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  • Martedì 9 gennaio 2024

Le dimissioni di Élisabeth Borne non sono davvero sorprendenti

La prima ministra francese ha fatto intendere di essere stata spinta a lasciare il suo incarico dal presidente Emmanuel Macron, preoccupato dall'impopolarità sua e del suo governo

(Christian Hartmann, Pool via AP, File)
(Christian Hartmann, Pool via AP, File)
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Lunedì sera il presidente francese Emmanuel Macron ha accettato le dimissioni della prima ministra Élisabeth Borne, che era in carica da circa un anno e mezzo: nel 2022 era diventata la seconda donna, dopo Édith Cresson, a ricoprire questo ruolo nella storia del paese. Nella mattinata di martedì Macron ha annunciato che a sostituirla sarà Gabriel Attal, ministro dell’Istruzione nel governo di Borne.

Le dimissioni di Borne non sono state particolarmente sorprendenti. Da settimane Macron aveva lasciato intendere che presto ci sarebbe stato un rimpasto di governo e molti ritenevano che a essere rimossa sarebbe stata proprio Borne.

Nella lettera che ha accompagnato l’annuncio, Borne stessa ha scritto di aver dato le dimissioni dopo che Macron l’aveva «resa partecipe della sua volontà di nominare un nuovo primo ministro» aggiungendo, subito dopo, di «dover dare le dimissioni» da una «missione» che l’ha «appassionata», una formula già usata dal Socialista Michel Rocard quando venne spinto a dimettersi dal presidente François Mitterrand nel maggio del 1991. Il riferimento, scrivono i giornali francesi, significa che Borne, nominata nel maggio del 2022, ha lasciato con riluttanza la sua posizione. «Mi hanno licenziato», aveva detto al tempo davanti alla stampa Michel Rocard.

È probabile che il presidente francese, che da tempo ha grossi problemi di popolarità per via di varie riforme e misure controverse da lui fortemente volute, voglia un nuovo governo nella speranza di recuperare un po’ di consensi in vista delle elezioni europee, che si terranno a inizio giugno: al momento i sondaggi in Francia danno in vantaggio il Rassemblement National, il partito di estrema destra guidato da Marine Le Pen. Macron ha inoltre ancora tre anni di presidenza di fronte a sé, nonché un anno che si prospetta piuttosto complesso per via delle Olimpiadi, che saranno ospitate a Parigi e – per alcuni singoli sport – in altre zone della Francia in estate e otterranno moltissima attenzione mediatica.

In questo contesto è più facile capire perché volesse allontanare una prima ministra che nel corso del proprio mandato era diventata profondamente impopolare.

Borne è una storica esponente del Partito socialista francese, poi passata al partito di Macron, e una nota manager del settore pubblico ed ex ministra dei Trasporti, della Transizione energetica e del Lavoro. Durante il suo mandato aveva portato avanti su richiesta di Macron diverse riforme controverse, ed era stata aspramente criticata per aver fatto spesso ricorso all’articolo 49.3 della Costituzione, una procedura legislativa che permette di forzare l’approvazione di un testo senza passare dal voto dei deputati.

La riforma delle pensioni, promulgata dal governo nell’aprile del 2023 dopo settimane di fortissime contestazioni e tensioni politiche, era per esempio stata fatta passare proprio grazie all’articolo 49.3. Secondo un calcolo di Le Monde, in diciotto mesi il governo Borne ha fatto ricorso all’articolo 49.3 ventitré volte, superato per frequenza soltanto dal governo di Michel Rocard, che attivò l’articolo 49.3 ventotto volte tra il 1988 e il 1991.

A questo si aggiunge il fatto che Borne guidava un governo di minoranza e aveva bisogno del sostegno esterno del centrodestra dei Républicains in parlamento. A dicembre si era trovata a dover fare grosse concessioni all’estrema destra, modificando una riforma dell’immigrazione che in precedenza il Rassemblement National considerava troppo poco rigida pur di ottenere i voti necessari a farla passare in parlamento. Nella sua nuova formulazione, la riforma aveva tra le altre cose ridotto l’accesso ai sussidi per le persone migranti, creato quote di immigrazione annuali che prima non esistevano in Francia e stabilito che le persone con doppia cittadinanza condannate per gravi reati possano perdere quella francese.

In base alla nuova legge il governo dovrà poi presentare ogni anno la sua politica migratoria al parlamento. Le Pen aveva definito una «vittoria ideologica» del suo partito l’approvazione della legge, mentre il ministro della Sanità Aurélien Rousseau si era dimesso per protesta. Già dopo il voto sulla legge sull’immigrazione Claire Gatinois, la principale giornalista politica di Le Monde, aveva previsto che le probabilità di Borne di rimanere al governo dopo quello che era stato percepito come un grosso fallimento politico erano molto basse.

– Leggi anche: Che ne sarà poi del Villaggio Olimpico di Parigi?

Il nuovo primo ministro Gabriel Attal ha 34 anni, e diventerà quindi il più giovane primo ministro della Quinta Repubblica, cioè dal 1958. Il 20 dicembre del 2023, durante un programma televisivo, Emmanuel Macron aveva elogiato «l’energia e il coraggio di Gabriel Attal nel condurre le battaglie necessarie», promettendogli «un futuro governativo» e forse «un destino più ambizioso».

Attal è considerato molto vicino a Macron. In base all’ordinamento francese, il primo ministro ha un importante ruolo di coordinamento dell’azione di governo, ma non un forte potere di iniziativa, dato che in Francia l’indirizzo politico di un governo è prerogativa del presidente. Il primo compito del futuro primo ministro sarà comunque quello di formare un nuovo governo che promuova l’obiettivo annunciato da Macron nei suoi auguri di fine anno: «riarmo industriale, economico, europeo», ma anche «civico», soprattutto in relazione al vasto progetto di riforma scolastica che Gabriel Attal ha portato avanti negli scorsi mesi.

Dopo la notizia delle dimissioni di Borne, il partito di estrema sinistra di Jean-Luc Mélenchon, La France Insoumise, ha chiesto che il nuovo primo ministro si sottoponga a un voto di fiducia dell’Assemblea Nazionale, che non è però obbligatorio in Francia, e ha minacciato che senza questo voto «presenterà una mozione di censura». La presentazione di questa mozione richiede la firma di 58 deputati (un decimo degli eletti all’Assemblea Nazionale), mentre la sua eventuale approvazione, che comporterebbe le dimissioni del governo stesso, 289 voti a favore.