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  • Lunedì 18 marzo 2024

Il Gambia vuole cancellare il divieto di mutilazione dei genitali femminili

Era stato introdotto nel 2015, ma ora il parlamento ha votato per revocarlo: se la proposta sarà accettata dalle commissioni governative, sarà il primo paese al mondo a farlo

Alcuni oggetti utilizzati per la mutilazione dei genitali femminili
Alcuni oggetti utilizzati per la mutilazione dei genitali femminili in Somalia (AP Photo/ Brian Inganga, File)
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L’Assemblea nazionale del Gambia, un paese dell’Africa occidentale, ha votato in favore di un provvedimento che prevede la revoca del divieto di mutilazione dei genitali femminili, o Mgf, cioè tutte quelle pratiche in cui gli attributi genitali esterni delle donne sono parzialmente o totalmente rimossi per motivi culturali o religiosi, spesso con grandi sofferenze fisiche e psicologiche. 42 dei 47 membri del parlamento monocamerale del paese presenti lunedì hanno votato per ritirare il divieto di queste pratiche, che era stato introdotto nel 2015 (l’Assemblea nazionale ha 58 membri, di cui solo cinque donne).

Ora la proposta dovrà essere esaminata da alcune commissioni del governo: se dovesse essere approvata, come prevedono diversi analisti citati per esempio dal New York Times, il Gambia sarebbe il primo paese al mondo a eliminare le tutele in vigore contro queste pratiche, che sono considerate una grave violazione dei diritti umani a livello internazionale.

Il Gambia ha circa 2,6 milioni di abitanti, è una repubblica presidenziale ed è a maggioranza musulmana. Di solito nel paese le mutilazioni genitali femminili consistono nel tagliare il clitoride e le piccole labbra di bambine e ragazzine quando hanno tra i dieci e i quindici anni. Dal 1994 al 2016 il paese fu governato da Yahya Jammeh, uno dei leader africani autoritari più longevi, secondo cui chi voleva eliminare la mutilazione dei genitali femminili era «nemico dell’Islam». L’anno prima di essere sconfitto alle elezioni presidenziali dopo 22 anni di governo, tuttavia, Jammeh le fece vietare, a detta di alcuni osservatori per via dell’influenza della moglie, proveniente da un paese in cui non si praticano, il Marocco.

Anche se in Gambia era in vigore dal 2015, il divieto delle Mgf non è stato applicato fino al 2023, quando tre medici sono stati multati per averle fatte. Queste condanne sono state sfruttate da un importante imam gambiano e da alcuni politici per avviare una campagna in favore dell’eliminazione del divieto, sulla base del fatto che le mutilazioni sarebbero importanti a livello culturale, oltre che un obbligo religioso.

Le mutilazioni dei genitali femminili hanno forti valenze culturali e religiose in diversi paesi, soprattutto in Africa e nel Medio Oriente, dove sono considerate un pilastro della tradizione e del matrimonio, sono viste come una specie di rito di passaggio in molte fedi e sono sostenute sia dagli uomini che da molte donne. Sono praticate in almeno 27 paesi africani, tra cui Egitto, Etiopia, Kenya, Burkina Faso, Nigeria e Senegal.

Per quanto riguarda il Gambia, un rapporto pubblicato dall’UNICEF nel 2021 dice che il 76 per cento delle donne tra i 15 e i 49 anni ha subìto un qualche tipo di mutilazione dei genitali. Sono però pratiche che possono provocare infezioni, emorragie, forti dolori e danni psicologici e che, secondo uno studio del 2023, sono tra le principali cause di morte tra le ragazze e le donne che vivono nei paesi in cui vengono praticate.

Negli anni sia in Africa che a livello globale ci sono state diverse campagne per far cessare le mutilazioni genitali femminili, con il risultato che alcune comunità hanno iniziato lentamente ad abbandonarle. Ciononostante negli ultimi tempi hanno cominciato di nuovo ad aumentare, principalmente per via dell’aumento della popolazione nei paesi in cui sono comuni. Sempre secondo un rapporto dell’UNICEF al momento sono 230 milioni le donne che hanno subìto una qualche forma di Mgf: 30 milioni in più rispetto ai dati del 2016.

Dopo il voto favorevole del parlamento gambiano la proposta di legge per eliminare il divieto dovrà essere esaminata da alcune commissioni del governo, che potranno proporre emendamenti prima di rinviarla al parlamento per un’ultima votazione, prevista tra circa tre mesi. Tutti i parlamentari presenti alla votazione erano uomini: quattro hanno votato contro e uno si è astenuto.