Che storia ha il boss Francesco Schiavone, che ha iniziato a collaborare con la giustizia

Noto come “Sandokan”, fu a capo del clan dei Casalesi ed è in carcere dal 1998, al 41bis: tra le altre cose è stato ritenuto responsabile di vari omicidi

Foto segnaletiche di Francesco Schiavone (CIRO FUSCO/ANSA)
Foto segnaletiche di Francesco Schiavone (CIRO FUSCO/ANSA)
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Francesco Schiavone, boss del clan camorrista dei Casalesi e noto come “Sandokan”, ha detto che comincerà a collaborare con la giustizia: la notizia è stata diffusa venerdì dal quotidiano locale Cronache di Caserta e confermata dalla Direzione nazionale antimafia (DNA). I collaboratori di giustizia sono persone condannate, generalmente per reati di mafia, che decidono di confessare alle autorità quello che sanno sui meccanismi interni alla criminalità organizzata per ottenere sconti di pena o altri benefici.

Schiavone ha settant’anni ed è in carcere dal 1998. È sottoposto al 41bis, un regime carcerario molto duro introdotto nel 1992 proprio per contrastare la criminalità organizzata, e di cui ultimamente si è discusso soprattutto a causa delle proteste del detenuto anarchico Alfredo Cospito. I detenuti al 41bis non possono fare praticamente nulla: per quasi tutto il giorno rimangono in isolamento nella propria cella, generalmente molto piccola, e i contatti con l’esterno sono ridotti a brevi colloqui mensili.

– Leggi anche: Come si vive al 41-bis

Schiavone fu uno dei principali boss mafiosi attivi tra gli anni Settanta e Ottanta: divenne capo del clan camorristico dei Casalesi, per conto del quale gestì vari traffici illegali di armi, droga e rifiuti sia in Italia che all’estero e partecipò a guerre e scontri tra clan nell’area del casertano, in Campania. Negli anni è stato accusato di associazione a delinquere, omicidio, occultamento di cadavere, porto abusivo di armi e una serie di altri reati minori. È stato ritenuto responsabile, tra gli altri, dell’omicidio di Saverio Iannello, un agricoltore ritenuto vicino al clan camorristico di Raffaele Cutolo, e del vigile urbano Antonio Diana.

Dopo anni di latitanza, Schiavone venne arrestato l’11 luglio del 1998 in un bunker a Casal di Principe, il comune in provincia di Caserta dove nacque. In seguito divenne uno dei principali imputati del noto processo Spartacus, che si svolse tra il 1998 e il 2010 a carico di vari membri del clan dei Casalesi. Nel 2010 ricevette la prima condanna definitiva all’ergastolo.

Negli ultimi anni alcuni parenti di Schiavone, anche loro legati alla mafia e condannati al carcere, avevano già deciso di collaborare con la giustizia: nel 1993 lo fece Carmine Schiavone, cugino di Francesco, e le sue dichiarazioni contribuirono a far partire le indagini del processo Spartacus. Negli ultimi anni anche due figli di Francesco Schiavone hanno deciso di collaborare: Nicola, nel 2018, e Walter, nel 2021.

Fino a poco fa Francesco Schiavone era detenuto nel carcere di Parma. A marzo è stato trasferito al carcere dell’Aquila, in Abruzzo, dove si trova tuttora e dove ha iniziato a collaborare con la giustizia. Come da prassi, ad alcuni familiari di Schiavone è stato proposto di aderire al programma di protezione per i parenti dei collaboratori di giustizia, ma secondo diversi giornali e agenzie di stampa per ora l’offerta sarebbe stata rifiutata.