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  • Domenica 11 febbraio 2024

Come funzionerà l’accesso al suicidio assistito in Emilia-Romagna

Le richieste dovranno essere valutate entro 42 giorni, garantendo un diritto che finora è esistito quasi solo formalmente 

(ANSA)
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L’Emilia-Romagna è stata la prima regione italiana a stabilire dei tempi entro cui si dovranno valutare le richieste di suicidio assistito, o morte assistita: la pratica cioè con cui ci si somministra da soli un farmaco letale. In Italia è legale a determinate condizioni grazie a una sentenza della Corte Costituzionale del 2019, ma finora non è mai stata approvata una legge né a livello nazionale né regionale per regolare le modalità di accesso al suicidio assistito.

Le regole stabilite dall’Emilia-Romagna sono contenute in una delibera e in alcune linee guida, strumenti più deboli di una legge, ma comunque in grado di garantire, almeno con l’attuale giunta, la possibilità per chi ne ha diritto di ricorrere alla morte assistita. Soprattutto, permettono di risolvere in parte gli enormi problemi causati dal vuoto normativo finora esistente (e tuttora esistente nel resto del paese).

Secondo quanto stabilito dalla delibera, chi vuole ricorrere alla morte assistita deve inviare una richiesta alla direzione sanitaria dell’azienda sanitaria locale (ASL) di competenza allegando tutta la documentazione ritenuta necessaria per la valutazione del caso: solitamente una richiesta motivata in forma scritta, video-registrata oppure attraverso i dispositivi con cui comunica abitualmente chi è portatore o portatrice di particolari disabilità.

Secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, in Italia può accedere alla morte assistita chi soddisfa contemporaneamente quattro requisiti: essere in grado di prendere decisioni libere e consapevoli, essere affetto da una patologia irreversibile che, terzo requisito, sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili, e, infine, essere tenuto in vita da «trattamenti di sostegno vitale». Esempi di questi trattamenti sono un ventilatore o un respiratore meccanico, anche se un’importante sentenza ha esteso questa definizione anche ad altri trattamenti sanitari, per esempio farmacologici, che se interrotti possono portare alla morte del paziente.

Una volta ricevuta la richiesta, le linee guida della regione Emilia-Romagna stabiliscono che l’azienda sanitaria locale trasmetta la documentazione entro tre giorni alla Commissione di valutazione Area Vasta, organo tecnico-scientifico della regione che assiste le varie aziende sanitarie nell’utilizzo e nella gestione dei farmaci. La Commissione dovrà a quel punto fare una o più visite al paziente per valutare che ci siano i requisiti previsti dalla sentenza della Corte Costituzionale, ed esprimere un parere entro venti giorni.

Limiti di tempo così definiti in questa prima fase permettono già di per sé di risolvere molti problemi: finora, in assenza di norme, ci sono stati diversi casi in cui l’azienda sanitaria locale ha respinto le richieste di morte assistita sulla carta, senza verificare le condizioni del o della paziente che ne faceva richiesta. Daniela (si conosce solo il nome), la prima persona che è noto abbia fatto richiesta per il suicidio assistito dopo la sentenza della Corte Costituzionale, affetta da un tumore incurabile in fase terminale, morì dopo aver fatto ricorso contro l’azienda sanitaria che non aveva verificato i suoi requisiti, due settimane prima dell’udienza fissata col tribunale e tra intense sofferenze che avrebbe voluto evitare proprio attraverso il ricorso a morte assistita.

In altri due casi – quelli di Federico Carboni e di Antonio, due uomini marchigiani diventati tetraplegici a causa di due incidenti stradali – ci è voluta una causa legale durata quasi due anni solo per ottenere questa prima verifica dei requisiti. L’azienda sanitaria locale aveva motivato il rifiuto a procedere proprio con la mancanza di norme (contravvenendo così alla sentenza della Corte Costituzionale).

Le norme introdotte dalla regione Emilia-Romagna prevedono poi che la Commissione invii il proprio parere a un comitato etico territoriale appositamente istituito, il Comitato regionale per l’etica nella clinica (COREC), che ha altri sette giorni per esprimere un suo parere alla Commissione sul caso.

Avere un limite temporale per il parere del comitato etico è considerato fondamentale: sempre nel caso di Antonio, il comitato etico già esistente nella sua regione aveva sostenuto di non potersi esprimere sul caso per via della mancanza di norme. In un altro caso, quello di Fabio Ridolfi, in cui ci fu una serie di ritardi e ostruzionismi da parte delle autorità sanitarie locali, il comitato etico aveva tardato tantissimo a esprimersi, rifiutandosi comunque di includere alcune informazioni fondamentali per procedere. Ridolfi decise infine di accedere alla sedazione profonda (cioè venire addormentati fino all’eventuale perdita di coscienza, pur rimanendo in grado di respirare autonomamente), a seguito della quale era poi morto.

Le norme introdotte dalla regione Emilia-Romagna prevedono infine che la relazione finale della Commissione sia trasmessa entro cinque giorni, insieme al parere del COREC, al paziente o a un suo delegato. In questo modo chi presenterà la richiesta potrà accedere al suicidio assistito entro quel termine, oppure sapere se e con quali motivazioni è stata respinta.

Se la richiesta viene accolta, l’azienda sanitaria locale deve assicurarsi di trovare il personale adeguato, individuato su base volontaria, e fornire in modo gratuito i servizi nella relazione della Commissione, assicurando il ricorso alla morte assistita entro sette giorni.

Anche questi ultimi passaggi permettono di evitare conseguenze molto negative sulla mancanza di norme. Nel caso di Carboni per esempio dopo due anni di vicende legali e dopo aver denunciato l’azienda sanitaria regionale per tortura e per omissione di atti di ufficio, Carboni aveva infine ricevuto le indicazioni sul tipo di farmaco e sulle sue modalità di somministrazione. Ma dovette personalmente farsi carico delle spese per acquistarlo, di trovare un medico che glielo prescrivesse e del macchinario che gli permettesse di somministrarselo da solo: fu possibile grazie a una raccolta fondi organizzata dall’associazione Luca Coscioni, mentre come medico si rese disponibile gratuitamente Mario Riccio, il medico anestesista che nel 2006 permise a Piergiorgio Welby, affetto da distrofia muscolare, di morire interrompendo il trattamento sanitario che lo teneva in vita.

In Italia il primo caso di suicidio assistito in cui il Servizio sanitario nazionale si era fatto carico di tutta la procedura di morte assistita fino alla sua attuazione, fornendo assistenza completa, è avvenuto lo scorso dicembre, oltre quattro anni dopo la sentenza della Corte Costituzionale: in quel caso in Friuli Venezia Giulia, ma dopo un’attesa di un anno e a seguito di un’ordinanza del tribunale di Trieste.