Lavorare in Vaticano non è più una pacchia

I dipendenti della Santa Sede, con i loro stipendi non tassati, sono sempre stati visti come dei privilegiati: ma è arrivata l'ora dei tagli

di Angelo Mastrandrea

Addetti alle pulizie puliscono il portico della basilica di San Pietro, il 25 aprile, che in Vaticano non è un giorno festivo
(AP Photo/Andrew Medichini)
Addetti alle pulizie puliscono il portico della basilica di San Pietro, il 25 aprile, che in Vaticano non è un giorno festivo (AP Photo/Andrew Medichini)
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Nella Città del Vaticano, il più piccolo Stato del mondo per estensione e numero di abitanti, si può entrare liberamente solo in piazza San Pietro e nella basilica, e ai Musei Vaticani. Nel resto dello Stato si accede solo con il tesserino blu assegnato ai dipendenti, con quello verde riservato ai loro familiari o con un pass temporaneo per delle esigenze particolari, come fare delle ricerche negli archivi o nella biblioteca. La maggior parte delle persone chiede un permesso per andare alla farmacia. Quest’ultimo si ottiene andando con la prescrizione medica all’ufficio permessi, che si trova al varco di Sant’Anna dei Palafrenieri, sul versante nord. L’ingresso è presidiato dalle guardie svizzere e da alcuni agenti della Gendarmeria vaticana. Appena superato, si prosegue per qualche centinaio di metri e poi si gira a destra. Per strada non c’è nessuno.

La farmacia invece è molto affollata perché vi si trovano medicine che in Italia non sono in commercio, e perché sui farmaci non si paga l’IVA, come per tutte le merci vendute in Vaticano. Nella farmacia lavora una cinquantina di persone. Sono tutte molto preoccupate dai tagli previsti per ripianare il bilancio in perdita del Vaticano. «Ci hanno già tolto 20mila euro dagli stipendi in due anni, per la sospensione degli straordinari e il blocco degli scatti di anzianità, ora temiamo che ci taglino la pensione, che paghiamo con i nostri contributi», dice un lavoratore che non vuole essere riconosciuto.

(Angelo Mastrandrea/Il Post)

A Roma i lavoratori del Vaticano sono da sempre visti come privilegiati, per la stabilità del loro posto di lavoro e perché i loro guadagni non sono tassati, in base ai Patti Lateranensi stipulati nel 1929 tra Italia e Vaticano. A sentire alcuni di loro, da qualche tempo non è più così.

Il buco di bilancio sta richiedendo tagli che non riguardano solo i lavoratori della farmacia, ma anche quelli delle altre attività che hanno sede in Vaticano. Il piano adottato dai consulenti esterni chiamati a ridurre le spese prevede inoltre la privatizzazione progressiva delle attività commerciali: un fatto che sta causando ulteriori problemi, perché le società esterne si avvalgono di propri lavoratori con accordi presumibilmente meno vantaggiosi di quelli finora adottati in Vaticano.

È quello che è successo al supermercato conosciuto come Annona, che si trova vicino alla farmacia e vende generi alimentari. Era stato aperto quasi un secolo fa per servire i dipendenti della Santa Sede e del Governatorato, che è l’organo esecutivo che controlla direttamente tutte le attività commerciali dello Stato del Vaticano. Dal 13 gennaio è chiuso, per «lavori di ristrutturazione e riqualificazione» che hanno a che fare con un cambio di gestione: è stato proprio lo stesso Governatorato a decidere di darlo in concessione per cinque anni a una catena di supermercati esterna.

L’Associazione dei dipendenti laici vaticani, l’unico sindacato riconosciuto dalla Santa Sede, teme per la sorte dei 40 dipendenti. Fa sapere che i lavoratori sono stati avvertiti a cose fatte e che dovrebbero essere ricollocati all’interno del Vaticano, ma non si sa esattamente dove e non si sa cosa succederà alle ditte esterne. Il bando non è ancora stato assegnato: la morte di papa Francesco ha bloccato tutto prima che potesse essere annunciato il vincitore. Ora il nuovo pontefice e il Governatorato che sarà nominato dovranno decidere che farne.

In Vaticano lavorano quasi 5mila persone: 2mila sono assunte nella Curia, cioè nel governo della Chiesa cattolica, gli altri sono impiegati dello Stato pontificio. Tra questi ci sono i 700 lavoratori del Musei Vaticani, che sono la maggiore fonte di introiti per il Governatorato, i 150 dell’Archivio e della Biblioteca Apostolica e i 50 della farmacia vaticana. Poi in misura minore ci sono i giornalisti dei media vaticani, della libreria vaticana, dei magazzini di abbigliamento e i benzinai. Ci sono anche gli impiegati dell’ufficio postale, che ha le insegne bianche e gialle della Città del Vaticano. A utilizzarlo sono soprattutto le nunziature, cioè i servizi diplomatici vaticani, che spediscono molti pacchi e abiti talari in tutto il mondo», spiegano. La utilizzano anche molti fedeli e turisti, che acquistano i francobolli emessi dal Vaticano.

L’ufficio postale del Vaticano (Angelo Mastrandrea/Il Post)

Tutti i lavoratori sono assunti con contratti della Santa Sede, con salari sostanzialmente equiparati a quelli italiani e con diversi livelli di retribuzione a seconda delle mansioni, un fondo pensione e uno di assistenza sanitaria. Gli ambulatori sono in un palazzo vicino all’Annona. I dipendenti possono prenotare una visita lì. Se la lista d’attesa è troppo lunga, possono andare da medici convenzionati, mentre nei casi più gravi hanno una corsia preferenziale di accesso agli ospedali Bambino Gesù e Gemelli. «Sono tutti servizi che paghiamo mensilmente con i contributi prelevati dalle buste paga», dice un lavoratore del Vaticano.

Questo sistema ora rischia di saltare per i conti in forte perdita della Santa Sede. Questa situazione si deve in generale a una gestione poco accorta delle finanze, ad alcuni scandali e a investimenti sbagliati, oltre che al calo delle donazioni al cosiddetto Obolo di San Pietro, un fondo che raccoglie annualmente il denaro donato al Vaticano dai cattolici di tutto il mondo. Vanno meglio quelli del Governatorato, che guadagna soprattutto dalle attività aperte al pubblico esterno, come la farmacia e la parafarmacia aperta da poco in piazza San Pietro, e soprattutto dai Musei Vaticani. Gli incassi complessivi però non bastano a reggere tutta la complessa macchina della Santa Sede.

(Angelo Mastrandrea/Il Post)

Il Consiglio per l’economia, l’organismo che sovrintende alla gestione dei conti, ha bocciato i bilanci presentati dagli enti pontifici a dicembre, rimandandoli indietro e chiedendo di ridurre le spese. Nel frattempo è cominciata la privatizzazione delle attività commerciali. Finora erano stati dati in appalto all’esterno solo i servizi di pulizia e di portierato dei palazzi. «Siamo passati da un modello in cui lo Stato controllava qualsiasi attività a uno in cui vogliono dismettere anche le attività che funzionano e sono redditizie», dice un funzionario di un importante dicastero che vuole rimanere anonimo, come tutte le persone interpellate per questo articolo.

Queste misure, se saranno confermate dalla nuova amministrazione vaticana, si aggiungeranno alle politiche di austerità avviate da qualche anno, come il blocco degli scatti di anzianità tra il 2021 e il 2023, il contratto che non viene adeguato dal 2008, la riduzione delle prestazioni sanitarie e il blocco parziale delle assunzioni per ridurre il costo del lavoro, che ammonta a circa 10 milioni di euro all’anno. In estrema sintesi, è previsto che per ogni tre dipendenti che vanno in pensione ne venga assunto solo uno, selezionato direttamente dal Consiglio per l’economia.

Queste misure hanno provocato molto malumore tra i dipendenti vaticani. «Ci hanno tolto molti servizi medici, come la fisioterapia, e hanno aumentato i costi di tutte le visite, ad esempio prima dall’oculista del Fondo assistenza sanitaria si pagavano al massimo 30 euro e ora ce ne vogliono 80», dice un lavoratore.

Molti temono che possano essere ridotte anche le pensioni. Anche se si parla molto di questi tagli, sui provvedimenti che verranno presi circolano solo voci che è impossibile verificare. «Abbiamo avuto la conferma che sono in arrivo provvedimenti strutturali urgenti», dicono all’associazione dei dipendenti. Il 5 maggio, due giorni prima dell’inizio del Conclave, hanno diffuso una nota in cui chiedono di vedere i bilanci del fondo pensione, che non sono pubblici. «Chi lo ha certificato ufficialmente? Quali criteri di calcolo sono stati attivati? I dipendenti vorrebbero essere informati sull’andamento dei loro risparmi e, soprattutto, su possibili criticità», hanno scritto ai cardinali che devono eleggere il nuovo papa.