Quando ci provò Google, con gli occhiali smart

Più di dieci anni fa Google annunciò i suoi occhiali per la realtà aumentata: erano molto diversi dai Vision Pro appena presentati da Apple, ma c'è ancora qualche lezione da imparare

Il cofondatore di Google Sergey Brin con i Google Glass, nel 2012
Il cofondatore di Google Sergey Brin con i Google Glass, nel 2012 (AP Photo/Seth Wenig)
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Nel settembre del 2012, durante la Fashion Week di New York, il cofondatore di Google Sergey Brin partecipò alla sfilata della stilista Diane von Furstenberg indossando un paio di Google Glass, un dispositivo speciale che l’azienda aveva da poco presentato. Erano degli smart glasses, degli occhiali pensati per la realtà aumentata, in grado di aggiungere elementi digitali a ciò che si vedeva. La presenza di Brin non era casuale: l’evento faceva parte del lancio del dispositivo, che fu indossato anche dalle modelle nel corso della sfilata, e dalla stessa von Furstenberg.

I Google Glass furono messi in vendita qualche mese dopo, nel febbraio del 2013, inizialmente in esclusiva agli sviluppatori, dopo una lunga campagna mediatica che li presentò come un accessorio di moda più che come gadget. L’edizione statunitense di Vogue dedicò loro uno speciale di dodici pagine mentre personalità come Beyoncé, l’allora principe Carlo di Inghilterra e Jennifer Lawrence furono fotografate mentre indossavano Google Glass, che furono inclusi nella lista delle «migliori invenzioni del 2012» dalla rivista TIME.

Il dispositivo fu anticipato da Google con un video che presentava – in modo piuttosto ottimista – le capacità del prodotto mostrando il punto di vista di una persona che lo indossava mentre camminava per la città e riceveva sulle speciali lenti degli occhiali notifiche in modo veloce ed efficiente.

L'allora principe Carlo del Regno Unito con i Google Glass, nel 2014

L’allora principe Carlo del Regno Unito con i Google Glass, nel 2014 (Chris Jackson/Getty Images)

Qualche mese dopo, durante l’annuale conferenza Google I/O dedicata agli sviluppatori, Brin presentò il prodotto in modo spettacolare, collegandosi con dei paracadutisti che si stavano per lanciare da un aereo proprio sopra al Moscone Center di San Francisco, dove si teneva l’evento. I paracadutisti ripresero la discesa con i loro Google Glass per poi atterrare sul tetto del centro congressi, dove passarono il testimone a dei biker che irruppero nella sala per arrivare al palco dove si trovava Brin.

Il “Project Glass”, da cui derivò il prodotto finale, fu sviluppato all’interno di Google X, una divisione dell’azienda lanciata nel 2010 con l’obiettivo di occuparsi dei cosiddetti “moonshot”, ovvero le iniziative più ambiziose e sperimentali (oggi si chiama X Development ed è parte del gruppo Alphabet, che possiede Google stessa). Qui nacquero i primi prototipi di macchine a guida autonoma – da cui è derivata Waymo – e Project Loon, che doveva garantire copertura internet globale attraverso palloni lanciati nella stratosfera.

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Il primo prototipo di Google Glass pesava 3,6 chili ed era difficilmente utilizzabile. In seguito il dispositivo fu alleggerito fino a renderlo meno pesante di un paio d’occhiali da sole tradizionali, dandogli un aspetto più minimale. Una recensione del sito The Verge premiò «il design degno di Apple» e definì il prodotto «come un manufatto degli anni Sessanta, come se qualcuno avesse provato a immaginare come sarebbe stato il 2013». Il prototipo finale era composto da tre elementi principali: una telecamera esterna, un piccolo schermo (composto da un prisma trasparente sul lato destro, che proiettava gli elementi digitali) e un touchpad con cui era possibile attivare il dispositivo e interagire col sistema. I Google Glass prevedevano anche l’interazione vocale con Google Assistant, che poteva essere attivato col comando «Ok Glass».

L’iniziale clamore che interessò i Google Glass ricorda quello che sta circondando in questi giorni Vision Pro, il nuovo visore per la “realtà mista” di Apple.

Il confronto è interessante anche perché, nonostante la promozione, i Google Glass furono un fallimento e finirono per essere percepiti come un accessorio volgare e brutto, oltre che un pericolo per la privacy. Non aiutò nemmeno il prezzo deciso da Google per il nuovo prodotto, fissato attorno ai 1.500 dollari, che contribuì a renderlo un prodotto per élite, diffuso soprattutto tra i cosiddetti “techies” della Silicon Valley, come vengono chiamate le persone che lavorano per le grandi aziende tecnologiche e digitali (attualmente il prezzo di Vision Pro di Apple è di circa 3.500 dollari).

Come ha spiegato il New York Times in un articolo del 2015 sul fallimento del prodotto, sin da subito i Google Glass divisero il team di Google X tra chi pensava fossero un dispositivo da indossare tutto il giorno, come un accessorio di moda, e chi ne immaginava un uso più ristretto, per esempio in ambito lavorativo. In generale, tutti concordavano su un fatto: non era un prodotto finito. Fu Brin a decidere di continuare parte dello sviluppo di Glass al di fuori del dipartimento segreto di Google, decidendo per la messa in vendita di un prototipo a un ristretto numero di sviluppatori e appassionati.

La strategia ebbe conseguenze inaspettate: l’esclusività del prodotto amplificò l’interesse mediatico e la curiosità di molti, aumentando le aspettative per un prodotto che alcuni dipendenti di Google X definirono «nemmeno lontanamente pronto a vedere la luce del sole». Anche l’uscita di Vision Pro, di cui si parla da almeno un anno, è stata accompagnata da una serie di critiche interne ad Apple, molto inusuali per l’azienda. Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, il prodotto è stato fortemente voluto dall’amministratore delegato Tim Cook.

A un anno dal lancio di Google Glass, il New York Post raccontò la diffusione del termine «glasshole» (una fusione tra glass, “occhiali”, e asshole, “coglione”), termine spregiativo usato per definire chi li indossava in pubblico. Nel giro di pochi mesi, scrisse il giornale, «l’indignazione era così fuori controllo che a San Francisco ci sono stati alcuni attacchi a chi indossava» il dispositivo. I pochi fortunati che erano riusciti a procurarselo passarono dall’essere fonte di curiosità a suscitare sospetti e critiche, soprattutto perché non era possibile sapere se gli occhiali fossero in funzione o meno. «Sta controllando le mail, guardando una vecchia puntata di Game of Thrones o registrando tutto? Metti semplicemente la mano in tasca e prendi il telefono!» disse una della persone intervistate dal New York Post.

Una delle caratteristiche che segnarono negativamente il prodotto fu l’assenza di indicatori luminosi per segnalare all’esterno quando l’utente stava usando la fotocamera per registrare o fare foto. Per questo, molte persone finirono per dare per scontato che chiunque indossasse il dispositivo stesse registrandole di nascosto. L’utilizzo dei Google Glass fu inoltre vietato nei cinema del Regno Unito e alcuni automobilisti furono multati per aver indossato il dispositivo alla guida.

Ad alimentare i timori e i sospetti riguardo al prodotto fu in parte la promozione di Google stessa, che aveva forse esagerato le possibilità d’utilizzo effettive degli smart glass. Pur essendo molto avanzati per l’epoca, i Glass era ben diversi da visori per la realtà mista più moderni – come Meta Quest o Apple Vision Pro – con cui è possibile giocare a videogame o guardare film in modalità immersiva: il piccolo schermo di Google Glass proiettava immagini davanti agli occhi dell’utente e permetteva di visualizzare le indicazioni stradali di Google Maps, organizzare il proprio calendario e gestire altre notifiche.

Da questo punto di vista, Apple sembra aver scelto una comunicazione più chiara, presentando Vision Pro con una serie di pubblicità ambientate in contesti domestici. In particolare, gli utenti di questi filmati sono spesso soli, al lavoro o sul divano mentre guardano un film su schermi virtuali giganti. Le uniche applicazioni sociali mostrate ufficialmente da Apple riguardano la registrazione di foto e video «spaziali», in cui un padre registra i propri figli mentre giocano per poter creare un video immersivo con Vision Pro. Nonostante la cautela di Apple, però, nei primissimi giorni dalla messa in vendita del visore Apple sono comunque circolate foto e video di persone che lo indossano mentre camminano per strada o sono alla guida.

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In occasione del loro recente decennale, i Google Glass sono stati in qualche modo rivalutati: oggi vengono considerati un prodotto pionieristico che ha avuto la sfortuna di essere troppo precoce e di uscire con specifiche tecniche che ne hanno limitato molto le capacità.

Nonostante l’insuccesso, Snap e Meta producono ormai da tempo occhiali smart e visori per la realtà aumentata che hanno fatto tesoro del fallimento dei Google Glass e quindi hanno un aspetto migliore – sono indistinguibili da occhiali da sole – e sono dotati di indicatori luminosi per segnalare quando stanno registrando. Prodotti come gli Spectacles di Snap e, soprattutto, la collaborazione tra Meta e Ray-Ban propongono una via di mezzo tra l’immersione completa di Apple Vision Pro e l’approccio più leggero e minimale dei Google Glass.