L’economia francese ha davanti tempi duri

Il nuovo primo ministro Michel Barnier ha descritto una situazione dei conti pubblici molto negativa, e perciò ha proposto un piano di risanamento particolarmente severo

Il primo ministro francese Michel Barnier, durante il suo discorso all'Assemblea Nazionale (AP Photo/Thibault Camus)
Il primo ministro francese Michel Barnier, durante il suo discorso all'Assemblea Nazionale (AP Photo/Thibault Camus)
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Martedì il nuovo primo ministro francese Michel Barnier ha fatto il suo discorso programmatico all’Assemblea Nazionale, il parlamento della Francia, e ha parlato più estesamente dei piani per l’economia di cui aveva solo accennato nelle sue prime settimane in carica. È stato un discorso duro sulla difficile situazione dei conti pubblici – il debito pubblico francese è il terzo per dimensione nell’Eurozona, dopo quelli di Grecia e Italia – e ha già annunciato grossi interventi di risanamento, in termini di riduzione della spesa pubblica e aumento delle tasse.

È stato un discorso per certi versi simile a quello che fece l’ex presidente del Consiglio italiano Mario Monti nel 2011, quando si resero necessarie misure molto severe sulla finanza pubblica italiana in un momento di grave crisi per tutta l’economia. Benché la Francia non si trovi in una situazione minimamente paragonabile a quella italiana di allora, Barnier ha usato toni gravi per esprimere la serietà della situazione: «Il nostro colossale debito pubblico è sulle nostre teste come una spada di Damocle», ha detto, aggiungendo che senza una correzione il paese «finirà sull’orlo del precipizio».

Lo stato dei conti pubblici francesi è stato messo notevolmente in difficoltà prima dalla pandemia e poi dalla crisi energetica e dall’inflazione. Durante la pandemia è aumentata la spesa pubblica per tutte le misure di sostegno all’economia, a fronte di una sostanziale stabilità delle entrate fiscali. Si è dunque ampliato il disavanzo dello Stato, quello che chiamiamo deficit e che in genere fa aumentare il debito pubblico; se un paese spende più di quanto incassa con le tasse, deve necessariamente indebitarsi.

Negli anni successivi alla pandemia la spesa pubblica si è gradualmente normalizzata, ma sono diminuite allo stesso tempo le entrate fiscali, anche per effetto di tutti gli sgravi che erano stati concessi per compensare l’aumento del costo della vita per famiglie e aziende: il deficit è così cresciuto ancora.

Il risultato è che il deficit è ancora elevato, e da qualche anno la Francia ha difficoltà nel rispettare gli obiettivi di disavanzo che si dà. Per quest’anno le previsioni erano di un deficit al 5,1 per cento del Prodotto Interno Lordo (PIL): tipicamente le grandezze dei conti pubblici si paragonano al PIL, che misura la dimensione dell’economia di un paese. Il governo ha già fatto sapere che le precedenti previsioni di deficit non saranno rispettate, e che sarà almeno del 6,1 per cento, più alto dello scorso anno, con l’obiettivo di farlo scendere al 5 nel 2025 (in Italia nel 2023 è stato del 7,4 per cento).

Anche il debito pubblico è in aumento rispetto all’anno scorso: è cresciuto molto nel 2020, nel primo anno di pandemia, quando passò dal 98 per cento a quasi il 115. Da allora aveva iniziato a scendere, ma da quest’anno si prevede che sarà di nuovo in aumento. Secondo le previsioni tornerà vicino al 114 per cento nel 2025 (in Italia nel 2023 ha raggiunto il 137,3 per cento).

In entrambi i casi pesa un andamento dell’economia peggiore delle attese, che da una parte influenza matematicamente il denominatore del rapporto (come detto debito e deficit sono valutati rispetto al PIL) e dall’altra le entrate fiscali: se l’economia va peggio del previsto ci sono meno consumi, dunque meno IVA riscossa, e imposte sui redditi più scarse.

Inoltre è aumentato il costo del debito, sia per l’aumento generale dei tassi di interesse che per il rialzo specifico dei tassi sui titoli di stato francesi, cioè quegli strumenti finanziari che la Francia vende agli investitori per farsi prestare dei soldi: più alto è il tasso richiesto dagli investitori e più il creditore è considerato rischioso. Da giugno sui mercati finanziari si è notato un aumento del cosiddetto spread, cioè la differenza tra tassi di interesse sui titoli francesi e quelli sui titoli tedeschi, considerati i più affidabili: prima delle elezioni europee era intorno a 45 punti base, e in queste settimane è vicino a 80. L’aumento è dipeso in parte dalla grossa incertezza politica degli ultimi mesi e in parte dal significativo deterioramento dei conti pubblici.

Che la Francia abbia un problema con deficit e debito non è comunque una novità. Fino al 2008 aveva un debito pubblico in linea con la media dei paesi europei, ma con la grave crisi finanziaria ci fu un aumento repentino, dal 69 per cento del 2008 all’84 per cento del 2009. Da allora è stato in costante aumento, e il debito è servito perlopiù a finanziare le misure di stimolo all’economia e i grandi programmi di spesa: la Francia oggi è il paese europeo con la spesa pubblica più elevata in relazione al PIL (il secondo è l’Italia).

Prima della pandemia ha avuto per anni un deficit ampiamente sopra il 3 per cento, cioè la soglia imposta dalle regole europee sui conti pubblici per tenere sotto controllo i bilanci degli stati europei: era dunque in una situazione di strutturale squilibrio rispetto ai parametri di guardia, ed è stata più volte posta dalla Commissione europea sotto procedura per deficit eccessivo, che richiede un risanamento graduale e concordato dei conti. È una situazione simile a quella dell’Italia, altro paese europeo fortemente indebitato e che negli anni ha sorpassato varie volte il 3 per cento di deficit: nonostante questo i politici italiani si sono spesso lamentati di come la Francia abbia goduto di un trattamento più accomodante da parte della Commissione.

Le regole europee sui conti pubblici erano state sospese durante la pandemia, per consentire agli stati di spendere quanto necessario per sostenere l’economia, ma sono tornate in vigore, riformate, a partire da quest’anno. La Francia è di nuovo tra i paesi europei che negli scorsi mesi la Commissione europea ha messo sotto procedura per deficit eccessivo: il precedente governo si era accordato con la Commissione per un rientro sotto il 3 per cento entro il 2026, ma martedì Barnier ha detto che chiederà un rinvio al 2029 per rendere il risanamento meno brusco.

Servono effettivamente molti soldi: le nuove regole europee chiedono che durante la procedura per deficit eccessivo lo stato in questione imposti un percorso di aggiustamento minimo pari allo 0,5 per cento del PIL ogni anno, che per la Francia significa una riduzione del deficit da almeno 14 miliardi di euro. Per riportare il deficit dal 6 al 3 per cento servono quindi complessivamente circa 90 miliardi. Il governo ha detto che buona parte della riduzione avverrà già dall’anno prossimo: mercoledì il ministero dell’Economia ha fatto sapere che nel 2025 il calo sarà di 1,1 punti percentuali rispetto a quest’anno. Secondo questi calcoli dovrebbero essere più o meno di 30 miliardi di euro, ma il governo francese ha stimato che con ogni probabilità ne serviranno anche di più, intorno ai 40 miliardi, per compensare l’aumento del deficit che era già in corso.

Concretamente per fare un aggiustamento di questo tipo bisogna o ridurre la spesa pubblica o aumentare delle tasse. Barnier ha già detto che ha intenzione di fare entrambe le cose, e quanto peso dare alle due misure è una decisione politica. Il suo è un governo di minoranza sostanzialmente di destra: ha ministri della coalizione centrista dell’attuale presidente Emmanuel Macron e del partito Repubblicano, di orientamento conservatore; allo stesso tempo per approvare provvedimenti ha comunque bisogno dell’appoggio esterno di altri partiti in parlamento, tra cui la sinistra e l’estrema destra.

Deve dunque tenere conto di posizioni estremamente diverse in materia di finanza pubblica: per risanare i conti la sinistra incoraggia l’aumento delle tasse, per non tagliare la spesa per i servizi pubblici; la destra e l’estrema destra difendono generalmente il contrario, per non aumentare una pressione fiscale già tra le più alte nell’Unione Europea. Nel suo discorso Barnier ha detto che l’aggiustamento avverrà per due terzi tramite una riduzione di spesa pubblica, e per un terzo tramite l’aumento delle tasse: un compromesso che dunque tende a destra, ma con una limitata concessione alla sinistra.

Alcuni parlamentari del partito di sinistra La France Insoumise, durante il discorso di Barnier, l’1 ottobre 2024 (AP Photo/Thibault Camus)

Barnier ha detto che avvierà un grosso processo di revisione della spesa, che passerà innanzitutto per l’efficientamento degli enti locali, accusati da gran parte della politica di avere un ruolo enorme nel dissesto dei conti pubblici francesi: secondo un rapporto della Corte dei Conti francese ci sarebbe un esubero di circa 100mila dipendenti pubblici.

«Ridurre la spesa significa rinunciare ai “soldi magici”, cioè all’illusione che tutto sia gratis e alla tentazione di sussidiare qualsiasi cosa», ha detto Barnier durante il suo discorso. Non ha dato indicazioni concrete, che dovrebbero invece esserci con la presentazione al parlamento della legge di bilancio, la prossima settimana.

Alla riduzione della spesa contribuirà sostanzialmente anche la dura e controversa riforma delle pensioni approvata lo scorso anno tra grandi proteste in tutto il paese: prevede tra le altre cose un innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni, l’aumento delle pensioni minime e l’abolizione di tutta una serie di eccezionalità che consentivano ad alcune categorie di lavoratori di andare in pensione prima.

Sul fronte dell’aumento delle tasse è stato invece più preciso: ha detto che sarà chiesto «un contributo straordinario ai francesi più fortunati» e «alle grandi imprese» – quindi in sostanza chi ha più soldi – con una tassazione mirata e temporanea. Un’ipotesi è una tassa sugli utili che superano il miliardo di euro, ma anche in questo caso ci saranno maggiori dettagli con la presentazione della legge di bilancio.