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  • Lunedì 13 febbraio 2023

L’ultimo linciaggio per blasfemia in Pakistan

Nel Punjab un uomo accusato di aver dissacrato il Corano è stato picchiato a morte dalla folla fuori da una stazione di polizia: e non è un caso isolato nel paese

La stazione di polizia di Warburton assaltata dalla folla (AP Photo/K.M. Chaudary)
La stazione di polizia di Warburton assaltata dalla folla (AP Photo/K.M. Chaudary)
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Sabato in Pakistan un uomo che era in custodia della polizia con l’accusa di blasfemia è stato prelevato e ucciso dalla folla. Oltre un centinaio di uomini hanno assaltato la stazione di polizia, lo hanno trascinato fuori e picchiato a morte. I linciaggi per motivi religiosi sono piuttosto ricorrenti in Pakistan, così come le accuse di blasfemia, utilizzate spesso per intimidire le minoranze religiose o per risolvere questioni personali.

L’ultimo caso è avvenuto a Warburton, vicino a Nankana Sahib, nella provincia nord orientale del Punjab. L’uomo in custodia della polizia si chiamava Muhammad Waris, aveva circa trent’anni ed era accusato di aver dissacrato alcune pagine del Corano. I giornali locali hanno detto che Waris aveva incollato delle immagini sue, di sua moglie e di un coltello su varie pagine di una copia del Corano. Il suo gesto era stato visto da alcuni abitanti musulmani di Warburton, che avevano iniziato a picchiarlo.

Il primo linciaggio da parte della folla era stato interrotto dalla polizia, che lo aveva prelevato e incarcerato con l’accusa di blasfemia.

Un uomo indica l’abitazione di Muhammad Waris, linciato dalla folla (AP Photo/K.M. Chaudary)

Poche ore dopo la sua reclusione una folla piuttosto numerosa si era raccolta intorno alla stazione di polizia, come testimoniato da alcuni video: è bastata una scala in legno per superare il portone centrale, senza opposizione da parte della polizia. Una volta aperto il portone, la folla aveva assaltato la stazione, aveva prelevato Waris dalla cella e lo aveva trascinato in strada nudo, dove era stato picchiato a morte, anche con bastoni e aste di metallo. Secondo un portavoce della polizia la folla era stata interrotta dall’intervento di reparti della polizia supplementari mentre cercava di bruciare il cadavere della vittima, cosa che avviene in molte occasioni dopo i linciaggi.

In Pakistan, stato islamico, la legge prevede anche la pena di morte come punizione per atti blasfemi. Quando non sono preceduti da giustizia sommaria da parte della folla i processi hanno spesso un verdetto scritto in partenza: assolvere un accusato di blasfemia può essere pericoloso per gli stessi giudici.

L’ultimo caso di linciaggio per sospetta blasfemia ad aver avuto una certa rilevanza internazionale era stato quello di cui era stato vittima Priyantha Diyawadana, cittadino dello Sri Lanka e manager d’azienda, accusato di aver strappato alcuni manifesti che riportavano frasi di Maometto: era stato picchiato a morte dalla folla e il suo corpo era stato bruciato. Indagini successive riscontrarono che le accuse erano false e che il manager era stato vittima di una vendetta privata da parte di alcuni dipendenti che avevano aizzato la folla.

Una commemorazione del manager dello Sri Lanka ucciso in Pakistan (AP Photo/K.M. Chaudary)

Secondo molte organizzazioni locali e internazionali che si occupano di diritti umani, fu un caso piuttosto esemplificativo di come le accuse di blasfemia vengano utilizzate in Pakistan. Secondo un rapporto della commissione per i Diritti umani del Pakistan nel biennio fra il 2021 e il 2022 sono state 585 le denunce per blasfemia registrate dalla polizia nel paese, con un’alta concentrazione nella regione del Punjab.

Il linciaggio di sabato è stato condannato dal primo ministro pakistano Shehbaz Sharif, che ha inoltre ordinato indagini sul comportamento della polizia. Anche queste sono reazioni piuttosto consuete, che si sono ripetute per casi diversi con primi ministri diversi. Il problema è che il Pakistan non ha mai davvero affrontato la questione e soprattutto non ha mai messo in discussione la rigidissima legge sulla blasfemia, già al centro di polemiche internazionali per il caso di Asia Bibi, ragazza cristiana di undici anni condannata a morte per blasfemia e assolta solo otto anni dopo sotto forti pressioni della comunità internazionale.

Al contrario, la legge contro la blasfemia è stata resa più rigida nelle prime settimane del 2023, per decisione del parlamento: se insultare il Corano o il profeta Maometto poteva già portare a una condanna a morte, ora anche atti e parole contro i parenti del profeta possono essere puniti con dieci anni di prigione, estendibili fino all’ergastolo in caso di determinate aggravanti. Il Pakistan ha ereditato una legge ottocentesca dell’Impero britannico riguardo alla blasfemia, e a partire dagli anni Ottanta l’ha resa più stringente e ha aumentato le pene. Oggi è uno dei tre paesi al mondo, insieme a Brunei e Mauritania, a prevedere la pena di morte per blasfemia.

Il Pakistan non è però l’unico paese dell’area in cui i linciaggi e le accuse per motivi religiosi sono frequenti: anche in India sono piuttosto comuni, condotti per lo più da persone indù nei confronti delle minoranze sikh e islamiche. Sono favoriti da una legislazione carente nel contrastare le manifestazioni violente della folla e talvolta indirettamente alimentati dalla politica, che sfrutta le divisioni religiose per generare consenso. Il partito di governo induista di Narendra Modi negli ultimi anni si è spostato su posizioni che vengono definite sempre più di “estremismo religioso”.

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