Una cosa che nel rap non si vede spesso

Dopo averlo insultato in una canzone – un classico “dissing”, come viene chiamato in gergo – J. Cole si è scusato pubblicamente con Kendrick Lamar

Kendrick Lamar nel 2017 (Kevin Winter/Getty Images)
Kendrick Lamar nel 2017 (Kevin Winter/Getty Images)

Nel gergo del rap è piuttosto comune sentire parlare di dissing e beef: il primo termine viene utilizzato per indicare una rima, una strofa o un’intera canzone composte allo scopo di insultare un altro rapper, mentre il secondo indica la sua conseguenza, ossia lo scontro che due rapper ingaggiano dopo che uno “dissa” l’altro. Elementi come l’autoesaltazione, gli insulti e la volontà di dimostrare la supremazia tecnica sull’avversario fanno parte dell’hip hop sin dalla nascita del genere, più o meno cinquant’anni fa, quando iniziò a prendere piede la pratica delle cosiddette “battle”, ossia le famose sfide in cui due rapper competono tra loro offendendosi in rima.

Tuttavia, mentre le battle sono incentrate sul concetto di improvvisazione, durano soltanto pochi minuti e non presuppongono necessariamente l’esistenza di qualche antipatia pregressa tra i contendenti, le rime, le strofe o le intere canzoni che compongono un dissing svolgono una funzione diversa. Non sono improvvisate, ma vengono scritte in anticipo e con una certa accuratezza, di solito facendo leva su veri o presunti punti deboli dell’avversario, e nella maggior parte dei casi vengono realizzate per indurre l’altro rapper a rispondere e dare inizio a una rivalità, un beef. Insomma, quando un rapper “dissa” un altro rapper è perché ha qualche conto in sospeso con lui, o perché ritiene che attaccarlo possa aiutarlo a farsi notare e catalizzare l’attenzione mediatica.

Ci sono beef che sono entrati nella storia dell’hip hop: uno dei più famosi e citati è quello tra Notorious B.I.G. e Tupac Shakur, che negli anni Novanta furono i massimi esponenti delle due correnti principali dell’hip hop statunitense, ossia quella della East Coast e quella della West Coast. In Italia il rap ha una storia più recente, ma alcuni beef sono comunque diventati piuttosto celebri tra gli appassionati, come quello tra Kaos One e Jovanotti (1996), quello tra Fabri Fibra e Vacca (2013) o quello tra Salmo e Luchè della scorsa estate.

Una regola dei dissing e dei beef, non scritta ma ampiamente applicata nella pratica, è l’indisponibilità dei rapper coinvolti a scusarsi per le rime con cui hanno offeso l’avversario: non accade praticamente mai, anche perché in competizioni di questo tipo, fondate sulla magnificazione personale e sulla pretesa di umiliare tecnicamente un altro rapper, chiedere scusa equivarrebbe di fatto a dichiararsi sconfitti.

Per questo motivo, quando la scorsa settimana il rapper J. Cole si è scusato pubblicamente con il collega Kendrick Lamar, probabilmente il rapper più acclamato degli ultimi dieci anni, per una strofa del singolo “7 Minute Drill”, le persone più attente a ciò che accade nel mondo dell’hip hop hanno reagito con un certo stupore.

J. Cole ha 39 anni e, proprio assieme a Lamar, è considerato uno dei migliori rapper statunitensi della sua generazione: cominciò a farsi notare nel 2009, quando Jay-Z gli chiese di scrivere una strofa di “A Star Is Born”, una delle canzoni di The Blueprint 3, il suo nuovo album. Debuttò due anni dopo con il suo disco Cole World: The Sideline Story, che ottenne un buon successo di vendite e critica. Da allora si è dedicato all’attività discografica con una certa continuità, pubblicando altri cinque album nel giro di dieci anni (Born Sinner, Forest Hills Drive, 4 Your Eyez Only, KOD e The Off-Season).

Nella strofa della canzone (che si può ascoltare qui), Cole definisce gli ultimi dischi di Lamar «noiosi» da far addormentare, e «tragici» («Your first shit was classic, your last shit was tragic») e dice che la sua musica è passata di moda, paragonandola alla popolare ma ormai in declino serie animata I Simpson He still doin’ shows, but fell off like the Simpsons»). Domenica scorsa, durante un concerto nello stato americano del North Carolina, Cole ci ha ripensato e ha detto che quella strofa è la cosa «più noiosa e stupida» che ha mai fatto nella sua carriera, annunciando che presto rimuoverà la canzone da tutte le piattaforme e i servizi di streaming.

Le scuse di Cole sono state ampiamente discusse e commentate, con opinioni molto polarizzate: alcuni hanno apprezzato il suo comportamento definendolo “maturo”, altri lo hanno invece criticato per essere venuto meno a quello che considerano uno dei concetti fondamentali della cultura competitiva tipica dell’hip hop, ossia il non doversi scusare o pentire dopo un dissing.

Spencer Kornhaber ha scritto sull’Atlantic che le scuse di Cole rappresentano un cambiamento significativo nelle liturgie tipiche dell’hip hop, e che forse tra i rapper statunitensi, o almeno tra quelli con una carriera di una certa rilevanza alle spalle (come Cole e Lamar, appunto), si sta affermando un nuovo modo di fare, più rispettoso, pacifico e “istituzionale”.

Le scuse di Cole hanno chiuso un beef durato qualche mese: era iniziato lo scorso autunno, quando J. Cole aveva collaborato con il rapper canadese Drake nel singolo “First Person Shooter”: in uno dei versi Cole faceva riferimento a «tre grandi» («three bigs») dell’hip hop, ossia lui stesso, Drake e per l’appunto Lamar. A marzo Lamar aveva risposto nella canzone “Like That”, scritta in collaborazione con il rapper Future, con una rima in cui in sostanza diceva che Cole non fosse al suo livello («Motherfuck the big three, (…) it’s just big me»). La strofa di “7 Minute Drill” avrebbe quindi dovuto rappresentare il terzo atto del beef con Lamar.

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Kornhaber ha scritto che, probabilmente, Cole si è scusato non tanto per avere attaccato Lamar in generale, ma per avere ironizzato sulla qualità della sua musica e della sua scrittura, che è invece notoriamente molto alta. Lamar è infatti considerato uno dei rapper conscious” (un sottogenere dell’hip hop caratterizzato da testi introspettivi e politicamente impegnati) più importanti di tutti i tempi, e occupa da anni una posizione di egemonia culturale nel rap americano. 

Il suo disco del 2015 To Pimp a Butterfly, che realizzò quando non aveva ancora compiuto trent’anni, fu celebrato da tutti i critici come la cosa più matura e originale successa all’hip hop da tempo, e fu apprezzato anche il successivo Damn che, pur se meno ambizioso, consolidò ulteriormente il suo status di musicista di culto. Nel 2017, l’anno della sua uscita, diventò infatti il primo disco premiato con un Pulitzer. Anche l’ultimo album realizzato da Lamar, Mr. Morale & the Big Steppers (2022), è stato molto apprezzato dal pubblico e incensato da praticamente tutte le riviste di settore.

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Per tutti questi motivi, secondo Kornhaber a un certo punto Cole deve essersi reso conto che attaccare Lamar per la sua produzione musicale avesse poco senso, anche perché, in qualche occasione, aveva dimostrato di apprezzarla lui stesso (e, peraltro, in passato aveva collaborato con Lamar come produttore).

Kornhaber ha anche evidenziato come il breve beef che ha coinvolto Cole e Lamar sia stato tutto sommato educato e, in un certo senso, “professionale”. Questo perché non hanno citato aspetti personali «come le mogli, i figli o le condizioni di salute», limitandosi «soltanto a rispondere a una domanda: chi è il migliore?». «Sia Lamar che Cole si stanno avvicinando ai 40 anni e probabilmente stanno pensando alla gestione dell’eredità, un po’ come fanno gli ergastolani e i politici in carriera», ha scritto sempre Kornhaber.

In passato, i dissing e i beef sono stati caratterizzati da attacchi personali anche piuttosto pesanti. Uno dei più eclatanti degli ultimi anni è stato quello del 2018 tra Drake e Pusha T. Nel maggio di quell’anno Pusha T pubblicò la canzone “The Story of Adidon”, in cui diceva che Drake stava «nascondendo suo figlio al mondo»: faceva riferimento ad Adonis, il figlio che il rapper canadese ebbe nel 2017 con la pornostar francese Sophie Brussaux, e che fino a quel momento effettivamente  non era mai stato visto in pubblico.

Anche il beef degli anni Novanta tra Tupac e Biggie fu piuttosto cruento, anche perché nelle canzoni inserivano spesso riferimenti a risse che avevano effettivamente coinvolto le rispettive gang. Entrambi, a causa della rivalità criminale che si era intrecciata a quella musicale, finirono ammazzati.