Il governo polacco ha detto che ignorerà una sentenza che dichiara incostituzionale la sua riforma dei media pubblici

Il primo ministro e il ministro della cultura polacchi parlano fra loro in parlamento
Il ministro della Cultura Bartłomiej Sienkiewicz (dietro, allora ministro degli Interni) e il primo ministro Donald Tusk, nel 2014 (AP Photo/Alik Keplicz)

Il governo polacco del primo ministro Donald Tusk, un indipendente di centrodestra, ha detto che ignorerà una sentenza emessa giovedì dal tribunale costituzionale secondo cui il processo con cui di recente sono stati nominati i nuovi dirigenti nei media statali è incostituzionale. Secondo il ministro della Cultura, Bartłomiej Sienkiewicz, la sentenza non ha alcun valore legale perché i giudici del tribunale costituzionale non sono indipendenti ma legati al partito precedentemente al governo, Diritto e Giustizia (PiS), di estrema destra.

Pochi giorni dopo essere entrato in carica, a metà dicembre, il governo di Tusk aveva licenziato i vecchi dirigenti della televisione, della radio e dell’agenzia di stampa pubbliche, che da alcuni anni erano passati in gran parte sotto l’influenza di Diritto e Giustizia. Il tentativo di riforma della dirigenza dei media pubblici aveva dato inizio a un complesso scontro fra la nuova coalizione di governo, guidata da Tusk, e alcuni degli esponenti del PiS, tra cui anche il presidente Andrzej Duda (che è formalmente indipendente, ma in passato è stato iscritto al partito).

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La sentenza del tribunale costituzionale stabilisce che la norma usata dal governo per mettere in stato di insolvenza i media pubblici, che avrebbe dovuto facilitare la loro riorganizzazione, era in conflitto con la costituzione polacca: di conseguenza la riforma avviata dal governo sarebbe illegittima, e priva di valore legale.

Il ministro della Cultura ha criticato il tribunale costituzionale anche facendo riferimento a una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2021 che lo considerava un tribunale non indipendente. Il tribunale era infatti stato riformato tra il 2015 e il 2023, quando il PiS era al governo e aveva quindi nominato molti giudici fedeli al partito.

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