanza di agenti atmosferici come cloruro, piombo e fosforo, che avvalorerebbero la sua tesi. Consorte ha quindi fatto nuovamente appello al TAR, chiedendo che venga nominato un commissario che faccia rispettare la sentenza.
Nel frattempo sulla vicenda è intervenuto anche il presidente della Regione, Marco Marsilio, secondo cui è «davvero molto curioso che qualcuno nel 1934 potesse aver realizzato un monumento, una statua di quelle dimensioni, di quello stile, di quell’altezza, l’abbia sepolta a Capestrano chissà perché e poi l’abbia tirata fuori inscenando la sceneggiata di un falso ritrovamento». Consorte ha risposto a Marsilio invitandolo a un confronto sul tema: «Io chiamo il mio team di esperti, lui chiama i suoi designati, si ottiene l’autorizzazione dal ministero (questione per lui abbastanza semplice) e si eseguono i test». Se la statua si rivelasse originale Consorte sarebbe disposto a pagare i danni per le sue presunte insinuazioni e a chiedere scusa, mentre in caso contrario ha invitato Marsilio a dimettersi.