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  • Venerdì 23 febbraio 2024

Qualcosa si sta muovendo per permettere l’affettività e il sesso in carcere

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale al Due Palazzi di Padova si parla di sperimentare colloqui senza controlli, allestendo spazi appositi

Foto del corridoio del carcere Due Palazzi di Padova
(Foto Davide Bolzoni/Ansa)
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Due settimane dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il divieto assoluto all’affettività in carcere, sono in corso discussioni e iniziative per permettere alle persone detenute di esercitare il loro diritto all’affettività e alla sessualità. Le associazioni che lavorano con il carcere Due Palazzi di Padova hanno annunciato che partirà una prima sperimentazione italiana per permettere incontri tra detenuti e i loro partner in privato, senza controlli. Sarebbe la prima volta, visto che finora avere rapporti sessuali in carcere di fatto era impedito dalla norma che impone il controllo a vista durante i colloqui con coniugi o conviventi.

Dell’iniziativa, che è ancora in una fase molto iniziale, ha scritto il Corriere del Veneto che ha intervistato Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti, storica rivista del carcere di Padova legata all’associazione “Granello di Senape”, che da anni si occupa di diritti dei detenuti. Favero ha detto che ha incontrato assieme ad alcune associazioni di volontariato il direttore del Due Palazzi che «si è detto favorevole» all’avvio della sperimentazione.

Sulla questione è stato sentito il 21 febbraio dalla Commissione Giustizia alla Camera anche Giovanni Russo, a capo del DAP, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Russo ha detto che sull’affettività «intendiamo dare non piena ma, di più, una avanzata risposta all’ordine specifico che la Corte Costituzionale ha dato, in attesa delle valutazioni del legislatore, all’amministrazione penitenziaria», e ha aggiunto che, vista la situazione, devono essere resi possibili colloqui privi di controllo. «Io li chiamerei così, poi all’espressione sull’affettività naturalmente ci si arriva però non è quello l’obiettivo principale».

Secondo le associazioni, la pratica dovrebbe partire a breve: nelle prossime settimane dovrebbero essere fatti sopralluoghi al Due Palazzi per decidere dove verranno creati gli spazi per gli incontri privati. L’ipotesi per ora è che vengano posizionati container o prefabbricati in alcune aree verdi del cortile. «La speranza è che, sollecitati dal capo del DAP, si muovano tutti i direttori, e che colgano l’importanza di far fronte al disagio e alla sofferenza crescenti nelle carceri allargando al massimo tutte le possibili occasioni di incontro con i propri cari delle persone detenute», hanno scritto in un comunicato congiunto le associazioni di volontariato.

Durante l’audizione Russo ha anche detto che il DAP è favorevole a concedere alle persone detenute la possibilità di fare telefonate senza che siano imposti limiti di numero (ad eccezione dei detenuti del 41-bis): «Già adesso il direttore del carcere ha la possibilità di autorizzare anche cento telefonate al giorno», ha detto Russo. Ad oggi, per legge, i detenuti hanno diritto a una telefonata di dieci minuti alla settimana, con alcune deroghe, per esempio per chi ha figli piccoli. «Ricordiamo che nella casa di reclusione di Padova e in pochi altri istituti il direttore aveva già accettato di mantenere, a fine pandemia, la telefonata quotidiana per buona parte dei detenuti».

In Italia si discute da anni di diritto all’affettività e alla sessualità dei detenuti, anche per via di varie iniziative – nazionali ed europee – per promuovere e far rispettare questo diritto. Spesso è stato fatto notare che il riconoscimento di questo diritto si ispira ai principi costituzionali e ai regolamenti europei e italiani sulle carceri, che vietano i trattamenti inumani e degradanti e tutelano il diritto al rispetto della vita privata e familiare dei detenuti.

La sentenza della Corte Costituzionale ha riconosciuto la validità di questi argomenti. L’articolo 18 della legge sull’ordinamento penitenziario è stato definito dalla Corte contrario agli articoli 3 e 27 (terzo comma) della Costituzione: il primo stabilisce la pari dignità sociale di tutti i cittadini e attribuisce allo Stato il compito di rimuovere gli ostacoli alla loro libertà, uguaglianza e al «pieno sviluppo della persona umana»; il secondo dice che le pene «non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».