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  • Venerdì 16 febbraio 2024

Il carcere di Sollicciano è messo male anche per gli standard italiani

È il più grande della Toscana e le sue condizioni igienico-sanitarie sono pessime: in sette hanno ottenuto sconti di pena per essere stati detenuti in condizioni “inumane e degradanti”

Ingresso del carcere di Sollicciano di notte
(ANSA/MAURIZIO DEGL'INNOCENTI)
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Mercoledì 14 febbraio Gafur Hasani, un uomo di 51 anni di nazionalità serba, è morto all’ospedale Careggi di Firenze. Da qualche settimana era in custodia cautelare nel carcere di Sollicciano, nella periferia ovest della città, accusato di rapina. Le circostanze della sua morte non sono chiare, si era sentito male il 31 gennaio nella sua cella e poi era svenuto. I compagni a quel punto avevano chiamato la sorveglianza e Hasani era stato trasferito in ospedale, ma nonostante l’assistenza medica non si è più risvegliato dal coma ed è morto circa due settimane dopo. Prima del 31 gennaio Hasani aveva scritto alcune lettere ai familiari in cui diceva che nella sua sezione c’erano spesso risse e aggressioni. I suoi avvocati hanno chiesto che venga disposta l’autopsia sul corpo.

In effetti la scorsa settimana nel carcere di Sollicciano c’è stata una grossa rissa tra detenuti di nazionalità nigeriana e albanese. Gli scontri sono iniziati nell’infermeria della struttura e i detenuti coinvolti hanno rotto un plexiglas le cui schegge hanno ferito due agenti della polizia penitenziaria, che sono stati portati in ospedale.

Il carcere di Sollicciano è tra i peggiori del sistema penitenziario italiano, già di per sé molto problematico. Come molte altre carceri italiane, è sovraffollato: secondo i dati del ministero della Giustizia a fine gennaio ospitava 565 detenuti, 68 in più rispetto alla capienza massima di 497 posti. La quota attuale è comunque un miglioramento rispetto al passato, considerando che intorno al 2010 la struttura arrivò a ospitare oltre mille detenuti. Sollicciano è anche il carcere con la quota di detenuti stranieri più alta d’Italia: sono 370, il 65 per cento del totale, appartenenti a circa 40 etnie diverse.

Secondo una relazione presentata a gennaio dal presidente della Corte d’appello di Firenze, Alessandro Nencini, tra luglio 2022 e giugno 2023 nel carcere ci sono stati 4 suicidi tra i detenuti, 44 tentativi di suicidio e altrettanti atti di autolesionismo, 50 aggressioni al personale di polizia penitenziaria e 128 scioperi della fame.

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La struttura del carcere, costruito nel 1983, è inadeguata e la situazione igienico-sanitaria è notevolmente peggiorata negli ultimi mesi: in molti reparti ci sono cimici e altri insetti sui muri e nei letti. D’estate fa troppo caldo e d’inverno fa troppo freddo, nella struttura ci sono infiltrazioni, perdite d’acqua, umidità, topi e sporcizia. Oltre ai problemi edilizi e strutturali, all’interno del carcere non ci sono abbastanza spazi da destinare alle attività educative e di formazione e non sono presenti iniziative per favorire l’integrazione dei tanti stranieri presenti.

Nella sua relazione, Nencini ha scritto che Sollicciano «necessiterebbe di un vasto programma di ristrutturazione» e di «interventi di risanamento radicali». Da tempo sono stati appaltati alcuni lavori di ristrutturazione, finanziati con 11 milioni di euro: alcuni sono a buon punto, mentre altri procedono a rilento.

Di recente la situazione disastrosa di Sollicciano è stata confermata dalla magistratura di sorveglianza di Firenze, che si occupa delle pene alternative alla detenzione in carcere e ha riconosciuto a sette detenuti sconti di pena che vanno da 51 a 312 giorni, in base ai casi individuali. La legge prevede che i detenuti per i quali viene stabilita la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che vieta la tortura e i trattamenti “inumani o degradanti”, possano accedere a uno sconto di pena pari a un giorno di detenzione ogni 10 giorni trascorsi in carcere in condizioni non a norma. Tutti i detenuti sono stati assistiti dall’associazione L’altro diritto, che si occupa di temi legati al carcere.

Il caso di cui si è parlato di più è quello dell’uomo che ha ricevuto lo sconto di pena di 312 giorni (circa 10 mesi). La sua identità non è stata resa pubblica. Fu detenuto a Sollicciano per quasi nove anni, dal 2014 al 2022, e nel giugno del 2022 presentò un ricorso tramite L’altro diritto, sostenendo che le condizioni del carcere violassero le disposizioni della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Non è un’accusa nuova: nel 2013, con la “sentenza Torreggiani”, l’Italia fu giudicata colpevole per aver violato l’articolo 3 della CEDU. Nel condannare l’Italia i giudici avevano dato al governo e al parlamento un anno di tempo per rimediare: il governo di Enrico Letta istituì la figura del Garante nazionale dei detenuti, e quello di Matteo Renzi approvò una legge che prevede sconti di pena o denaro ai detenuti reclusi in “condizioni inumane”. Questi rimedi furono giudicati validi dalla Corte e portarono al respingimento di una serie di ricorsi presentati dai carcerati italiani.

Durante alcuni sopralluoghi fatti a Sollicciano tra il 2022 e il 2023, i magistrati di sorveglianza e altri rappresentanti di autorità pubbliche hanno rilevato numerosi problemi strutturali, igienici e sanitari. La procura ha quindi stabilito che le condizioni di detenzione dell’uomo che aveva fatto ricorso violavano l’articolo 3 della CEDU. Il ricorrente era rimasto a Sollicciano per 3.129 giorni, la sua condanna è stata quindi ridotta di 312 giorni. Ha anche ricevuto un rimborso di 72 euro.

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Emilio Santoro, professore di filosofia del diritto all’Università di Firenze e membro dell’associazione L’altro diritto, racconta che in passato erano già stati riconosciuti risarcimenti ad alcuni detenuti di Sollicciano (la prima volta nel 2015), ma sempre per una questione più che altro quantitativa: le autorità avevano stabilito che nelle celle non erano garantiti i 3 metri quadri di spazio personale per detenuto, come richiesto da varie sentenze della CEDU. Nei casi più recenti, invece, i ricorsi sono stati accolti a causa delle condizioni complessive del carcere.

L’altro diritto ha intenzione di presentare molti altri ricorsi simili. L’associazione però non chiederà sconti di pena per i detenuti (per i quali il procedimento burocratico è più lungo e macchinoso), ma l’eliminazione delle condizioni inumane di detenzione e quindi l’adeguamento del carcere alle norme europee. Nelle ultime settimane gli avvocati e i membri di L’altro diritto stanno parlando con tutte le circa 250 persone della sezione penale del carcere, quella per i condannati in via definitiva, per informarle sui loro diritti e chiedere se vogliono presentare ricorso.

Santoro ha detto però che alcuni detenuti si stanno rifiutando per paura di essere trasferiti altrove e allontanarsi dai legami familiari o di amicizia presenti all’interno del carcere nella zona di Firenze. «A volte dicono che preferiscono stare in queste condizioni piuttosto che non sapere dove andranno a finire», dice.

Comunque l’associazione ha preparato finora una decina di nuovi ricorsi, e sta continuando a parlare con i detenuti. Sarà un lavoro lungo: «Ogni ricorso richiede un colloquio di qualche ora con il detenuto, per spiegare la situazione e discutere i possibili scenari», dice Santoro. «Poi ci sono i tempi tecnici della magistratura, che dovrà decidere».

Secondo Santoro anche risanare il carcere e migliorare le condizioni di detenzione non è un obiettivo facile. «Non sarà più sufficiente spostare uno per uno i detenuti: se anche una cella viene disinfestata, ma non viene cambiato il materasso e quella di fianco non viene toccata, dopo quindici giorni ci saranno di nuovo le cimici», spiega. «Bisogna svuotare i blocchi edilizi, risanarli e solo dopo riportare i detenuti». Spostare più di 200 detenuti però è complicato. Un’alternativa potrebbe essere quella di svuotare gradualmente il carcere, non ammettendo nessun nuovo detenuto e spostando quelli già presenti in altre aree della struttura. «Serve però che il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria [dipendente dal ministero della Giustizia, ndr] decida» di farlo, o che il giudice nomini un commissario apposito che si occupi della struttura.