La riforma del Codice della strada è molto favorevole agli automobilisti

Molti attivisti stanno protestando perché non tutela pedoni e ciclisti e perché non interviene – anzi – per limitare la velocità eccessiva delle auto, la principale causa di incidenti

La manifestazione 
"stop al nuovo codice della strage" a Roma il 10 marzo (ANSA/ANGELO CARCONI)
La manifestazione "stop al nuovo codice della strage" a Roma il 10 marzo (ANSA/ANGELO CARCONI)

In questi giorni è in discussione alla Camera la riforma del Codice della strada, un disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso settembre e sostenuto soprattutto dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini. Il testo è stato molto criticato da varie associazioni di attivisti per la sicurezza stradale, che durante lo scorso fine settimana hanno organizzato manifestazioni in diverse città italiane: sostengono che la riforma avvantaggi principalmente gli automobilisti a scapito dei pedoni e dei ciclisti, e che non faccia nulla per affrontare una delle cause principali degli incidenti stradali, ossia la velocità troppo alta delle auto.

Il disegno di legge è diviso in due parti: nella prima propone delle modifiche all’attuale codice della strada, approvato nel 1992 e poi modificato varie volte negli anni; nella seconda introduce una legge delega che attribuisce al governo il compito di riorganizzare, tramite dei decreti legislativi, le norme sulla motorizzazione e la circolazione stradale (la legge delega è appunto un tipo di legge con cui il parlamento delega al governo la funzione legislativa su una certa materia).

La riforma rende più dure le pene e le sanzioni per chi guida in stato di ebbrezza, sotto l’effetto di stupefacenti oppure mentre usa il cellulare o altri dispositivi elettronici, soprattutto in caso di recidiva (ossia dopo la seconda infrazione da parte della stessa persona). Per esempio viene introdotto il cosiddetto “alcolock”, un dispositivo che impedisce l’avvio del motore dei veicoli su cui è installato se rileva nel conducente un tasso alcolemico superiore allo zero (funziona come un etilometro: bisogna soffiare in un apparecchio).

Per quanto riguarda i limiti di velocità viene soltanto alzato l’importo delle multe per gli automobilisti che li superano nei centri abitati per almeno due volte all’anno.

Ci sono alcune modifiche alle norme sui rilevatori di velocità (comunemente chiamati autovelox, che però è un marchio registrato dell’azienda fiorentina Sodi): se un automobilista supera i limiti di velocità più volte nell’arco di un’ora sullo stesso tratto stradale dovrà pagare solo la sanzione più alta aumentata di un terzo. Al momento invece le sanzioni sono cumulabili, quindi se si supera più volte il limite sullo stesso tratto di strada bisogna semplicemente pagare più multe separate.

Un principio simile è applicato alle Zone a traffico limitato (Ztl): in base alla riforma, se si fanno più accessi nella stessa Ztl in un solo giorno sarà sufficiente pagare una sola multa. Sono due misure fortemente benevole nei confronti degli automobilisti.

Inoltre viene aggiunto l’obbligo di fare «verifiche periodiche di funzionalità e di taratura» su tutti gli autovelox installati, una misura che il ministro Salvini aveva presentato come uno «stop agli “autovelox selvaggi” usati solo per fare multe». Nella pratica verranno aggiunte diverse operazioni burocratiche e controlli sul loro funzionamento, che secondo gli attivisti renderanno più difficile installare nuovi rilevatori di velocità, e quindi anche punire chi non rispetta i limiti.

– Leggi anche: Gli autovelox abbattuti nel Nord Italia cominciano a essere tanti

«La riforma si concentra sulle persone che usano alcol o stupefacenti, con visioni semplicistiche che non risolvono un problema più endemico: non fa niente, o quasi niente, su velocità e distrazione», dice Alberto Gianera, attivista per l’associazione Città delle persone.

La riforma interviene in senso restrittivo anche sulle piste ciclabili e prevede, tra le altre cose, che le condizioni per la loro realizzazione siano stabilite da un decreto del ministero dei Trasporti. Il decreto dovrebbe essere approvato entro due mesi dall’entrata in vigore della legge, ma gli attivisti temono che la scadenza non venga rispettata e che a causa dell’incertezza alcune amministrazioni locali finiscano per perdere finanziamenti pubblici o fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR): «È una moratoria», dice Fabio Bettani, un attivista del movimento Salvaiciclisti Bologna.

Una manifestazione a Milano contro la riforma del codice della strada, il 10 marzo (ANSA/MOURAD BALTI TOUATI)

Vengono anche eliminate le cosiddette “case avanzate”, una definizione introdotta nel 2020 per riferirsi agli spazi riservati ai ciclisti negli incroci regolati dai semafori: sono spazi davanti alla linea d’arresto delle auto in cui le bici possono aspettare che il semaforo diventi verde e in sostanza partire prima delle auto. Con la riforma saranno sostituite da “zone di attestamento ciclabile”, spazi simili che però potranno essere attivati solo su strade dove il limite di velocità è di 50 chilometri orari e dove è già presente una pista ciclabile, con un peggioramento della sicurezza per i ciclisti su tutte quelle strade.

La riforma inoltre elimina l’obbligo per gli automobilisti di dare la precedenza ai ciclisti: dovranno solo «prestare particolare attenzione», una formulazione vaga e che in caso di contenziosi permetterà un’interpretazione più larga della norma. Viene anche introdotto l’obbligo per le auto che sorpassano una bici di mantenere una distanza di sicurezza di almeno 1,5 metri, ma solo «ove le condizioni della strada lo consentano».

Secondo l’Istat, l’Istituto italiano di statistica, nel 2022 le cause più frequenti per gli incidenti stradali erano la guida distratta, l’eccessiva velocità e il mancato rispetto della precedenza, che insieme costituivano il 38,1 per cento delle cause degli incidenti. Gli attivisti ritengono che la riforma non intervenga in modo adeguato su questi fattori e soprattutto sul problema della velocità: «La riforma è stata annunciata con l’obiettivo di migliorare la sicurezza stradale, ma non fa niente di quello che servirebbe» per raggiungere l’obiettivo, dice Bettani. «Alcune norme ci riportano all’epoca in cui venivano colpevolizzate le vittime, ossia gli utenti deboli della strada: è un passo indietro».

Tra il 9 e il 12 marzo molte associazioni riunite nella piattaforma #Città30Subito hanno organizzato manifestazioni nelle principali città italiane con lo slogan “Stop al nuovo codice della strage”. Tra le altre, domenica a Milano un centinaio di ciclisti ha protestato davanti alla sede della prefettura, mentre in piazza Santi Apostoli a Roma circa 50 persone si sono sdraiate per terra indossando tute e maschere bianche simbolicamente imbrattate di “sangue”, per rappresentare le vittime degli incidenti stradali.

Alle proteste ha aderito anche la Federazione italiana ambiente e bicicletta (FIAB). «Siamo nettamente contrari alla riforma, che va in direzione contraria rispetto a tutti i dati sugli incidenti e sulla sicurezza stradale» degli ultimi anni, dice il consigliere nazionale Luca Polverini. «Le norme sono un attacco frontale alla mobilità sostenibile, che invece dovrebbe essere incentivata».

Negli ultimi mesi Polverini e i rappresentanti di altre associazioni hanno provato a mettersi in contatto con il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per presentare le loro proposte di modifica della riforma, ma le istituzioni si sono dimostrate poco ricettive: «Il dialogo c’è, ma spesso su questo tema è a senso unico. I risultati sono stati pressoché nulli», dice Polverini.

Se sarà approvata alla Camera, la riforma passerà all’esame del Senato.