Il voto di Taiwan complicherà ancora di più il rapporto con la Cina?
Lai Ching-te, che sarà il nuovo presidente, era stato definito dal governo cinese un pericoloso separatista: si prevedono ulteriori tensioni
Sabato a Taiwan si sono tenute le elezioni presidenziali e parlamentari. Mentre nel parlamento non c’è una maggioranza, il voto per i candidati presidenti ha restituito un risultato netto: ha vinto quello più critico nei confronti delle ingerenze politiche cinesi, cioè Lai Ching-te del Partito Progressista Democratico (DPP), di centrosinistra.
Per questo motivo, nelle ore successive alla vittoria di Lai, le attenzioni internazionali si sono concentrate sulla reazione della Cina, e gli analisti e i commentatori hanno cominciato a interrogarsi sul futuro del rapporto tra i due paesi: nonostante negli ultimi anni l’atteggiamento cinese nei confronti di Taiwan sia diventato sempre più aggressivo e rigido, infatti, dalle elezioni è uscito vincitore per la terza volta consecutiva un partito che più degli altri rivendica l’autonomia del paese.
C’è chi ritiene che l’approccio duro della Cina negli ultimi anni non abbia fatto altro che rendere ancora più chiara l’importanza per Taiwan di salvaguardare la propria democrazia e la propria indipendenza di fatto. Prima delle elezioni la Cina aveva fatto capire che votare per il DPP e per Lai – definito un agitatore e un pericoloso separatista – significava votare per la guerra, ma Lai ha vinto comunque. Da un lato questo significa che l’aggressività cinese non ha portato ai risultati sperati, cioè di far eleggere un presidente che riavvicinasse Taiwan alla Cina, dall’altro però è improbabile che per questo il clima si faccia meno teso, anzi.
Taiwan è un’isola nell’oceano Pacifico che si trova a circa 180 chilometri di distanza dalle coste della Cina, separata dallo Stretto di Taiwan. Oltre all’isola principale, che si chiama isola di Formosa, il governo taiwanese controlla anche altri piccoli arcipelaghi vicini, come quelli delle Penghu e delle Matsu. Taiwan è di fatto uno stato che gode di una sovranità piena, ha un parlamento e un governo, una moneta e un esercito. Controlla i propri confini e commerci. È anche una democrazia estremamente vivace, probabilmente la più libera di tutta l’Asia, come hanno dimostrato le recenti elezioni. Eppure la sua situazione è più complicata di così.
Semplificando, la Cina governata dal Partito Comunista ritiene che Taiwan sia una sua provincia ribelle destinata a “riunificarsi” con il resto del paese, in maniera pacifica o violenta. Per questa ragione ha un atteggiamento estremamente aggressivo nei confronti di chiunque vada contro a questa pretesa e riconosca la sovranità di Taiwan. Per evitare conflitti con la Cina, la maggior parte dei paesi del mondo non lo fa, e adotta stratagemmi ed espedienti per continuare ad avere rapporti politici e commerciali con Taiwan senza irritare la Cina.
Il grande problema è che la potenza che ha cercato di più di mantenere questi rapporti sono gli Stati Uniti, che tradizionalmente difendono le istanze democratiche di Taiwan, la forniscono di armi e cercano di tutelarne anche la stabilità economica (Taiwan tra le altre cose è uno dei produttori di microprocessori più importanti al mondo). Fin qui gli Stati Uniti hanno mantenuto un equilibrio tra la vicinanza a Taiwan e i buoni rapporti con la Cina, ma è un equilibrio precario.
Circa tre ore dopo la vittoria ufficiale di Lai, la Cina ha commentato ufficialmente l’esito delle elezioni. L’Ufficio affari di Taiwan del Consiglio di Stato cinese ha diffuso un comunicato in cui dice che la vittoria di Lai non può comunque fermare «l’inarrestabile processo che porterà alla riunificazione con la madre patria». Il portavoce dell’Ufficio affari di Taiwan, Chen Binhua, ha detto che il risultato dell’elezione non cambierà la traiettoria delle relazioni tra una sponda e l’altra dello Stretto: «La linea in merito alla soluzione della questione taiwanese e alla riunificazione rimane la stessa, la nostra determinazione è solida come una roccia».
Parlando con i giornalisti dopo la vittoria, Lai si è espresso con cautela e ha detto che Taiwan non ha bisogno di un’indipendenza formale, ma è difficile che questo basti ad ammorbidire la Cina. Servirà tempo prima di capire come effettivamente si manifesterà la reazione cinese, ma gli analisti non sono molto ottimisti per il momento.
«I prossimi quattro anni [la durata della legislatura di Taiwan, ndr] saranno tutt’altro che stabili nello Stretto e nel rapporto tra Cina e Stati Uniti» ha detto al New York Times Evan S. Medeiros, professore di Studi asiatici alla Georgetown University. Lui e altri analisti ritengono che la Cina utilizzerà diverse tattiche per fare pressione su Taiwan: potrebbero esserci ancora più esercitazioni militari nei dintorni dell’isola, e già succede spesso che i jet e i droni cinesi sconfinino nello spazio aereo di Taiwan. Potrebbero esserci più campagne di disinformazione e la Cina potrebbe togliere alcune agevolazioni commerciali. Inoltre potrebbe fare pressioni agli Stati Uniti per ridurre il sostegno militare all’isola.