La vera storia dei cento assorbenti della NASA

Una canzone comica sulla prima donna americana nello spazio è diventata virale perché prende in giro l'ignoranza degli scienziati sulle mestruazioni, ma manca un pezzo

Sally Ride durante un programma tv per bambini nel 1984 AP Photo/Dave Pickoff)
Sally Ride durante un programma tv per bambini nel 1984 AP Photo/Dave Pickoff)

Negli ultimi giorni su TikTok e Instagram è tornato a circolare molto il video di una canzone scritta e interpretata dalla comica statunitense Marcia Belsky durante un suo spettacolo nel 2020. La performance si chiamava “La prova che la NASA non sa niente di donne” e faceva riferimento alla storia dell’astronauta Sally Ride, la prima donna statunitense ad andare nello spazio nel 1983 e la terza nella storia (prima di lei ci erano andate due cosmonaute sovietiche: Valentina Tereškova e Svetlana Savickaja).

«Vi ricordate di quella volta che la NASA mandò una donna nello spazio per soli sei giorni e le diede cento assorbenti? Cento assorbenti!», fa la canzone: «E le chiese “saranno abbastanza?”, perché non sapevano se sarebbero stati abbastanza. E queste sono le più grandi menti del nostro paese».

Cento assorbenti sono un numero esagerato per sei giorni (anche ipotizzando un flusso mestruale abbondante e più lungo della media, vorrebbe dire più di 16 assorbenti al giorno, uno ogni ora e mezza). Nella sua canzone Belsky ironizza proprio sul fatto che gli scienziati della NASA, quindi tra i migliori al mondo, sapessero così poche cose sulle mestruazioni da non riuscire a fare una valutazione così banale.

La canzone di Belsky diventò virale allora e torna ciclicamente a circolare perché è molto orecchiabile e fa effettivamente ridere nel modo in cui conferma la consapevolezza – che si è diffusa negli ultimi anni con una maggiore penetrazione del pensiero femminista nella società – che molto di ciò che riguarda le donne viene trattato culturalmente come qualcosa di marginale, anche quando si tratta di spedizioni nello Spazio.

Belsky ha raccontato di aver scoperto questa storia da un articolo uscito su Vox che citava a sua volta un lungo profilo scritto dalla giornalista Ann Friedman e intitolato “L’astronauta Sally Ride e il peso di essere la prima”. Friedman racconta che Ride, che è morta nel 2012, non aveva sempre voluto fare l’astronauta. Lavorava come ricercatrice astrofisica quando la NASA avviò un programma che aveva l’obiettivo di reclutare delle astronaute per compensare un po’ il fatto che fino a quel momento erano sempre stati ammessi solo uomini. Nella classe di reclute del 1978 furono ammesse sei donne, tra cui appunto Ride.

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Al momento di mandare Ride nello spazio sullo Space Shuttle 7 nel 1983 però la NASA dovette pensare ad alcuni accorgimenti: per esempio perché una donna non avrebbe potuto usare i dispositivi che usavano gli uomini per fare pipì senza gravità, e appunto perché fino a quel momento non ci si era posti il problema delle mestruazioni.

Nell’articolo si legge che gli ingegneri della NASA chiesero a Ride: «Cento va bene come numero?». Lei, che sarebbe stata nello spazio per neanche una settimana, rispose di no, che la metà sarebbe stata più che sufficiente. Belsky raccontò che quella storia le sembrò estremamente divertente perché «l’unica cosa che so delle missioni nello Spazio della NASA è che sono estremamente selettivi su cosa portare a bordo, ma tipo che contano i grammi. Della serie che non puoi portare un paio di calzini in più».

Questa storia però ha una spiegazione. In una lunga intervista del 2010 Margaret Rhea Seddon, che ai tempi era l’unica astronauta, medica e donna della classe del 1978 della NASA, disse di aver partecipato alla discussione sulla dotazione di assorbenti per Ride e di essere stata tra quelli che insistettero per abbondare. Seddon disse di aver ragionato partendo dal peggior scenario possibile perché allora non si sapeva niente di come avrebbero potuto essere le mestruazioni in assenza di gravità.

«Molte persone avevano ipotizzato un flusso retrogrado, e che il sangue sarebbe potuto andare nell’addome, causare una peritonite (una grave infiammazione della membrana dell’addome, ndr), e altre cose orribili». Ai tempi le astronaute non si mostrarono però molto preoccupate, sostenendo che avrebbero affrontato il problema quando si sarebbe posto. Seddon disse di non ricordare chi fu poi la prima astronauta ad avere davvero le mestruazioni nello Spazio, ma di ricordarsi bene che quando tornò a terra rassicurò tutti sul fatto che non cambiava niente.

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Disse di non ricordare esattamente quanti assorbenti diedero alla fine a Ride, ma tra interni ed esterni fu «probabilmente almeno il doppio di quelli che una donna avrebbe usato, e dopo probabilmente ne aggiungemmo un altro 50 per cento giusto per sicurezza». Aveva interpellato un po’ di colleghe chiedendo loro quanti ne avrebbero usati se avessero avuto perdite molto abbondanti per sette giorni di fila: la maggior parte delle donne con cui parlò le disse comunque che non avrebbe «mai, e poi mai» potuto usarne così tanti. Lei però insistette sul fatto che sarebbe stato comunque meglio andare sul sicuro e non doversi preoccupare di non averne abbastanza una volta partite. Gli uomini non trattennero qualche lamentela quando videro quanto erano ingombranti.

In un video del 2022 l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti aveva raccontato che nello Spazio le mestruazioni si gestiscono esattamente come si farebbe sulla Terra, con assorbenti interni o esterni di cui c’è ampia dotazione. Aveva aggiunto però che le astronaute devono stare attente perché la pipì nello Spazio viene solitamente “riciclata” con un sistema filtrante che non funziona altrettanto bene in caso di pipì con residui di sangue. Forse anche per questo oggi la maggior parte delle astronaute preferisce usare contraccettivi ormonali o dispositivi intrauterini (la cosiddetta spirale anticoncezionale) che eliminano del tutto le mestruazioni.

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