In parlamento le opere d’arte vengono usate anche per fini politici

Dipinti e busti da sempre vengono strumentalizzati dai partiti: il caso della statua di Vera Omodeo ospitata da Ignazio La Russa è l'ultimo di una lunga serie

I presidenti della Camera e del Senato, Pier Ferdinando Casini e Marcello Pera, insieme a Vittorio Sgarbi, all'inaugurazione di una mostra di dipinti di Gaspare Landi a Montecitorio, nel marzo del 2005 (SCHIAVELLA/ANSA)
I presidenti della Camera e del Senato, Pier Ferdinando Casini e Marcello Pera, insieme a Vittorio Sgarbi, all'inaugurazione di una mostra di dipinti di Gaspare Landi a Montecitorio, nel marzo del 2005 (SCHIAVELLA/ANSA)

Durante una recente riunione coi presidenti dei vari gruppi parlamentari, il presidente del Senato Ignazio La Russa ha comunicato che nel Salone Garibaldi antistante all’aula di Palazzo Madama, sede del Senato, verrà ospitata almeno fino all’8 maggio la statua di bronzo intitolata Dal latte materno veniamo, di Vera Omodeo. La statua affigura una donna che allatta un neonato.

La decisione di La Russa è parte di una polemica che ha riguardato l’opera, dopo che il comune di Milano aveva obiettato sulla collocazione proposta dai famigliari della scultrice, cioè in piazza Eleonora Duse. La scelta di La Russa ha un significato politico: dare visibilità e prestigio a una statua che per gli esponenti di Fratelli d’Italia esalterebbe le virtù della maternità, dopo che una commissione di esperti del comune di Milano aveva dato un parere negativo circa la sua esposizione in uno spazio pubblico anche perché esprimeva, a loro avviso, valori non condivisi da tutte le cittadine e i cittadini.

La statua di Vera Omodeo raffigurante una madre che allatta al seno (Andrea Fasani/ANSA)

Non è la prima volta che, nel corso di questa legislatura, scelte di dirigenti di Fratelli d’Italia hanno riguardato la disposizione di opere d’arte nei locali del parlamento. Nel novembre del 2023 il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, uno dei mentori politici della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, fece rimuovere un ritratto di Napoleone imperatore e re d’Italia. Era un dipinto dell’artista lombardo Andrea Appiani, ritenuto di una certa importanza perché è stato uno dei pochi, forse l’unico, per cui Bonaparte abbia posato. Di proprietà della pinacoteca di Brera a Milano, e custodito dalla Camera fin dal 1927, il ritratto era esposto in un salone del secondo piano di Montecitorio, vicino all’ufficio di Rampelli, che lo ha rimosso per restare allineato con il diffuso sentimento antifrancese tra i dirigenti e i parlamentari di Fratelli d’Italia.

«Mi infastidisce il fatto che sia qui, appeso nella mia anticamera nel piano più importante di un palazzo che rappresenta il tempio della sovranità nazionale. Ecco, Napoleone ha cercato di annetterla al suo impero», commentò Rampelli, che ha poi fatto sostituire il ritratto di Napoleone con una veduta dei Bagni di Lucca, una tela dipinta a olio da Vincenzo Segarelli nell’Ottocento e di proprietà del museo di Capodimonte a Napoli, ma in deposito alla Camera dal 1926.

Di questa tendenza a caricare di significati politici le opere d’arte in parlamento ci sono molti esempi anche degli anni passati. Sono per lo più i presidenti di Camera e Senato, e i loro vice, che decidono di dare maggiore o minore visibilità ad alcune opere piuttosto che ad altre sulla base di sensibilità personali, di ragioni politiche e ideologiche o di più banali necessità logistiche. Nel farlo, a volte acquistano opere nuove; altre volte, ben più di frequente, fanno in modo di utilizzare in maniera diversa i molti quadri e le molte opere che la Camera e il Senato hanno in deposito.

Musei e gallerie di tutt’Italia, infatti, per non essere costretti ad ammassare le loro opere nei magazzini, nel corso dei decenni hanno deciso di affidare al parlamento tele, statue, busti e altro. Camera e Senato possono esporre le opere in deposito nei corridoi e nelle stanze per decorarle, ma gli accordi prevedono anche che debbano restaurarle. Il 3 maggio prossimo, per esempio, la Camera avvierà un importante restauro del dipinto cinquecentesco Diluvio universale, consegnato in deposito dalle Gallerie degli Uffizi di Firenze nel 1926 e a lungo esposto negli uffici della commissione Politiche europee, al quarto piano di Montecitorio, sede della Camera. Al restauro si guarda con un certo interesse anche perché potrebbe contribuire a chiarire definitivamente se l’autore dell’olio su tela sia effettivamente, come si crede, Francesco Dal Ponte il Giovane, detto Bassano, o se, come alcuni ipotizzano, si tratti di un’opera realizzata da artisti dalla sua bottega.

Camera e Senato conservano alcune di queste opere nei loro depositi esterni: quello del Senato è in via del Trullo, nell’immediata periferia sudest di Roma, quello della Camera a Castelnuovo di Porto, un comune a nord di Roma. Lì, tra l’altro, sono conservati anche vari oggetti del ventennio fascista: busti in marmo e in bronzo di Benito Mussolini e sculture e dipinti celebrativi del regime. Fin dalla prima legislatura, subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, i parlamentari si interrogarono su cosa farsene: alla fine decisero di tenerli rimuovendoli però dai locali della Camera, dove erano esposti, e conservandoli altrove.

In epoca decisamente più recente, i presidenti di Camera e Senato si sono più volte impegnati per ampliare il patrimonio artistico del parlamento. Un significativo intervento in questo senso lo fece Luciano Violante. Presidente della Camera dal 1996 al 2001, ex comunista e poi dirigente dei Democratici di Sinistra (DS), Violante connotò il suo mandato con un generale impegno per rinnovare l’aspetto della Camera, modificando l’ingresso su piazza Montecitorio e la struttura della piazza stessa.

Violante tra le altre cose si ritrovò a dover rispondere a musei e gallerie, che negli anni avevano chiesto la restituzione delle opere precedentemente assegnate in deposito; istituì quindi un comitato di esperti, presieduto da Vittorio Sgarbi, per valutare queste richieste e ottenere che i musei, in cambio delle opere che reclamavano indietro, consegnassero alla Camera altri dipinti, per lo più di grandi dimensioni anche se di valore non elevatissimo, che tenevano nei loro magazzini.

Oltre che per via di questi scambi, l’aspetto di molte stanze di Montecitorio cambiò perché Violante fece in modo che le opere più prestigiose venissero esposte nelle sale più frequentate, o in quelle di massima rappresentanza diplomatica, dove cioè venivano ricevuti ambasciatori o leader politici stranieri. La decisione generò qualche risentimento in alcuni presidenti di commissione, che si videro così privati di alcuni dipinti particolarmente pregiati affissi nei loro uffici. Inoltre Violante stabilì una specie di consuetudine con alcuni artisti contemporanei italiani, per la quale esponeva loro opere in mostre temporanee e poi ne tratteneva una a Montecitorio. Tra i vari, Violante è rimasto affezionato in particolare a un dipinto donato alla Camera da Giosetta Fioroni nel febbraio del 2001, alla chiusura della mostra a lei dedicata con 32 suoi quadri: Venice, realizzato nel 1988.

Il presidente della Camera dei Deputati, Fausto Bertinotti, insieme a monsignor Johann Horist, rettore del Pontificio istituto teutonico, durante la cerimonia di inaugurazione dei lavori di restauro della Sacra Famiglia di Giulio Romano, nel dicembre 2006 (ANSA)

Questa consuetudine fu ripresa anni più tardi da Fausto Bertinotti, con esiti però più polemici. Leader di Rifondazione Comunista, Bertinotti nel novembre del 2007 organizzò una mostra – intitolata Ambasciatori del lavoro – durante la quale fu esposto a Montecitorio il celebre quadro Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo e, accanto a quello, Il Quinto Stato di Mario Ceroli, che all’opera di Volpedo si richiama esplicitamente, essendone una versione più astratta e stilizzata. Al termine della mostra, che attirò alcune critiche da parte dei parlamentari di destra, il quadro di Ceroli venne concesso dall’autore a Montecitorio inizialmente per cinque anni a titolo gratuito: è tuttora esposto in uno dei corridoi al primo piano del palazzo, a ridosso dell’aula.

Un’altra scelta di Bertinotti generò polemiche ancora peggiori. Nel marzo del 2007 fece rimuovere un dipinto dalla Sala del Cavaliere (o Sala Gialla), quella dove, come nell’attigua Sala Aldo Moro al secondo piano di Montecitorio, vengono esposti a rotazione i dipinti più prestigiosi tra quelli presenti alla Camera. Il quadro rimosso per volere di Bertinotti era una grande rappresentazione della Battaglia di Lepanto, che celebrava la vittoria delle flotte cristiane della Lega Santa guidate dalla Repubblica di Venezia sulla flotta dell’Impero ottomano. È un evento storico che si porta dietro significati di rivalsa cattolica sul mondo islamico, e Bertinotti riteneva potesse offendere le sensibilità delle persone musulmane. La decisione venne molto contestata dai parlamentari di destra e in particolare da quelli della Lega. Bisognò attendere che a Bertinotti succedesse Gianfranco Fini, leader del partito di estrema destra Alleanza Nazionale, perché si trovasse una nuova collocazione al dipinto, che comunque non è mai tornato in Sala Gialla, e ora è esposto nella sala riunioni del partito di Matteo Salvini, al secondo piano del palazzo attiguo a Montecitorio che ospita i gruppi parlamentari, coi loro uffici e i loro funzionari.

Al Senato, invece, fu Marcello Pera a dare un grande contributo all’ampliamento del patrimonio artistico dell’istituzione, durante il suo mandato da presidente che durò dal 2001 al 2006. Una delle acquisizioni con il maggiore valore politico fu fatta dal presidente Renato Schifani nel gennaio del 2013, quando il Senato ricevette in dono dall’Associazione nazionale dalmata di Roma un busto in bronzo di Luigi Ziliotto, sindaco di Zara durante la Prima guerra mondiale e senatore del regno d’Italia, considerato uno dei principali esponenti dell’irredentismo italiano in Dalmazia, una regione dominata dalla Repubblica di Venezia fino al 1797 e sulla quale poi avanzò pretese il Regno d’Italia dopo la Prima guerra mondiale (oggi è suddivisa tra Croazia, Montenegro e Bosnia-Erzegovina).

L’opera fu collocata nei pressi dell’ingresso dell’aula di Palazzo Madama, accanto a quella dell’ex senatore Roberto Ghiglianovich, compagno di lotte politiche dello stesso Ziliotti nei primi decenni del Novecento.