Il mercato secondario delle sneakers non va più come un tempo

I prezzi stanno diminuendo anche se i volumi di vendita sono gli stessi: c'entrano la fine delle Yeezy e del cosiddetto “scarcity marketing”

(AP Photo/Seth Wenig)
(AP Photo/Seth Wenig)
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Lo scorso autunno sono falliti due importanti siti europei di rivendita di sneakers, le scarpe sportive usate anche per la vita di tutti i giorni: Restocks, una piattaforma con sede nei Paesi Bassi, e Kikikickz, una con sede in Francia. Si occupavano di fare reselling, cioè di rivendere su un canale secondario solo alcuni tipi di sneakers, quelle più rare e cercate, acquistate anche a prezzi molto più alti di quelli originari. Non sono due casi isolati, ma rientrano in una crisi più ampia della rivendita, che sta risentendo di un generale calo di interesse intorno a questo tipo di scarpe – molto alla moda ma talvolta assai costose – e anche di un cambio di strategia dei più grandi marchi, come Nike e Adidas.

Il mercato del reselling era diventato popolarissimo all’inizio degli anni Dieci, seguendo una diffusa e nuova attenzione nei confronti delle sneakers per la verità iniziata lentamente decenni prima. La prima scarpa sportiva sulla passerella di una sfilata era comparsa nel 1996 grazie a Miuccia Prada, poi da allora erano seguiti molti altri marchi di lusso, sdoganandole definitivamente e facendole diventare un prodotto dai numeri enormi e apprezzato trasversalmente. Visto questo successo, si era creato un meccanismo da iniziati per avere quelle più ricercate e “rare”, come per esempio le Yeezy, un modello venduto in edizioni limitate da Adidas e disegnato da Kanye West, o alcune versioni di Air Jordan, le scarpe di Nike con il marchio del leggendario giocatore di basket Michael Jordan.

Spesso l’unico modo per acquistarle tramite i canali ufficiali era aspettare un drop, una vendita in edizione limitata e in piccole quantità in pochi negozi selezionati: si creavano lunghe code davanti ai negozi, i siti dei negozi si impallavano per il troppo traffico, e tipicamente quando i prodotti venivano messi sul mercato si esaurivano rapidamente.

La vendita non faceva leva sulla qualità dei prodotti e nemmeno sul costo, ma sull’esclusività, sul “compra ora o mai più”. Questa modalità di vendita aveva contribuito a rendere le sneakers prodotti ancora più esclusivi e desiderati, e rientrava in una strategia generale di approccio al consumatore che per anni era stata assai seguita da molte aziende dello streetwear, l’abbigliamento sportivo di tendenza: quella che in gergo viene definita scarcity marketing, ossia la creazione di interesse tra i consumatori tramite la rarità dei prodotti.

Dagli anni Dieci insomma, si erano moltiplicati i siti specializzati nella rivendita di sneakers rare e introvabili, con un interesse dei consumatori e una rivalutazione dei modelli più desiderati spesso difficili da prevedere: perché seguivano – seguono – logiche a volte imponderabili. Magari un’attenzione particolare per un colore, per una storia a cui quella sneakers è collegata, per una collaborazione con un rapper molto famoso. In ogni caso il mercato ha raggiunto il suo picco verso la fine del 2022, e ora sembra iniziata una crisi.

Oltre ad alcuni siti che hanno chiuso, anche le più grandi piattaforme internazionali di reselling, come StockX, Stadium Goods e GOAT, hanno dovuto trovare il modo di diversificare le loro attività. Come scrive il sito specialistico Business of Fashion, nel 2022 GOAT ha acquistato una piattaforma di vendita online di streetwear di fascia alta, Grailed, che ha aiutato l’azienda a essere meno dipendente dalla vendita secondaria di sneakers; mentre un tempo era specializzata nella vendita di scarpe e streetwear, adesso StockX vende di tutto, dalle carte da collezione alle PlayStation. A gennaio StockX ha anche licenziato 40 dipendenti.

E questo perché è venuta un po’ meno la ragione per cui esistevano questi rivenditori, ossia l’estrema desiderabilità dei prodotti che offrivano. In generale sembra si sia un po’ ridotta l’attrattività delle sneakers: un po’ perché negli anni anche i più appassionati collezionisti hanno accumulato versioni sempre più simili delle stesse scarpe, come se il mercato si fosse saturato; un po’ perché in un contesto di rincaro generalizzato del costo della vita molti non sono più disposti a spendere diverse centinaia o migliaia di euro per comprare scarpe sportive.

Ma soprattutto è venuta meno la rarità delle sneakers vendute nel mercato secondario. Il mercato dell’abbigliamento sportivo ha infatti ridotto la sua dipendenza dai drop, dalle aspettative e dalla frenesia che si generano nell’attesa dell’uscita di nuovi prodotti, anche come conseguenza di scelte di Nike e Adidas che hanno poi guidato il mercato.

Nike ha aumentato la produzione di alcune delle sue scarpe più richieste, come le Jordan 1 e le Dunk, riducendone di conseguenza il valore nel mercato secondario, che si basava appunto sulla scarsità dell’offerta a fronte di una richiesta altissima. Lo stesso ha fatto New Balance con il suo modello 550, e Adidas con alcune versioni delle Samba e delle Gazelle. Alcuni modelli che un tempo erano particolarmente difficili da trovare sono diventati facilmente reperibili nei rivenditori ufficiali, a prezzi ovviamente più bassi del mercato secondario.

Queste decisioni sono motivate soprattutto dal desiderio delle aziende di monetizzare l’enorme interesse che si era creato negli anni passati attorno ai loro prodotti dopo anni di scarcity marketing, cosa che non riuscivano a fare tenendo limitata la quantità di prodotto in circolazione: Nike o Adidas guadagnavano poco dal fatto che le loro scarpe fossero rivendute online a prezzo maggiorato, poi assecondavano il fenomeno perché faceva gioco ai propri marchi, migliorava il loro status.

In più Adidas ha dato un grosso colpo al reselling smettendo di produrre le Yeezy, dopo la fine della sua collaborazione con Kanye West a causa delle sue posizioni antisemite. Le Yeezy erano le scarpe che forse più di tutte avevano vivacizzato il mercato secondario, e lo avevano fatto a lungo, in quanto popolarissime e prodotte in quantità davvero limitate.

Tutto questo non significa che il mercato secondario necessariamente scomparirà, anzi, ci sono molte sneakers rivendute a prezzi piuttosto alti ancora oggi. Tuttavia l’effetto cumulativo ha avuto già qualche conseguenza. Secondo i dati raccolti dalla piattaforma Neustreet, che riguardano le vendite dei più grossi rivenditori di sneakers, i prezzi generali dei tre marchi più importanti (Adidas, Nike e Jordan) sono scesi costantemente per tutto l’anno scorso.