Il musicista sconosciuto più ascoltato su Spotify

Lo svedese Johan Röhr ha pubblicato sotto pseudonimo centinaia di canzoni “d'atmosfera” in collaborazione con la piattaforma, raccogliendo 15 miliardi di ascolti

(Jernej Graj/Unsplash)
(Jernej Graj/Unsplash)
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Martedì il quotidiano svedese Dagens Nyheter ha svelato l’identità di un musicista locale che pubblica canzoni su Spotify utilizzando più di 650 pseudonimi diversi ed è uno dei 100 più ascoltati al mondo sulla piattaforma, più di gruppi e musicisti molto famosi come Britney Spears, Michael Jackson e gli Abba. Si chiama Johan Röhr, vive a Stoccolma ed è un polistrumentista di 47 anni che, stando alle informazioni raccolte da Dagens Nyheter, nella sua carriera ha lavorato come direttore d’orchestra e consulente musicale per la televisione svedese.

Utilizzando nomi d’arte come “Maya Åström”, “Minik Knudsen”, “Mingmei Hsueh” e “Csizmazia Etel”, Röhr ha pubblicato su Spotify 2.700 canzoni che hanno ottenuto complessivamente più di 15 miliardi di ascolti. Questo successo è dovuto in buona parte al fatto che Rohr ha un accordo di collaborazione con il team editoriale di Spotify: in sostanza, il suo lavoro è produrre canzoni da inserire nelle decine di playlist che la piattaforma propone agli utenti per accompagnare un determinato stato d’animo, e che sono quasi interamente strumentali. Si tratta insomma di canzoni “d’atmosfera”, pensate per essere messe come sottofondo musicale mentre si è impegnati in altre attività della giornata. 

Da un paio d’anni diversi esperti delle dinamiche attuali del mercato discografico sostengono che l’attività di musicisti come Röhr, che la stampa di settore definisce in maniera spregiativa “fake artists” (“finti artisti”), rappresenti una forma di concorrenza sleale nei confronti di musicisti e gruppi emergenti.

Le critiche riguardano il fatto che il successo di queste canzoni è in un certo senso artificiale, dato che vengono inserite all’interno di playlist editoriali create appositamente per raggiungere il maggior numero possibile di utenti sfruttando un algoritmo. Inoltre, stando a quanto riferito da riviste di settore autorevoli come Music Business Worldwide, Spotify potrebbe avere stipulato con le case discografiche che rappresentano questi musicisti degli accordi molto vantaggiosi, che le permetterebbero di pagare delle royalties inferiori rispetto a quelle che spettano ai musicisti sotto contratto con le major. Di conseguenza, fare in modo che le canzoni realizzate dai “fake artists” siano sempre più ascoltate e cercate dagli utenti permetterebbe all’azienda di ottenere dei risparmi notevoli dal punto di vista fiscale.

Music Business Worldwide aveva parlato della questione dei “fake artists” già nel 2016, quando aveva dato notizia di accordi che la piattaforma aveva sottoscritto con alcuni produttori svedesi per realizzare delle canzoni da inserire nelle playlist tenendo conto di alcune linee guida specifiche. Due anni fa un’inchiesta di Dagens Nyheter aveva invece scoperto che la musica attribuita a più di 500 musicisti presenti nelle playlist di Spotify era in realtà stata composta da sole 20 persone, tutte legate alla casa discografica svedese Firefly Entertainment.

Non è chiaro quanto Röhr abbia guadagnato finora grazie alla sua collaborazione con Spotify. Tuttavia, secondo quanto scritto da Dagens Nyheter, nel 2022 la sua società avrebbe fatturato circa 3 milioni di euro, che provenivano interamente dalle royalties di Spotify. Le canzoni di Röhr sarebbero state aggiunte a più di un centinaio di playlist di musica strumentale, che sarebbero seguite complessivamente da più di 62 milioni di follower. Sempre secondo Dagens Nyheter, 41 delle 270 canzoni che compongono la playlist di Spotify “Stress Relief” sono state composte da Röhr. L’etichetta discografica di Röhr si chiama Overtone Studios ed è di proprietà del gruppo Epidemic Sound, a cui sono collegati diversi musicisti fittizi presenti nelle playlist di Spotify.

Un portavoce di Spotify ha detto al Guardian che la piattaforma investe sulla musica prodotta da persone come Röhr per soddisfare la domanda degli utenti, che sono sempre più interessati ad ascoltare musica adatta per «rilassarsi, concentrarsi o studiare». Di conseguenza alcune case discografiche, come per l’appunto Epidemic Sound, hanno iniziato a specializzarsi nella produzione di questo tipo di contenuti.