Finora il decreto sui “raduni pericolosi” è servito a poco

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha detto che 8 persone sono imputate per il nuovo reato sui “rave party” e non c'è stata nessuna condanna definitiva

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio (ANSA/FABIO FRUSTACI)
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio (ANSA/FABIO FRUSTACI)
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Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha fornito alcuni dati su come sta andando l’applicazione della norma contro i “raduni pericolosi” (espressione usata per riferirsi soprattutto ai “rave party”), introdotta dal governo di Giorgia Meloni un anno e mezzo fa, a ottobre del 2022. La norma era stata celebrata con grande enfasi dal governo e presentata come una soluzione a un problema che sembrava richiedere un intervento urgente. Finora però l’introduzione di un nuovo reato ha portato a risultati piuttosto limitati rispetto al capitale politico speso dal governo, che aveva scelto questo decreto come una delle prime misure da presentare pochi giorni dopo l’insediamento. Nordio ha detto che 50 persone sono indagate in 21 procedimenti giudiziari, e che non c’è stata ancora alcuna condanna definitiva.

I dati sono stati forniti in una risposta scritta a un’interrogazione presentata il 10 aprile dal deputato Devis Dori (Europa Verde) e da altri parlamentari di opposizione, e ripresa poi da un articolo del Fatto Quotidiano. Nordio ha scritto che nel 2023 sono stati aperti 21 procedimenti giudiziari per il reato di «invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l’incolumità pubblica», quello sui rave. In totale 18 procedimenti sono già stati “definiti”, ossia è stato deciso se rinviare a giudizio le persone coinvolte oppure archiviare il caso. Il rinvio a giudizio, quindi l’avvio della fase del dibattimento e dell’azione penale, è stato disposto per sei procedimenti che coinvolgono complessivamente otto imputati.

– Leggi anche: Cosa sono davvero i rave

Il reato contro i “raduni pericolosi” venne introdotto dal governo Meloni il 31 ottobre del 2022. Era un momento in cui si parlava molto di rave party, dato che pochi giorni prima il governo ne aveva interrotto in anticipo uno che era in corso a Modena. Quel raduno non era autorizzato, ma non aveva creato particolari problemi sanitari o di ordine pubblico. Il governo di Meloni decise comunque che fosse necessario introdurre rapidamente nuove norme per evitare l’organizzazione di eventi simili. Lo fece con lo strumento del decreto-legge, che in teoria dovrebbe essere usato solo «in casi straordinari di necessità e urgenza», ma di cui da anni si fa un ampio uso anche per approvare norme non particolarmente impellenti.

La formulazione iniziale del reato era stata molto criticata, sia da parte dei politici di opposizione che da vari giuristi e costituzionalisti, perché considerata troppo vaga e potenzialmente applicabile non solo ai rave party ma anche alle manifestazioni, agli scioperi o alle occupazioni studentesche. A dicembre del 2022 il testo fu riformulato: nella sua versione attuale il reato, inserito all’articolo 633-bis del codice penale, punisce con la reclusione da tre a sei anni, e una multa da mille a 10mila euro, chiunque «organizza o promuove l’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento» se da questo potrebbe derivare «un concreto pericolo per la salute pubblica», dovuto per esempio all’uso di sostanze stupefacenti.

Il governo aveva presentato il decreto come una rapida soluzione e soprattutto anche come un deterrente, che sarebbe servito a diminuire l’organizzazione di rave party in futuro. A ottobre del 2023 il sito Pagella Politica ha provato a fare un conteggio e ha individuato almeno una decina di rave party di cui si è avuta notizia nel corso dell’anno: quindi anche come deterrente, apparentemente, il decreto non ha funzionato.