L’industria dei microchip a Taiwan ha resistito al terremoto?

Tutto il mondo dipende dai microchip prodotti a Taiwan per qualsiasi prodotto elettronico: per ora sembra che non ci sarà un'interruzione delle forniture, ma rimangono molti problemi

L'interno di una fabbrica di microchip (Sean Gallup/Getty Images)
L'interno di una fabbrica di microchip (Sean Gallup/Getty Images)
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Il forte terremoto che mercoledì ha colpito l’isola di Taiwan ha sollevato alcune preoccupazioni sulla tenuta della produzione locale di microchip, quei componenti essenziali per il funzionamento dei dispositivi elettronici. Circa la metà di tutti i microchip in circolazione (e l’80-90 per cento di quelli più sofisticati e importanti) è prodotta proprio a Taiwan, che ha un ruolo enorme nelle catene di fornitura globale di microchip e ospita le aziende più importanti del settore.

Se le fabbriche del paese dovessero fermarsi e i microchip prodotti non dovessero riuscire a soddisfare le richieste, sarebbe un enorme problema per moltissimi dispositivi, dagli elettrodomestici ai computer, dalle automobili agli smartphone. I prezzi dei microchip potrebbero salire, esattamente com’era successo durante la pandemia, quando erano diventati introvabili, con conseguenze anche sui prezzi dei prodotti finali per cui servono.

Per quanto ci siano ancora grossi elementi di incertezza sull’andamento della situazione e siano in corso ancora sopralluoghi e controlli, in realtà nelle fabbriche di microchip le cose sembrano per il momento meno gravi del previsto. Le fabbriche più grandi si trovano in alcuni dei punti meno colpiti dal terremoto e, dopo una breve evacuazione, in molti stabilimenti la produzione sembra essere già ripartita. Secondo alcuni esperti, però, il terremoto ha mostrato quanto sia fragile il mercato globale dei microchip, che dipende enormemente da un solo paese.

In particolare, sono tornate quasi a piena operatività le fabbriche della Taiwan Semiconductor Manufacturing Company, il più importante fornitore di microchip al mondo più noto come TSMC, che rifornisce aziende come Apple e Nvidia. Le sue sedi principali si trovano in zone distanti dall’epicentro del terremoto: mercoledì sono state evacuate, ma già nel pomeriggio il personale è rientrato e ha ripreso il lavoro. I danni ad alcune strumentazioni hanno intaccato solo marginalmente le produzioni, ma gli strumenti ritenuti più importanti per la continuità produttiva non sono stati danneggiati.

Anche la UMC, la United Microelectronics Corporation, più piccola di TSMC ma comunque tra i più grandi produttori di microchip al mondo, ha dichiarato di aver evacuato i suoi stabilimenti ma che le operazioni sono poi tornate alla normalità, senza impatti significativi sulla produzione.

Per quanto la gestione dell’emergenza sia ancora in corso, non sono stati registrati danni notevoli in nessuna fabbrica di Taiwan.

Restano ancora molte incertezze, soprattutto perché i danni del terremoto nel settore potrebbero essere visibili solo in un secondo momento. E questo perché la produzione dei microchip è estremamente delicata, richiede ambienti stabili e isolati, senza contaminazioni esterne. È quindi possibile che, anche se gli edifici e le attrezzature non riportano danni significativi, alcuni materiali siano però compromessi. Per esempio i cosiddetti wafer di silicio, degli strati sottilissimi delle dimensioni di una pizza, richiedono una lavorazione precisa e ambienti controllati: anche solo un granello di polvere o un minimo graffio comprometterebbero il materiale, che quindi deve essere scartato, con conseguenti ritardi e perdite nella produzione.

Un wafer di silicio (Sean Gallup/Getty Images)

Le aziende si erano comunque attrezzate negli anni, sia per la delicatezza dei loro processi, sia perché Taiwan è una regione molto soggetta a terremoti. Il terremoto del 1999, paragonabile per entità a quello di mercoledì, aveva compromesso notevolmente le aziende tecnologiche, le cui produzioni furono messe in difficoltà. Negli anni successivi le aziende di microchip avevano dunque messo a punto protocolli antisismici molto rigidi e rafforzato gli impianti con le più sofisticate tecnologie antisismiche per proteggere la produzione e le attrezzature dai danni, e ripristinare le operazioni rapidamente.

Molti analisti hanno fatto notare che la dipendenza del mondo dai microchip di Taiwan, per quanto sia problematica di per sé, lo è soprattutto in situazioni del genere. Attualmente, quasi tre quarti degli impianti di fabbricazione di chip si trovano in Asia, in particolare a Taiwan, in Corea del Sud, in Cina e in Giappone. Di questi, Taiwan e Giappone sono entrambi considerati ad alto rischio sismico.

Dopo la grave carenza di microchip avvenuta durante la pandemia, che provocò enormi ritardi nella produzione di moltissimi prodotti elettronici, l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno cercato di rafforzare la filiera di produzione dei microchip per ridurre la dipendenza dalle importazioni. Hanno dunque investito decine di miliardi di euro e dollari nello sviluppo locale del settore, che tuttavia è estremamente lento: per produrre i microchip, soprattutto quelli più sofisticati e di fascia più alta, servono anni – e in alcuni casi decenni – di investimenti, formazione del personale e costruzione di infrastrutture. Anche per questo molti paesi occidentali hanno stabilito accordi con le aziende taiwanesi come TSMC per costruire fabbriche fuori da Taiwan.

Taiwan, tuttavia, è restìa a condividere le tecnologie per la produzione dei microchip più sofisticati, perché da questi dipende moltissimo la sua economia. I microchip sono anche un importante fattore di deterrenza contro l’intensificarsi delle ostilità della Cina, che è costretta a comprare i microchip più avanzati proprio da Taiwan, come del resto tutti i paesi del mondo. Taiwan è di fatto un paese che gode di una sovranità piena, ha un parlamento e un governo, ma la Cina lo rivendica come un proprio territorio.