Che posto è il CPR di Roma

La struttura dove domenica si è suicidato un uomo guineano di 22 anni è da tempo assai problematica: manca l'acqua calda e c'è un solo telefono

Una stanza del CPR di Ponte Galeria fotografata nel 2019 (ANSA/Marta Bonafoni)
Una stanza del CPR di Ponte Galeria fotografata nel 2019 (ANSA/Marta Bonafoni)
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Domenica mattina nel Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) per migranti irregolari di Ponte Galeria, alla periferia sudovest di Roma, un uomo di 22 anni proveniente dalla Guinea, Ousmane Sylla, si è suicidato nella sua cella. Dopo la sua morte una sessantina di migranti detenuti nel centro ha tenuto una manifestazione di protesta contro le condizioni del centro. Anche Sylla nel biglietto lasciato nella sua cella ha scritto una dura critica alle autorità italiane: «Non capiscono niente, solo i soldi».

I CPR sono i luoghi in cui vengono detenute le persone che non hanno un permesso di soggiorno valido per rimanere in Italia, in attesa di essere espulse. Applicare i decreti di espulsione però è spesso complicato, perché mancano accordi bilaterali con molti dei paesi verso cui dovrebbero tornare le persone detenute, e i tempi di permanenza si allungano.

Il centro di Ponte Galeria è considerato da tempo uno dei CPR più problematici in Italia, anche se quasi ovunque in questi centri sono documentate violazioni sistematiche dei diritti umani. Il CPR di Ponte Galeria in particolare è attivo dal 1998 e ha una capienza da 125 persone. L’ultima rilevazione disponibile risale al marzo del 2023: allora c’erano 95 detenuti, 90 uomini e 5 donne.

Nei primi anni il CPR di Ponte Galeria fu gestito dalla Croce Rossa, ma già allora la struttura era considerata carente e poco organizzata. Un rapporto del 2005 dell’associazione “Medici per i diritti umani” documentava diverse lacune dell’ambulatorio medico locale. Nel 2010 l’allora prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro auspicò la chiusura del centro perché a suo dire non rispettava «la dignità umana». Nel dicembre del 2013 una decina di detenuti si cucì la bocca con ago e filo per protestare contro i tempi di permanenza nel centro: queste storie finirono su tutti i giornali.

Nel tempo le condizioni del CPR di Ponte Galeria non sono migliorate. Un video girato nel 2019 da Fanpage mostrò stanze estremamente sporche e materassi appoggiati sul pavimento. Ancora oggi nel centro manca l’acqua calda ed è disponibile un solo telefono per comunicare con l’esterno. Nel 2023 la senatrice Ilaria Cucchi visitò due volte il CPR di Ponte Galeria, scrivendone così sulla Stampa:

[Le persone detenute] vivono in gabbie, talvolta nel loro sterco, senza possibilità di comunicare con l’esterno. Sopravvivono giorno dopo giorno in attesa di poter capire il perché della loro condizione. Sono abbandonati a se stessi e, se si ammalano, è veramente un grave problema. Sembrano polli in un allevamento intensivo con la differenza che, soffrendo spesso la fame, non ingrassano.  […] Vengono loro somministrate quantità industriali di psicofarmaci per farli star buoni, ‘perché così non disturbano’. Tutto ciò viene praticato al 90 per cento di quei detenuti senza pena.

L’estrema facilità nel prescrivere psicofarmaci era già stata segnalata da Medici per i diritti umani nel loro rapporto del 2005, ma è una pratica che prosegue tuttora. Una lunga inchiesta di Luca Rondi e Lorenzo Figoni pubblicata nell’aprile del 2023 su Altreconomia mostrava che nel CPR di Ponte Galeria la spesa per gli psicofarmaci rappresentava il 51 per cento di quella totale per i farmaci: fra i CPR esaminati era una percentuale superata soltanto da quello di Milano, il cui ente gestore qualche mese fa è stato sequestrato dalla procura per la carenza dei servizi offerti nella struttura.

Da diversi anni il CPR di Ponte Galeria è gestito da ORS Italia, un’azienda svizzera che ha strutture di accoglienza e detenzione per migranti anche in Svizzera, Germania e Austria. La gestione problematica di alcuni suoi centri, su tutti quello di Traiskirchen, in Austria, è stata oggetto di diverse inchieste giornalistiche.

Le condizioni degradanti in cui vengono detenute le persone all’interno dei CPR italiani sono documentate da diversi anni dalle associazioni che si occupano di diritti umani e migranti, oltre che da inchieste giornalistiche e giudiziarie.

Il governo italiano guidato da Giorgia Meloni all’inizio del suo mandato promise di aprire un CPR in ogni regione italiana, e nella legge di bilancio per il 2023 stanziò a questo scopo circa 19 milioni di euro. Poi il decreto-legge sull’immigrazione approvato dopo il grave naufragio di migranti a Cutro, in Calabria, snellì le procedure per realizzarne di nuovi. Al momento, scrive Eleonora Camilli sulla Stampa, i CPR attivi sono 8: oltre a quello di Ponte Galeria ci sono quelli di Bari, Brindisi, Caltanissetta, Potenza, Gorizia, Nuoro e Milano. «La capienza teorica di queste strutture è di circa 1.300 persone, nella realtà sono utilizzabili per la metà dei posti», aggiunge Camilli.

Secondo una stima approssimativa dell’associazione “Mai più lager – No ai CPR”, Sylla è il quarantesimo detenuto che si suicida dentro a un CPR dalla loro istituzione nel 1998 (negli anni hanno cambiato nome diverse volte).

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Dove chiedere aiuto
Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 02 2327 2327 oppure via internet da qui, tutti i giorni dalle 10 alle 24.
Puoi anche chiamare l’associazione Samaritans al numero 06 77208977, tutti i giorni dalle 13 alle 22.