Come funziona il test psico-attitudinale per chi vuole entrare in magistratura

Si chiama “Minnesota” e in Italia si usa già da decenni per i militari: prevede centinaia di affermazioni apparentemente banali a cui rispondere “vero” o “falso”

Un gruppo di magistrati durante la cerimonia d'inaugurazione dell'anno giudiziario in Corte di cassazione, a Roma, il 26 gennaio 2018 (Fabio Cimaglia/LaPresse)
Un gruppo di magistrati durante la cerimonia d'inaugurazione dell'anno giudiziario in Corte di cassazione, a Roma, il 26 gennaio 2018 (Fabio Cimaglia/LaPresse)
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Martedì 26 marzo il Consiglio dei ministri ha approvato un provvedimento che modifica le regole del concorso pubblico per l’accesso in magistratura. La novità più grossa introdotta sta nel fatto che l’esame di Stato che gli aspiranti magistrati e le aspiranti magistrate dovranno sostenere a partire dal 2026 non sarà composto solo da una prova scritta e una orale, ma anche da un test psico-attitudinale che si svolgerà contestualmente alla prova orale, a cui accedono solo le candidate e i candidati che hanno superato la prova scritta.

A definire nel dettaglio le regole del nuovo concorso, secondo il decreto legislativo approvato dal governo, sarà il Consiglio superiore della magistratura (CSM), cioè l’organo di autogoverno della magistratura presieduto dal presidente della Repubblica. Ma durante la conferenza stampa alla fine del Consiglio dei ministri, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha annunciato che per il test psico-attitudinale per aspiranti magistrati e magistrate sarà utilizzato il cosiddetto modello “Minnesota”, del resto già in uso da anni negli esami di Stato per le forze dell’ordine e per i militari.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio durante la conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri, il 26 Marzo 2024 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Il Minnesota, che è il nome gergale con cui si indica il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI), è tra test psicometrici più diffusi nel mondo. Serve a individuare possibili psicopatologie e rilevare i tratti peculiari della personalità di una persona. Non è un test diagnostico: non riscontra, cioè, l’esistenza di una patologia psichica. È piuttosto un test che serve a far emergere alcune tendenze della personalità di un individuo, evidenziandone potenziali devianze rispetto a una “norma” più o meno definita. È in sostanza un questionario con alcune centinaia di affermazioni, sempre le stesse, a cui bisogna rispondere con “vero” o “falso”. Le risposte fornite vengono poi esaminate e, tramite una complessa griglia di valutazione, utilizzate per rilevare le tendenze principali nella personalità e nella psiche di chi ha fatto il test.

L’MMPI è stato elaborato a partire dagli anni Trenta e poi pubblicato nel 1942 dall’Università del Minnesota, negli Stati Uniti, da cui trae il suo nome. A metterlo a punto furono lo psicologo Stuart Hathaway e il neurologo John Charnley McKinley. I due ricercatori statunitensi avevano intenzione di utilizzare un metodo che fosse il più possibile empirico, e cioè basato solo sulla raccolta di dati concreti, e che non fosse condizionato da teorie prestabilite. Per questo, iniziarono a sottoporre alcune domande piuttosto basilari a decine di pazienti dell’ospedale dell’Università del Minnesota, e si accorsero che quelli a cui venivano riscontrati certi disturbi psichiatrici tendevano a fornire le stesse risposte particolari ad alcuni quesiti. Confrontarono poi le loro risposte con quelle che venivano date dai visitatori dell’ospedale stesso o dagli abitanti delle cittadine vicine, e riuscirono così a elaborare una griglia di riferimento che secondo loro consentisse di riconoscere le possibili devianze connesse al modo in cui le persone sottoposte al test rispondevano.

Dopo un’iniziale fase di scetticismo, il metodo si guadagnò sempre più credibilità, anche per la sua portata innovativa: consentiva per esempio di superare alcune residue convinzioni ottocentesche ancora radicate in parte degli psichiatri americani, come l’uso della fisiognomica, ossia la relazione tra i connotati fisici di una persona e i suoi possibili disturbi mentali (è una teoria ritenuta antiquata e del tutto priva di fondamento). E nel giro di qualche decennio il Minnesota si affermò un po’ ovunque in Occidente come uno dei test psicometrici più affidabili. In vari paesi e soprattutto negli Stati Uniti venne utilizzato sia per reclutare i militari o per stabilire la compatibilità delle persone con le cariche pubbliche, sia per fare perizie e valutazioni in cause giudiziarie, come per esempio quelle relative all’affido dei figli.

Le domande, o meglio le affermazioni, erano inizialmente 504 e sono poi cresciute fino a 567. Sono apparentemente banali. Tra le prime dieci del test, per esempio, ci sono: «Mi piacciono le riviste di meccanica», «Penso che mi piacerebbe lavorare come bibliotecario», «Vengo facilmente svegliato dai rumori», «Di solito ho le mani e i piedi abbastanza caldi». La griglia di valutazione, che è un po’ diversa a seconda che a rispondere al test sia un maschio o una femmina, è composta da quattro scale di contenuto (che aiutano a individuare la tendenza dell’esaminando o esaminanda a dare risposte evasive, menzognere o casuali) e da dieci scale cliniche, che servono a rintracciare la presenza di eventuali possibili disturbi (ipocondria, depressione, isteria, paranoia, schizofrenia, eccetera). Queste tendenze vengono poi misurate: su una scala di valore che va da 1 a 120, vengono considerate nella norma i punteggi tra 30 e 70, mentre quelli che escono da questi parametri standard indicano possibili devianze.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella presiede il Consiglio superiore della magistratura il 25 gennaio 2023 (Francesco Amendola/ANSA)

Nel corso dei decenni questo modello iniziale è stato oggetto di alcune critiche, soprattutto per la presunta matrice razzista che ne era a fondamento. Hathaway e Charnley avevano confrontato le risposte dei pazienti con quelle di un campione di intervistati e intervistate (il cosiddetto gruppo di controllo) composto perlopiù da maschi giovani adulti bianchi sposati del Midwest, e questo avrebbe alterato i parametri da loro presi in considerazione, rendendo di per sé anomali gli atteggiamenti diffusi tra le minoranze etniche o sociali. Inoltre alcune affermazioni, col passare degli anni, risultano piuttosto anacronistiche (tutt’ora il test si apre con una affermazione sulle riviste di meccanica), che dunque producono in chi le legge delle reazioni diverse da quelle di settant’anni fa.

Per questo sono stati proposti aggiornamenti del modello. Nel 1989 un gruppo di ricercatori e docenti di psicologia e neurologia della stessa Università del Minnesota, guidato dallo psicologo James Butcher, ha pubblicato l’MMPI-2 (o “Minnesota 2”). Anche questo prevede 567 affermazioni e 14 scale di valutazione, ma il contenuto delle affermazioni è stato aggiornato anche sulla base di una nuova ricerca condotta stavolta su un campione più ampio ed eterogeneo di 2.600 persone: per l’esattezza, 1.138 maschi e 1.462 femmine tra i 18 e gli 80 anni provenienti da diverse aree e comunità degli Stati Uniti. Nuove revisioni sono state poi elaborate nel corso degli anni. Oggi le due versioni più diffuse sono il “Minnesota 2” e il “Minnesota 2 -RF”, ovvero l’MMPI-Restructured Form, elaborato nel 2008 sempre nell’Università del Minnesota. Quest’ultimo prevede 338 affermazioni e 51 scale di valutazione, ma il principio di fondo è grosso modo lo stesso.

In Italia il test Minnesota è adottato in maniera prioritaria fin dal dicembre del 1986, quando venne introdotto tramite una nuova legge sul servizio di leva come esame psico-attitudinale nella selezione dei nuovi militari o nella valutazione di quelli già in servizio.