Perché il prezzo del gas sta continuando a scendere

E lo fa nonostante le diverse crisi in corso, dal mar Rosso a Gaza: ma nelle bollette questo calo ancora non si vede

Foto di comignoli sul tetto
(Jens Schlueter/Getty Images)
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Da metà gennaio il prezzo del gas è sceso sotto i 30 euro al megawattora: da ottobre era tornato a salire dopo l’inizio della guerra a Gaza, perché si temeva che l’instabilità della regione avrebbe avuto impatti sulle forniture verso l’Europa, che a causa della guerra in Ucraina ha iniziato a essere più dipendente dalle forniture dal nord Africa e dal Medio Oriente. Il rialzo è stato relativamente contenuto e il picco ha raggiunto i 53 euro, molto al di sotto dei prezzi che si registrarono nel 2022 dopo l’inizio della guerra in Ucraina, quando superò anche i 300 euro al megawattora.

Contro ogni aspettativa il calo è proseguito anche con l’inizio degli attacchi del gruppo di ribelli yemeniti Houthi alle navi mercantili nel mar Rosso, che hanno avuto l’esito di rendere assai pericolosa la tratta e di dirottare gran parte del traffico commerciale dall’Asia verso l’Europa, tra cui proprio le forniture di gas naturale liquefatto che viaggia via nave. Una discesa di questo tipo in un contesto internazionale così rischioso – guerra in Ucraina e a Gaza, e crisi sul mar Rosso – è notevole e sta stupendo gran parte degli osservatori.

Il mercato di riferimento in Europa ha sede nei Paesi Bassi ed è il Title Transfer Facility (TTF). Nell’Unione Europea esistono vari mercati simili (per esempio, in Italia c’è il PSV, il Punto di Scambio Virtuale), ma è il TTF olandese che fissa i prezzi di riferimento per l’intero continente, perché è dove avviene la maggior parte degli scambi. Le quotazioni si formano sulla base delle aspettative degli operatori: se si pensa che possa esserci scarsità di materia prima, quindi che la domanda superi l’offerta, allora il prezzo salirà; al contrario, se si crede che ci sarà abbondanza, quindi che la domanda sia minore dell’offerta, allora il prezzo scenderà.

Gli operatori per il momento prevedono che non ci siano grossi rischi di carenza di materia prima, per tre motivi principali.

Il primo è più legato a tendenze di questo periodo, perché riguarda le scorte di gas attuali, ossia gli stoccaggi. Benché queste siano tra le settimane più fredde dell’anno e richiedano molta energia per il riscaldamento, gli stoccaggi nei paesi europei sono ancora pieni per oltre il 70 per cento e si dovrebbe arrivare alla fine dell’inverno con un livello sopra il 50.

Il secondo motivo è legato al fatto che per ragioni che stanno diventando strutturali il sistema economico sembra aver meno bisogno di energia.

Oltre che per il riscaldamento il gas serve a produrre una buona parte dell’energia elettrica. Dall’inizio della guerra in Ucraina e anche a causa della crisi energetica i consumi di energia sono ancora piuttosto bassi: secondo il Sole 24 Ore nel 2023 sono scesi del 7 per cento, dopo essere calati già del 12 nel 2022. A questo ha contribuito in parte una tendenza che accomuna vari paesi europei, e particolarmente spiccata in Italia e in Germania: molte fabbriche che avevano ridotto o sospeso la produzione a causa degli alti prezzi dell’energia non hanno ancora ripreso a pieno regime. La produzione industriale europea è in calo da mesi, e questo porta a pensare che anche la domanda di energia non aumenterà nel breve termine, dunque neanche quella di gas.

Anche il terzo motivo è strutturale ed è connesso al ruolo che stanno avendo le altre fonti energetiche nella produzione di elettricità, a scapito del gas, che dunque è meno richiesto: recentemente il nucleare francese sta dando un contributo rilevante, e lo scorso anno c’è stato anche un forte aumento della produzione da rinnovabili.

A questi motivi si aggiunge il fatto che le guerre e le crisi internazionali in corso non stanno mettendo concretamente a rischio le forniture di gas verso l’Europa. La guerra in Ucraina aveva avuto un grande impatto all’inizio, quando i paesi europei erano ancora fortemente dipendenti dal gas russo. Benché ne sia importata ancora una minima parte, le forniture russe sono state sostituite grazie al potenziamento di accordi con altri partner, tra cui il Qatar, la Norvegia, l’Algeria e gli Stati Uniti.

La guerra a Gaza non ha avuto grosse conseguenze, al di là di timori generici sull’instabilità della regione.

Lo stesso per la crisi sul mar Rosso, che mette a repentaglio solo le forniture di gas naturale liquefatto che viaggia via nave su quella tratta. I prezzi continuano a non risentire delle notizie di ritardi nelle consegne: per esempio, il prezzo non si è mosso neanche quando i produttori del Qatar hanno detto che eviteranno la rotta e che preferiscono piuttosto allungare i viaggi circumnavigando l’Africa, con ritardi certi e difficilmente quantificabili. La discesa dei prezzi del gas è comunque proseguita, perché i tre fattori strutturali sono più forti delle notizie del momento.

Il prezzo del gas resta però più alto rispetto a prima della guerra in Ucraina e della pandemia. Questo è il motivo per cui il costo complessivo dell’energia non è ancora tornato a quei livelli: benché siamo lontani dai livelli della crisi energetica del 2022, il prezzo della materia prima è ancora sette volte quello del minimo di maggio 2020.

In più dallo scorso anno i governi hanno iniziato gradualmente a ritirare le misure a sostegno di famiglie e imprese. Per esempio, in Italia erano stati azzerati gli oneri di sistema nelle bollette, che avevano in parte compensato i rincari del gas, e abbassato l’IVA. Con il gas tornato a prezzi più bassi, il governo di Giorgia Meloni ha gradualmente reintrodotto gli oneri di sistema e aumentato l’IVA, con il risultato che le bollette sono nuovamente aumentate.

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