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  • Martedì 5 marzo 2024

Gli americani sono ingenui

Ma da quelle parti l'aggettivo non ha il significato che gli diamo noi: qualche pagina di Frontiera, il nuovo libro di Francesco Costa, in libreria da oggi

L'astronauta Buzz Aldrin e, riflesso nella visiera del suo casco, l'astronauta Neil Armstrong durante la missione Apollo 11, che portò i primi esseri umani sulla Luna, 20 luglio 1969. La foto è stata diffusa dalla NASA
(Neil Armstrong/NASA via AP)
L'astronauta Buzz Aldrin e, riflesso nella visiera del suo casco, l'astronauta Neil Armstrong durante la missione Apollo 11, che portò i primi esseri umani sulla Luna, 20 luglio 1969. La foto è stata diffusa dalla NASA (Neil Armstrong/NASA via AP)

È uscito martedì nelle librerie Frontiera, il nuovo libro del vicedirettore del Post Francesco Costa, pubblicato da Mondadori. Frontiera racconta come sono fatte le persone statunitensi, come pensano, come guardano a se stesse e al mondo, e perché le risposte a queste domande permettono di concludere che anche questo sarà un secolo americano, nel bene e nel male. Frontiera ha una struttura originale ed è composto da frammenti che possono essere lunghi poche righe o molte pagine, accostati tra loro in modo evidentemente non casuale ma non sempre immediato, ed è zeppo di storie sul passato e sul presente negli Stati Uniti.

Tutte insieme, scrive Costa, queste storie illuminano il momento «affascinante e contraddittorio, poco compreso e per certi versi unico nella loro vicenda nazionale» che stanno attraversando gli Stati Uniti: un boom economico dalle conseguenze vastissime, dalla riduzione delle diseguaglianze fino al grande aumento degli stipendi, frutto di un colossale piano di investimenti pubblici volta per volta mascherato da “lotta all’inflazione”, “ristori per il Covid” e “lotta al cambiamento climatico”, ma che è servito soprattutto a riorientare l’intera economia statunitense in modo da prepararla alla competizione del secolo con la Cina, che invece affronta il suo momento più complesso da decenni e ha rinunciato al sorpasso descritto a lungo come inesorabile.

Eppure negli Stati Uniti il quadro politico è scoraggiante, la popolazione è incattivita e litigiosa, le donne hanno perso il diritto a interrompere una gravidanza, la stragrande maggioranza delle persone è felice della propria condizione individuale ma scontenta di come stia andando il paese. Com’è possibile che queste cose accadano contemporaneamente, nello stesso posto? In questo estratto di Frontiera, Costa racconta perché l’ingenuità è un tratto fondamentale delle persone statunitensi – ma non nel senso che diamo noi a questo aggettivo.

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C’è un tratto culturale degli americani che si nota dopo quasi tutti gli altri. Ne vediamo da subito gli effetti nei loro comportamenti, nelle scelte che fanno, nel modo in cui reagiscono alle cose, nelle idee che abbracciano e in quelle che non attecchiscono, ma soltanto a un certo punto riusciamo davvero a unire i puntini e capire che in cose diverse stiamo osservando la stessa, a ricostruire l’origine di quello che a un primo sguardo è l’immagine disordinata di un certo modo di essere americani, di comportarsi da americani, di guardare al mondo da americani.

È una caratteristica difficile da mettere a fuoco, anche perché ci mancano le parole. Gli americani, quando vogliono avvicinarsi a quel concetto, usano la parola ingenuity, che però in inglese non vuol dire ingenuità bensì ingegno, inventiva, abilità. Fuochino. Quello che intendiamo noi per ingenuità, invece, significa – dal dizionario Treccani – «sincerità, innocenza, candore d’animo, semplicità e anche dabbenaggine». Fuochino anche qui. Questo tratto che vediamo sempre ma in controluce, che intuiamo ma non sappiamo definire, è un po’ ingenuity ed è un po’ ingenuità, ed è un po’ un misto di entrambe, sincerità e guasconeria, innocenza e inventiva, e quello che viene fuori mescolando gli ingredienti. […]

Questo tratto si vede in John Fitzgerald Kennedy quando nel 1962 disse: «Andremo sulla Luna entro la fine del decennio». Si vede nel pubblico davanti a lui che non reagì sghignazzando. Si vede nel paese che poi effettivamente mandò un uomo sulla Luna nel 1969. Si vede nell’incauta euforia con cui negli anni Novanta furono abbracciati i farmaci antidolorifici che finalmente facevano sparire i dolori cronici, e che però hanno trasformato milioni di americani in tossicodipendenti. Si vede nel discorso improvvisato di George W. Bush col megafono sulle macerie del World Trade Center, il 14 settembre del 2001, quando i vigili del fuoco urlavano che non riuscivano a sentirlo e lui con prontezza rispose: «Io vi sento! Gli americani vi sentono! E presto vi sentiranno anche quelli che hanno tirato giù questi palazzi». Si vede nell’idea di mondo dietro la cosiddetta «esportazione della democrazia».

Si vede in Kathrine Switzer, che diventò la prima maratoneta di sempre infilandosi nella gara di Boston e continuò a correre anche quando un ufficiale di gara tentò di fermarla e strapparle la pettorina. Si vede in Bernie Madoff, che condusse per decenni sotto gli occhi di tutti la più grande truffa finanziaria della storia, e in Jonas Salk, che sviluppò il vaccino contro la poliomielite e alla vigilia della prima storica vaccinazione di massa, decise di non depositarne il brevetto. Si vede in Elizabeth Holmes, la giovane imprenditrice che senza alcuna fatica imbrogliò investitori e banche convincendoli di aver inventato una macchina capace di analizzare il sangue prelevandone solo una goccia, si vede nel leggendario attivista e politico afroamericano John Lewis che si fece picchiare e insultare dai suoi compagni per addestrarsi a incassare e non reagire, come avrebbe fatto poco dopo sedendosi al bancone del bar nel posto dei bianchi.

Ma si vede in molte altre cose più piccole, alcune quasi impercettibili, comuni, quotidiane, nello sguardo sul mondo e su se stessi, nelle condizioni di solitudine, sfarzo, degrado o cosmopolitismo in cui riescono comunque a essere riconoscibilmente americani, nel modo che hanno di andare al punto, nella loro aggressività infantile, nel patriottismo sguaiato, nella fiducia che sanno avere in se stessi e nel prossimo, a volte sventatamente.

Le case americane sempre con la porta aperta non sono un espediente narrativo dei film o delle serie tv, reso necessario dal fatto che le gag di Friends o Seinfeld non avrebbero funzionato se ogni volta Chandler e Kramer avessero dovuto cercare le chiavi: moltissimi americani lasciano davvero aperta la porta di casa, a New York come in campagna. E certo, penserete, magari hanno anche una pistola nel cassetto del comodino: esatto. Parliamo esattamente di questo. Parliamo di come non trovino niente di ironico nel fatto che le persone straniere prima di entrare negli Stati Uniti debbano compilare un modulo in cui dichiarano che non hanno intenzione di organizzare attentati terroristici. Parliamo dei giocatori di basket che guardano sempre e solo il canestro e pensano a tirare non appena ricevono il pallone. Parliamo di come persone così semplici abbiano costruito mercati così sofisticati. Parliamo della fede assoluta nei processi e nella pianificazione: di come la capacità di trovare sempre la strada più breve, nel bene e nel male, possa incredibilmente andare di pari passo con burocrazie che a volte fanno impallidire le nostre.

Si possono solo fare delle ipotesi per individuare le origini di questa strana crasi fra purezza e malizia, scaltrezza e candore.

Qualcuno le identifica nelle conseguenze di una storia molto breve, di un passato che non ha lasciato in eredità tradizioni millenarie e aristocrazie ingombranti. Crescere in un contesto socioculturale simile avrebbe quindi prodotto questa diffusa propensione all’imprenditorialità, alla relazionalità, al cambiamento, alla persuasione e all’autopersuasione, al racconto e all’autoracconto. Nei luoghi dove quasi tutto è già successo un milione di volte, dove il passato è tale che quasi tutto è considerato sacro, dove la ricchezza è in mano alle stesse famiglie letteralmente da secoli, le persone tenderanno a pensarsi fin dalla nascita come destinate a dare un contributo incrementale, quando non addirittura conservativo, al mondo che hanno trovato.

Dove invece non si percepisce il peso della storia, dove non è esistito il feudalesimo e dove quasi tutto è vuoto, sarà più facile immaginarsi innovatori, conquistatori, costruttori, protagonisti. Negli Stati Uniti le cose vengono costantemente reinventate. Le chiese diventano megachurch guidate da intrattenitori televisivi. L’acqua minerale viene venduta in cinquanta sapori diversi. Lo sport diventa puro intrattenimento. Guidano macchine con sei ruote. Ci siamo girati un attimo e le fabbriche sono diventate uffici, un’altra volta e gli uffici sono diventati appartamenti. In ogni momento tirano su e tirano giù, demoliscono e ricostruiscono, cancellano e rinnovano.

Altri credono che non possa esistere una società senza passato, e che in questo tratto peculiarmente americano si vedano piuttosto le culture dei popoli che hanno fatto gli americani, gli inglesi e gli irlandesi soprattutto: il puritanesimo e il calvinismo della cultura protestante avrebbero portato a questo strano miscuglio di idealismo fanciullesco e concretezza ferina, mentre l’insofferenza verso l’Impero britannico avrebbe generato moralismo, repubblicanesimo, senso di giustizia. La percezione di avere un destino irresistibile da compiere.

Altri ancora riconducono questa mentalità a una nazione che si è sviluppata nello stesso momento in cui nel mondo si sviluppava il capitalismo, e nella quale quindi un nuovo sistema economico destinato a orientare il pianeta per manifesta superiorità su tutti gli altri – esclusi quelli immaginari – poté incontrare meno resistenza e radicarsi più rapidamente che altrove, producendo una cultura centrata sulla risoluzione dei problemi, sulla replicabilità del successo, sulla ricerca delle nuove idee, sulla propensione al rischio, sulla praticità sopra l’astrattezza. Centrata sulla pretesa di una costante presunzione d’innocenza, fondata sulla legittimità e la purezza intrinseca di ogni azione che si possa presentare come volta al miglioramento delle proprie condizioni di vita o alla protezione dei propri interessi.

E, quindi, a un’altrettanto costante perdita dell’innocenza.

© 2024 Mondadori Libri S.p.A., Milano
Pubblicato in accordo con S&P Literary – Agenzia letteraria Sosia & Pistoia

Costa presenterà Frontiera durante la nuova edizione di Pensavo Peccioli, il festival progettato e curato dal direttore del Post Luca Sofri a Peccioli, in provincia di Pisa, venerdì 8 marzo.