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  • Lunedì 26 febbraio 2024

Il tentato linciaggio di una donna in Pakistan, a causa del suo vestito

Perché decorato con una scritta in arabo che è stata erroneamente interpretata come un verso del Corano: la polizia ha evitato che centinaia di persone la attaccassero

(@hash_eem22/Twitter)
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Domenica a Lahore, in Pakistan, una folla di persone ha tentato di linciare una donna per strada a causa del suo abbigliamento. La fantasia colorata del suo vestito – un “kurta”, un’ampia camicia lunga fino alle ginocchia molto diffusa in Pakistan, ma anche Afghanistan, Bangladesh, India e Sri Lanka – riportava infatti la parola araba halwa, che significa “dolce”, e che la folla aveva erroneamente scambiato per un verso del Corano (visto che in Pakistan non si parla arabo) accusando di fatto la donna di blasfemia per averla mostrata sopra un vestito.

È stata la polizia a salvare la donna dal linciaggio della folla: è dovuta intervenire con molti agenti per proteggerla all’interno di un negozio e poi trattare con la folla per portarla in commissariato, evitando che venisse linciata.

In Pakistan l’Islam è religione di stato e la blasfemia è un reato punito per legge con pene molto gravi, che comprendono anche la condanna a morte, in base a una legge approvata nel Diciannovesimo secolo durante la dominazione inglese ma resa più rigida nel 1980. Da allora nessuna condanna a morte è stata eseguita, ma 89 persone sono state uccise, per lo più linciate dalla folla, dopo essere state accusate di blasfemia.

La donna era a Lahore col marito per fare alcuni acquisti, secondo quanto riferito in seguito. La contestazione è cominciata da alcuni uomini presenti nella zona, che l’hanno accusata di essere blasfema e invitata con forza a togliersi il kurta. In pochi minuti la donna è stata circondata da decine di persone e si è rifugiata in un negozio, protetta da alcuni negozianti che hanno chiamato la polizia. Non è chiaro come la parola presente sul vestito possa essere stata confusa per un verso del Corano: in Pakistan la lingua ufficiale è l’urdu, è probabile che chi ha visto il vestito non sapesse leggere l’arabo, ma abbia proceduto con un automatismo collegando quella calligrafia al testo sacro islamico. Molte delle decine di persone che si sono radunate intorno al negozio peraltro non avevano nemmeno visto la donna, ma sono state attirate dal passaparola.

Secondo quanto riportato da media locali quando alle 13:10, ora locale, gli agenti sono arrivati, circa 300 persone si erano radunate intorno al negozio. Alcuni video sui social media testimoniano poi le “trattative” portate avanti soprattutto dalla vice sovrintendente della polizia Syeda Shehrbano, che ha convinto la folla a lasciare uscire la donna perché gli agenti la accompagnassero in commissariato, assicurando che «avrebbero preso le misure necessarie se fosse stata ritenuta colpevole di reati previsti dalla legge».

In seguito alcuni studiosi religiosi hanno analizzato le scritte sul vestito e confermato che non erano in alcun modo citazioni dal Corano e non rappresentavano blasfemia. La polizia locale ha registrato un video dal commissariato per placare la folla: oltre alle testimonianze degli studiosi, riporta anche le “scuse” della donna, che ha detto di aver scelto il vestito solo perché le piaceva il disegno, di non aver avuto intenzione di offendere nessuno e di essere «molto religiosa».

La pubblicazione del video di scuse è stata criticata da parte dell’opinione pubblica pachistana, perché sembra giustificare la reazione della folla. La vice sovrintendente Sherbano ha detto che la reazione delle centinaia di persone è stata in parte fomentata da rappresentanti del partito islamico fondamentalista Tehreek-e-Labbaik Pakistan (TLP).

Il Pakistan non ha mai messo in discussione le leggi sulla blasfemia, ma al contrario le ha rese più rigide nelle prime settimane del 2023 per decisione del parlamento: se insultare il Corano o il profeta Maometto poteva già portare a una condanna a morte, da allora anche atti e parole contro i parenti del profeta possono essere puniti con dieci anni di prigione, estendibili fino all’ergastolo in caso di determinate aggravanti. Secondo i dati del think tank pachistano Centro di ricerche e studi per la sicurezza (CRSS), le accuse e i casi di blasfemia dal 1947 sono stati 1.415, ma oltre 1.200 sono relativi al decennio 2011-2021: 18 donne e 71 uomini sono stati uccisi in seguito alle accuse, ma prima di un processo.

L’ultimo caso che avuto rilevanza anche sui media internazionali riguarda gli attacchi a quattro chiese e molte abitazioni della minoranza cristiana a Jaranwala, nel Punjab, ad agosto: si era diffusa la notizia che in un’area della città abitata da una minoranza cristiana fossero state trovate due pagine del Corano strappate e imbrattate con scritte rosse blasfeme. Nel febbraio 2023 nel Punjab un uomo accusato di aver dissacrato il Corano era stato picchiato a morte dalla folla, che lo aveva prelevato da una stazione di polizia dove era in custodia.