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  • Lunedì 12 febbraio 2024

Le polemiche sul divieto di poligamia in uno stato indiano

Nell'Uttarakhand è stato approvato un nuovo codice civile valido per tutte le religioni, che sta creando alcuni dissensi a livello politico

(AP Photo/Dar Yasin)
(AP Photo/Dar Yasin)
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La scorsa settimana l’Uttarakhand, uno stato nel nord dell’India abitato da più di dieci milioni di persone, ha approvato un nuovo Codice Civile Uniforme, cioè un nuovo testo che crea leggi che tutti i cittadini dello stato devono seguire, indipendentemente dal fatto che siano induisti, musulmani, cristiani, o appartengano ad altri gruppi minoritari. Tra le altre cose, questo nuovo codice vieta la poligamia, una pratica estremamente controversa e contrastata dai gruppi per i diritti delle donne, che è ancora praticata presso alcune comunità musulmane.

Il progetto è passato grazie ai voti del partito nazionalista induista Bharatiya Janata Party (BJP) del primo ministro Narendra Modi, ma è stato molto criticato da alcuni leader della comunità musulmana indiana, che include 200 milioni di persone, perché considerato discriminante nei confronti della loro minoranza. Quella dell’adozione di un Codice Civile Uniforme è una delle promesse principali del manifesto politico del BJP ed è probabile che altri stati seguiranno l’Uttarakhand in vista delle elezioni della prossima primavera.

Le polemiche attorno al nuovo codice mostrano piuttosto bene le forti contraddizioni che esistono in questo momento in India, dove anche misure apparentemente inclusive rischiano di trasformarsi in uno strumento di discriminazione.

Fino a ora, i diversi gruppi etnici e religiosi dell’India avevano libertà di decidere come gestire internamente questioni come il matrimonio, il divorzio, l’adozione e l’eredità, o potevano seguire un codice civile laico opzionale. Il nuovo codice invece è uguale per tutti, e tra le altre cose proibisce la poligamia, in particolare la possibilità per un uomo di avere più di una moglie, e istituisce un’età minima per il matrimonio. Garantisce pari diritti a uomini e donne su questioni riguardanti il divorzio e l’eredità, ed equipara i figli nati all’interno di un matrimonio a quelli adottati, nati fuori dal matrimonio o concepiti attraverso la maternità surrogata.

Queste leggi sono in contrapposizione alla legge islamica tradizionale, che prevede la possibilità per un uomo di avere fino a quattro mogli e di divorziare da una quando vuole pronunciando per tre volte il “talaq”, una formula che significa “io divorzio da te” e che rende immediatamente nullo il matrimonio dal punto di vista religioso. Queste pratiche, tuttavia, sono adottate da una minoranza estremamente ristretta delle persone musulmane in India, e il divorzio tramite il “talaq” era già stato giudicato illegale dalla Corte Suprema alcuni anni fa.

Benché l’introduzione del Codice Civile Uniforme sia stata accolta come una buona notizia dalla stragrande maggioranza delle donne della comunità musulmana indiana, che sono ampiamente contrarie alla poligamia, molte di loro hanno comunque criticato la scelta per il suo significato politico: benché sia presentata dal BJP come una mossa per dare dignità e pari opportunità alle donne, il Codice rientra in un contesto più ampio di discriminazione della comunità musulmana da parte del partito del primo ministro Modi.

Negli ultimi dieci anni Modi e il suo partito si sono proposti come difensori dell’induismo, praticato dall’80 per cento degli indiani, anche con politiche discriminatorie nei confronti delle minoranze, soprattutto musulmane. Nel 2019 il suo governo ha tolto l’autonomia alla regione del Kashmir, a maggioranza musulmana, e si sono moltiplicati gli episodi di violenza religiosa, per lo più tollerati o solo timidamente condannati.

A fine gennaio è stato consacrato un importante tempio induista concepito per diventare uno dei più importanti dell’India, meta di pellegrinaggio e destinazione turistica. Tuttavia, il tempio sorge dove poco più di trenta anni fa 150mila fedeli induisti distrussero in poche ore una moschea costruita nel 1528: quell’evento fu uno degli episodi più notevoli della storica contesa in India tra induisti e musulmani.

In questi giorni molti politici e attivisti hanno fatto notare come l’istituzione di questo Codice Unitario, benché contenga alcune misure importanti e condivise, sia al tempo stesso un attacco alla società multireligiosa indiana e che quella di aiutare le cittadine musulmane a emanciparsi sia al tempo stesso una scusa per reprimere alcuni diritti delle comunità musulmane e delle altre minoranze, che hanno perso la possibilità di decidere in autonomia su varie questioni di legislazione civile.

Questa è ad esempio la posizione di Sadaf Jafar, una donna musulmana intervistata da Reuters. Jafar al momento sta affrontando un processo contro suo marito in tribunale, che ha denunciato per aver sposato un’altra donna senza il suo consenso, ma sostiene comunque che la nuova legge porterà più problemi che soluzioni per persone nelle sue condizioni, se viene osservato il contesto più ampio.