Il film horror più popolare della storia

“L’esorcista”, uscito 50 anni fa, fu uno di quei film di cui parlarono tutti, e cambiò la storia di un genere cinematografico

di Antonio Russo

La scena del film che fu utilizzata come locandina
La scena del film che fu utilizzata come locandina
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Quando mercoledì 26 dicembre 1973 uscì al cinema L’esorcista, diretto da William Friedkin e tratto da un romanzo di William Peter Blatty uscito due anni prima, la Warner lo distribuì in poco più di una ventina di sale negli Stati Uniti e in Canada, perlopiù poco capienti e secondarie, senza particolari aspettative. Le ragioni che rendevano improbabile e imprevedibile lo straordinario successo che ottenne in pochi giorni erano principalmente due. Non aveva un cast di grandi attrici né attori, nonostante i tentativi fatti per coinvolgerli. E soprattutto era un horror violento, che all’epoca era un genere prevalentemente esplorato da produzioni minori o progetti sperimentali, molto distanti sia dal thriller alla Psycho, sia dai temi gotici che avevano caratterizzato l’horror nei primi decenni della storia del cinema.

Raccontava la storia di una docile e ben educata ragazzina di 12 anni, Regan, che abita nel quartiere Georgetown a Washington D.C. con sua madre, un’attrice affermata, e comincia a mostrare comportamenti dapprima insolitamente violenti e poi fisicamente inspiegabili. Dopo una lunga serie di accertamenti medici che non portano a una diagnosi né a una cura, la madre si rivolge a un tormentato prete psichiatra che, dopo aver concluso che la ragazzina è posseduta da un demone, per liberarla riceve l’aiuto di un anziano prete esorcista. Non è il personaggio principale del film ma è lui, “l’esorcista”: quello della locandina del film, tratta da una scena ispirata al regista Friedkin dal dipinto di René Magritte L’impero della luce.

La stragrande maggioranza delle persone che andarono a vedere L’esorcista semplicemente non era preparata a quel tipo di visione: non soltanto per le scene impressionanti, ma perché i film horror hollywoodiani non erano quella cosa lì, nel 1973, e non avevano comunque mai attirato prima di allora un pubblico così esteso ed eterogeneo. Cinque anni prima ne era uscito uno che aveva già sparigliato parecchio le carte, Rosemary’s Baby, ma girato da un trentacinquenne regista polacco che si era appena trasferito negli Stati Uniti, Roman Polanski, con una sensibilità artistica che di hollywoodiano aveva poco.

L’esorcista fu invece il risultato di un insieme di stili e approcci che non erano mai stati applicati in uno stesso horror. Fu un film pienamente hollywoodiano, nel senso di spettacolarità e ricercatezza degli effetti speciali, ma con anche scene che all’epoca sarebbe stato normale vedere soltanto in b-movie violentissimi e grotteschi, molto di nicchia (splatter). Allo stesso tempo aveva dialoghi da film drammatico, personaggi complessi e una sceneggiatura non banale, scritta dallo stesso autore del libro da cui il film era tratto, Blatty, che ci vinse l’Oscar, l’unico della sua carriera. Infine era un film girato da Friedkin, uno che diversamente da Polanski non aveva una reputazione da regista di film d’autore, ma si era formato nelle produzioni televisive e aveva da poco vinto un Oscar per un film di genere (ma un altro, il poliziesco): Il braccio violento della legge.

Prima del 26 dicembre 1973 non c’erano insomma elementi per immaginare che L’esorcista, la cui visione era peraltro vietata ai minori di 17 anni, sarebbe diventato non soltanto un successo di pubblico epocale, ma il film horror più popolare e citato di tutti i tempi. Incassò quasi due milioni di dollari solo nella prima settimana, nonostante la limitata distribuzione iniziale, stabilendo record in ogni sala in cui era in programmazione. Dopo un mese aveva incassato 7,4 milioni di dollari, convincendo i dirigenti della Warner che quel film su cui non avevano riposto tantissima ambizione avrebbe rapidamente superato addirittura il maggior successo della storia della casa di produzione all’epoca, My Fair Lady, del 1964.

L’esterno del cinema Warner di Leicester Square, a Londra, durante la programmazione del film, il 13 marzo 1974

L’esterno del cinema Warner di Leicester Square, a Londra, durante la programmazione del film, il 13 marzo 1974 (Evening Standard/Hulton Archive/Getty Images)

Per avere incassato complessivamente 230 milioni di dollari nel solo mercato nordamericano (e quasi altri 200 nel resto del mondo), L’esorcista è da 50 anni stabilmente tra i primi dieci maggiori successi cinematografici di sempre, tenendo conto dell’inflazione, e il primo tra quelli vietati ai minori di 17 anni. Fu il primo horror nella storia a ottenere una candidatura all’Oscar per il miglior film, nel 1974 (su nove candidature in totale vinse soltanto il premio per la miglior sceneggiatura non originale e quello per il miglior sonoro). Le lunghe code di persone fuori dai cinema, in fila per ore anche sotto la pioggia, indussero la Warner a estendere la distribuzione in più di trecento sale nel 1974, stravolgendo le consuetudini in un’epoca in cui i film non uscivano in tutti i cinema del paese contemporaneamente, come invece sarebbe diventato abituale solo dopo L’esorcista.

Come dimostrano decine di articoli dei quotidiani che lo recensirono all’epoca dell’uscita al cinema, a trasformare L’esorcista in un fenomeno di massa sia negli Stati Uniti che all’estero furono le scene più impressionanti e disturbanti. In un breve documentario del 1974 sull’impatto culturale del film, che contiene riprese e interviste alle persone che andavano a vederlo, se ne vedono alcune che lasciano la sala dopo pochi minuti, sconvolte e con la nausea, e altre che svengono, probabilmente indebolite anche dalla precedente lunga attesa fuori dal cinema.

Il racconto di quegli effetti circolò estesamente e a lungo sui media e nel passaparola, procurando al film un’enorme pubblicità, indipendentemente da giudizi di merito. Moltissime persone vedevano L’esorcista anche solo per dimostrare di reggere emotivamente e fisicamente la visione, o per curiosità: perché mostrava qualcosa di mai visto prima in un cinema, come per esempio una ragazzina posseduta che si masturba con un crocifisso. Quella scena fu peraltro uno dei tanti motivi di disaccordo tra Friedkin e Blatty, raccontati dal critico inglese Mark Kermode in un libro del 1998. Il regista era certo che quella scena sarebbe diventata una delle più commentate, mentre lo sceneggiatore avrebbe preferito evitarla e mantenere la trama più fedele a quella del libro.

Blatty, sceneggiatore hollywoodiano di discreto successo, specializzato in commedie poco impegnative e devoto cattolico, aveva scritto L’esorcista nel 1971 dopo essere rimasto affascinato dal racconto di un presunto esorcismo avvenuto nel 1949 nei pressi di Tacoma, nello stato di Washington. Mirava a realizzare un film che non si limitasse a mettere paura, ma contenesse soprattutto un messaggio religioso: l’aspetto che interessava meno a Friedkin, ebreo agnostico, affascinato dalla storia di Blatty più che dal messaggio.

Dopo più di 15 mesi di riprese e continui compromessi tra i due, alla fine del montaggio il film durava 140 minuti. La Warner convinse Friedkin che il taglio di alcune scene ritenute superflue avrebbe reso il film migliore, e lui tagliò circa 10-12 minuti senza dire niente a Blatty, che non era disposto ad accettare il consiglio dei produttori. Alcune delle scene escluse erano tra le sue preferite: una in cui padre Karras e padre Merrin dialogano sulla loro fede in una pausa durante l’esorcismo, e il finale originale, in cui il tenente Kinderman e padre Dyer – interpretato dal gesuita statunitense William O’Malley – programmano di andare al cinema insieme (entrambe sarebbero poi state ripristinate nella versione integrale del film uscita nel 2000).

Per Blatty quelle scene servivano a spiegare la ragione della possessione della ragazzina e a rendere più chiaro il trionfo del bene: messaggi che nella versione uscita al cinema restano più sfumati e indefiniti. Come scritto dal critico Jason Zinoman, «L’esorcista lavora su molteplici paure dell’ignoto», tra cui la confusione di un genitore davanti ai cambiamenti del figlio o della figlia che si avvicina alla pubertà, e il gergo incomprensibile e minaccioso dei medici. Ma la paura più importante, «raggiunta attraverso lo scontro estetico tra Blatty e Friedkin, deriva dai misteri della fede», dall’«ansia di uno stupore inspiegabile di fronte a un mondo travolgente».

Una fila di persone in attesa di vedere “L’Esorcista” al Paramount Theater, a New York, il 4 febbraio 1974

Una fila di persone in attesa di vedere “L’esorcista” al Paramount Theater, a New York, il 4 febbraio 1974 (AP Photo/Ron Frehm)

Sulle scene più violente – quelle volute da Friedkin e meno gradite a Blatty – si concentrarono anche le attenzioni della critica, che nella maggior parte dei casi non apprezzò il film e lo trovò grottesco e poco originale. Anche in Italia, dove il film fu distribuito a settembre del 1974, le critiche furono perlopiù negative, in parte condizionate da una pubblicità battente che si concentrava, sovrastimandolo, sul disgusto che aveva provocato nel pubblico statunitense. Giudizi a parte – come raccontato in un episodio del podcast di BadTaste “A Cult Story” da Gabriele Niola, autore della newsletter del PostDicono che è bello” – un articolo dello scrittore italiano Alberto Arbasino pubblicato sul Corriere della Sera il 26 settembre 1974 colse un aspetto per cui L’esorcista anticipò fenomeni destinati a durare e a emergere con ancora più evidenza nei decenni successivi.

Arbasino fece notare che L’esorcista non era solo un film ma un evento, «uno di quei grandi fatti come i funerali di Kennedy o lo sbarco sulla Luna che tutti devono vedere, per poi poterne parlare, dal momento che tutti gli “altri” li vedono e ne parlano», indipendentemente dal loro valore. I progetti «colossali» erano quelli su cui i produttori erano disposti a investire maggiori risorse, coinvolgendo registi ritenuti utili soltanto nella misura in cui potevano garantire profitto. Arbasino fece l’esempio di Francis Ford Coppola, «esaltato finché fornisce Il Padrino su progetto dei produttori, ma boicottato quando fa La conversazione su progetto proprio, e non conta se vince il Festival di Cannes: lo distribuiscono male, non gli accordano pubblicità».

Ma come raccontato dallo scrittore statunitense Nat Segaloff nel libro The Exorcist Legacy: 50 Years of Fear, L’esorcista fu più di un insieme di scene controverse e discusse. Per girare il film Friedkin coinvolse due gesuiti come consulenti (uno dei due, O’Malley, anche come attore) e sforò il budget iniziale di 12 milioni di dollari, in parte per effetti speciali che all’epoca potevano essere realizzati soltanto meccanicamente. Per far sì che il respiro dei preti nella stanza durante l’esorcismo fosse molto visibile, per esempio, il set fu raffreddato utilizzando al massimo livello condizionatori da 50mila dollari destinati solitamente ad ampi spazi commerciali.

Le scale dell'esorcista, una scalinata usata per girare parti del film nel quartiere di Georgetown, a Washington D.C.

Le “scale dell’esorcista”, una scalinata usata per girare parti del film nel quartiere di Georgetown, a Washington D.C. (Dmitry K/Wikimedia)

Interessato a mostrare nel dettaglio la lunga parte del film in cui i personaggi della storia cercano di dare una spiegazione medica razionale ai comportamenti della ragazzina posseduta, Friedkin coinvolse anche diversi consulenti scientifici tra cui psicologi, psichiatri, neuroscienziati, medici ospedalieri e radiologi, che fornirono durante le riprese istruzioni dettagliate sulle procedure da seguire per gli esami diagnostici. E furono proprio le scene della pneumoencefalografia e dell’angiografia cerebrale eseguite su Regan, in particolare l’iniezione del mezzo di contrasto nell’arteria carotidea, quelle più difficili da vedere per il pubblico in sala, come osservato in un articolo uscito nel 2021 sulla rivista History of the Human Sciences e scritto dalla studiosa di media inglese Amy Chambers.

Friedkin incluse nel montaggio le riprese degli esami diagnostici più avanzati dell’epoca, soprattutto l’angiografia cerebrale, che non erano mai stati mostrati al cinema così dettagliatamente. Non lo fece per morbosità, ma per rafforzare una lettura del film che contrapponesse alla violenza della possessione demoniaca la violenza delle procedure mediche e la fragilità di un corpo inteso come «soggetto sperimentale da controllare e sondare», scrive Chambers. Questo livello di dettaglio e attenzione era inoltre funzionale a descrivere la medicina come processo «in continua evoluzione», solo provvisoriamente frustrante e inconcludente, e a insinuare l’idea che fenomeni fisicamente inspiegabili avrebbero comunque potuto ricevere in futuro una spiegazione scientifica plausibile.

La contrapposizione tra scienza e religione era stata notata e da alcuni apprezzata già all’epoca dell’uscita del film. In un articolo pubblicato nel 1974 sulla rivista New Scientist il comico scozzese Graeme Garden, peraltro laureato in medicina, aveva scritto che il film «incarna il nostro fascino duraturo per il soprannaturale, in un’epoca in cui le convinzioni religiose hanno lasciato il posto a un’accettazione quasi illimitata della scienza e dei progressi tecnologici». E aveva previsto che ogni volta che un film avesse trattato «il conflitto tra sacro e profano, tra spirituale e carnale, e soprattutto tra bene e male», L’esorcista sarebbe stato citato come principale modello di riferimento.