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  • Martedì 30 gennaio 2024

Non ci sono mai stati così tanti trapianti

Nel 2023 in Italia ne sono stati fatti più di quattromila, un record dovuto all'aumento di donatori di organi e alla diffusione della donazione “a cuore fermo”

Il modello di un cuore
Il modello di un cuore (Jesse Orrico/Unsplash)
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Per la prima volta in Italia sono stati fatti oltre 4.000 trapianti in un anno, per la precisione 4.462: non erano mai stati fatti così tanti trapianti come nel 2023, ben 586 in più rispetto al 2022, un anno già considerato molto soddisfacente dal centro nazionale trapianti che coordina le donazioni e gli interventi realizzati in tutti gli ospedali italiani. È una crescita significativa, che certifica un’organizzazione efficiente e soprattutto una maggiore sensibilità delle persone che grazie alla donazione contribuiscono a salvare migliaia di vite ogni anno.

L’aumento di trapianti del 2023 ha riguardato tutti gli organi: 2.245 trapianti di rene, il 10,4 per cento in più rispetto al 2022, 1.696 di fegato (+14,7 per cento), 186 di polmone (+33,8 per cento), 40 di pancreas (+5,3 per cento) e 370 trapianti di cuore, un aumento del 46,2 per cento rispetto ai 253 del 2022.

La regione con il maggior numero di trapianti eseguiti è stata la Lombardia con 827, mentre in rapporto alla popolazione la prima è stata il Veneto, con 140,9 trapianti ogni milione di abitanti. Seguono Piemonte ed Emilia-Romagna, mentre nelle ultime posizioni ci sono le regioni del sud. Tra queste, l’unica che ha registrato una crescita incoraggiante è la Puglia, passata da 29,7 a 46,9 trapianti per milione di abitanti. I trapianti sono ovviamente possibili solo grazie alle donazioni, anche queste aumentate rispetto agli ultimi anni: per la prima volta sono state oltre 2.000, in aumento dell’11,6 per cento rispetto al 2022.

Secondo i coordinatori del centro nazionale trapianti, questi risultati sono stati favoriti in particolare da due elementi nuovi rispetto al passato. La prima novità riguarda l’aumento delle segnalazioni di potenziali donatori fatte dai reparti di terapia intensiva. L’aumento è stato stimolato dai sistemi sanitari regionali che hanno applicato con insistenza il piano nazionale delle donazioni studiato cinque anni fa con l’obiettivo di organizzare meglio i trapianti. Tra le altre cose, sono raddoppiati i corsi per formare operatori sanitari che si occupano di trapianti: soltanto nel 2023 ne sono stati formati 14mila.

La seconda novità che spiega la crescita dei trapianti avvenuta nel 2023 riguarda la cosiddetta donazione a cuore fermo, cioè quella che viene fatta dopo che è stata accertata la morte per assenza di attività cardiaca: questo tipo di donazione è stato introdotto stabilmente solo da pochi anni. È conosciuta a livello internazionale come donation after cardiac death, o DCD, e ha regole diverse a seconda dei paesi, soprattutto sul tempo che deve trascorrere dall’arresto cardiaco per poter procedere al trapianto.

Da anni l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha definito i percorsi clinici che possono portare alla donazione degli organi, cioè in seguito a morte accertata secondo due diversi criteri inequivocabili, neurologici o cardiocircolatori. Nel primo caso l’accertamento consiste in sei ore di osservazione durante le quali la persona è “a cuore battente” e in trattamento intensivo di rianimazione, ma senza alcuna attività cerebrale.

Nel caso della morte accertata con criteri cardiocircolatori invece l’osservazione viene fatta attraverso l’elettrocardiogramma che conferma l’assenza di attività del cuore. In molti paesi europei prima di accertare la morte e procedere all’eventuale espianto degli organi bisogna attendere cinque minuti. Nel caso di eventuali segni evidenti di ripresa momentanea dell’attività cardiaca o respiratoria il conteggio dei cinque minuti riparte da zero.

Negli Stati Uniti l’intervallo di attesa suggerito è tra due e cinque minuti dopo la cessazione delle funzioni cardiache e respiratorie. In Italia un decreto ministeriale dell’11 aprile 2008 – a sua volta collegato a un precedente decreto ministeriale del 22 agosto 1994 e alla legge 578 del 1993 – stabilisce che l’accertamento della morte in caso di arresto cardiaco debba essere effettuato da un medico attraverso il rilievo continuo dell’elettrocardiogramma protratto per non meno di 20 minuti.

La gestione del tempo – a cominciare da quello necessario per l’accertamento della morte – rappresenta nel caso delle donazioni di organi un fattore estremamente importante, e da considerare sempre in relazione ad altri eventi concatenati. Organi come i reni possono essere mantenuti irrorati da trattamenti di sostegno vitale per più di un giorno, ma altri – come il cuore – devono essere trapiantati entro poche ore. Qualsiasi ritardo lungo la catena può determinare, nei casi peggiori, la morte dei destinatari degli organi. E in generale la quantità di tempo trascorso in assenza di circolazione sanguigna influisce sul deterioramento degli organi destinati all’espianto. In ambito medico il tempo di osservazione senza attività cardiaca da attendere nel caso di pazienti donatori è definito “no touch period”.

Per diversi anni in Italia il prelievo degli organi è stato fatto soltanto nei donatori di cui era stata accertata la “morte encefalica”, mentre solo negli ultimi anni negli ospedali si è diffuso anche il prelievo dopo l’accertamento della morte a cuore fermo. I trapianti di questo tipo sono aumentati in modo significativo: nel 2018 erano stati 100, nel 2023 sono stati 438. Dal maggio dello scorso anno è attivo anche in Italia un programma di donazione a cuore fermo del cuore, finora eseguita soltanto nel Regno Unito e in Spagna, dove però il tempo di arresto cardiaco per accertare la morte è di 5 minuti, un quarto dei 20 della legge italiana.

Gli unici indicatori rimasti invariati rispetto al 2022 sono quelli relativi ai tassi di opposizione al prelievo. L’opposizione alla donazione può avvenire in due modi. Il primo caso riguarda le persone che muoiono in ospedale, soprattutto nei reparti di terapia intensiva: ci sono medici che hanno il compito di parlare con i famigliari e informarli della possibilità di consentire la donazione degli organi.

Si può dichiarare la propria volontà di donare o di opporsi alla donazione degli organi anche in vita, nel momento del rinnovo della carta d’identità. È una possibilità garantita dal 2015. Nel 2023 la percentuale di chi ha rifiutato la donazione in rianimazione è leggermente salita: circa un terzo risulta essersi opposto, principalmente perché si era dichiarato contrario in vita nel momento del rinnovo dei documenti.

Soltanto lo scorso anno negli uffici anagrafe dei comuni sono stati raccolti 2,4 milioni di consensi alla donazione, ma anche 1,1 milioni di rifiuti che si rivelano decisivi quando le persone vengono ricoverate in rianimazione in condizioni irreversibili. È una scelta spesso sottovalutata, presa senza molte informazioni. Da anni il centro nazionale trapianti promuove campagne di sensibilizzazione per convincere le persone a donare. Nonostante i buoni risultati, in Italia sono ancora circa ottomila le persone inserite nelle liste d’attesa per un trapianto.