Forse è la volta buona per il voto degli studenti fuori sede, almeno alle europee

Fratelli d'Italia ha proposto una norma sperimentale per le elezioni dell'8 e del 9 giugno, seppure con alcune restrizioni e un po' in ritardo

Un seggio elettorale di Milano, in occasione delle regionali del 2023
(Ermes Beltrami/LaPresse)
Un seggio elettorale di Milano, in occasione delle regionali del 2023 (Ermes Beltrami/LaPresse)
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Lunedì Fratelli d’Italia ha presentato un emendamento al cosiddetto decreto-legge “Elezioni” per consentire in via sperimentale agli studenti fuori sede di votare alle prossime elezioni europee dell’8 e 9 giugno senza dover tornare nel loro comune di origine. L’emendamento è stato presentato da quattro senatori di Fratelli d’Italia in commissione Affari costituzionali del Senato, dove il decreto è in discussione dopo essere stato approvato dal Consiglio dei ministri il 29 gennaio scorso. Al momento è una proposta preliminare, che dovrà essere analizzata e votata prima dal Senato e poi dalla Camera entro fine marzo. C’è dunque ancora spazio per modifiche o ripensamenti, anche se sembra esserci una generale convergenza anche dei partiti di opposizione su questa proposta, che del resto va incontro a una più ampia iniziativa parlamentare che il Partito Democratico porta avanti da più di un anno, e ancora in fase di discussione.

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L’emendamento prevede una «disciplina sperimentale» apposita per le sole elezioni europee dell’8 e del 9 giugno 2024, e riguarda soltanto gli studenti che vivono fuori sede da almeno tre mesi (non i lavoratori o chi si trova fuori dal suo comune di residenza per motivi di salute). Se passasse l’emendamento così com’è entrerebbero in vigore due procedure diverse, a seconda dei casi. A seconda, cioè, che lo studente si trovi comunque nella stessa circoscrizione elettorale, oppure viva in un comune che ricade in una circoscrizione diversa. Per le elezioni europee, infatti, il territorio nazionale è suddiviso in cinque grandi circoscrizioni elettorali, cioè parti di territorio in cui si sfidano i vari candidati: Nord-Est, Nord-Ovest, Centro, Sud, Isole.

Marco Lisei, senatore di FdI e primo firmatario dell’emendamento (Michele Nucci/LaPresse)

Se lo studente fuori sede si trova a dover votare all’interno della stessa circoscrizione (per esempio: uno studente di Bari che sta a Napoli), potrebbe semplicemente votare in un seggio nel suo comune di domicilio. La procedura in questo caso è agevolata perché la scheda elettorale è la stessa sia a Bari sia a Napoli, trovandosi entrambe le città all’interno della stessa circoscrizione Sud. Lo studente fuori sede dovrebbe dunque presentare una richiesta al suo comune di residenza almeno 35 giorni prima della data delle elezioni: a quel punto il comune che riceve la richiesta ha 15 giorni per approvarla e trasmetterla al comune di domicilio, che a sua volta dovrebbe dare allo studente fuori sede una apposita autorizzazione almeno 5 giorni prima del voto, da presentare al seggio.

La procedura per uno studente fuori sede che vive in una città che ricade in una circoscrizione elettorale diversa è un po’ più intricata (per esempio: una studentessa di Bari che frequenta l’università a Varese). In questo caso, dopo aver fatto le stesse richieste burocratiche al proprio comune di residenza, e dopo avere ottenuto l’autorizzazione, la studentessa dovrebbe andare a votare in appositi seggi del capoluogo della regione dov’è domiciliata: la studentessa che studia a Varese, quindi, dovrebbe andare a Milano. In ogni capoluogo di regione sarebbero allestite «speciali sezioni elettorali», almeno una ogni 800 elettori fuorisede ammessi al voto (nel caso in cui ce ne siano meno di 800, ce ne dovrebbe comunque essere almeno una).

L’emendamento presentato da Fratelli d’Italia recepisce una volontà diffusa e condivisa da quasi tutti i partiti politici. Anzi, per certi versi l’iniziativa sana dei ritardi che la maggioranza che sostiene il governo di Giorgia Meloni è andata accumulando sul tema nei mesi passati. «Ben arrivati ai colleghi di Fratelli d’Italia», ha commentato lunedì sera il senatore del PD Andrea Giorgis. Il collega Dario Parrini, sempre del PD, ha annunciato persino l’intenzione di estendere la portata dell’emendamento, concedendo lo stesso diritto a chi risiede fuori dal suo comune di residenza per motivi di salute o per lavoro.

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Dell’introduzione del voto ai fuorisede si discute da anni, con varie proposte che si sono per lo più risolte in dibattiti inconcludenti. Anche perché il ministero dell’Interno è tradizionalmente contrario all’idea, visto che lo costringerebbe a un sovrappiù di controlli e di problemi da sbrogliare per garantire la correttezza delle procedure di voto fuori sede. C’è poi anche la questione economica, per quanto marginale, legata al fatto che le procedure per i fuorisede avrebbero un costo ulteriore, essendo necessario allestire altri seggi. Per l’eventuale voto sperimentale proposto da Fratelli d’Italia, per esempio, si stima una spesa aggiuntiva di 615mila euro (una cifra irrisoria rispetto al costo complessivo di un’elezione).

La deputata del PD Marianna Madia è stata la prima a presentare una proposta di legge per consentire il voto ai fuori sede, nell’ottobre del 2022 (Fabrizio Corradetti/LaPresse)

In realtà una proposta per introdurre il voto fuori sede esisteva già, ma aveva avuto un percorso accidentato. Nell’ottobre del 2022, nelle prime settimane della nuova legislatura, l’aveva presentata la deputata del PD Marianna Madia, ex ministra della Pubblica amministrazione. Altre proposte simili erano state poi avanzate anche da deputati di +Europa, Azione, Verdi e Movimento 5 Stelle, tutte poi assorbite nella proposta di Madia.

Questo progetto di legge, però, era stato modificato e ritardato dalla maggioranza. Tra il maggio e il luglio del 2023, infatti, Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia avevano ristretto il voto fuori sede previsto da quel progetto di legge solo alle europee e ai referendum, eliminando l’ipotesi di introdurlo anche per le elezioni politiche, cioè quelle più importanti e partecipate che servono per rinnovare il parlamento nazionale. Inoltre, avevano trasformato la proposta di legge ordinaria, su cui dunque il governo avrebbe avuto piena possibilità di intervenire anche in tempi rapidi, in un disegno di legge delega, cioè un provvedimento in cui il parlamento, dopo aver fissato alcuni parametri generali, delega appunto al governo il compito di scrivere compiutamente la legge.

In questo caso, il parlamento aveva dato al governo 18 mesi di tempo per intervenire, con un termine che avrebbe reso impossibile approvarlo per le europee. Il provvedimento, approvato dalla Camera il 4 luglio del 2023, attende ancora di essere esaminato per intero dalla commissione Affari costituzionali del Senato (dove in questi mesi è stata data priorità alla riforma costituzionale e a quella sull’autonomia differenziata), prima di essere poi votato in aula ed essere approvato in via definitiva.

Su questo ritardo si è espresso recentemente anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Rispondendo a un’interrogazione fatta dal deputato di +Europa Riccardo Magi, il 31 gennaio scorso aveva ammesso nell’aula della Camera che «effettivamente i tempi per l’esercizio delle delega legislativa e per i conseguenti adempimenti tecnici e organizzativi appaiono oggettivamente ristretti». Insomma, aveva di fatto escluso che si potesse intervenire in vista dell’8 e del 9 giugno, generando una piccola polemica in parlamento.

Ora, proprio per le europee, la maggioranza parlamentare prova a introdurre una norma sperimentale in tempi rapidi. «A differenza della nostra proposta, si prevede di concedere il voto ai soli studenti fuori sede, senza dunque riconoscere lo stesso diritto a chi vive fuori dal suo comune di residenza per motivi di lavoro o di cure mediche», dice Marianna Madia. «Tuttavia, benché si tratti di un provvedimento sperimentale, e benché preveda delle restrizioni, è comunque un passo avanti nella giusta direzione».