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  • Giovedì 21 dicembre 2023

Le misure cautelari per l’uomo che ha ucciso Vanessa Ballan erano state giudicate non urgenti

La donna lo aveva denunciato per stalking, ma non c'erano state conseguenze: il procuratore di Treviso ha ammesso un errore di valutazione

(ANSA/MASSIMO PERCOSSI)
(ANSA/MASSIMO PERCOSSI)

Intorno alle 11:30 di martedì mattina Vanessa Ballan, una donna 26enne di Castelfranco Veneto, è stata uccisa nella sua casa con almeno sette coltellate da Bujar Fandaj, 41enne di origine kosovare con cui aveva avuto una relazione finita da più di un anno. Fandaj non aveva accettato la fine della relazione e aveva iniziato a molestare e minacciare Ballan per costringerla a tornare insieme: lo scorso 27 ottobre lei lo aveva denunciato per stalking, ma in quasi due mesi la procura di Treviso, competente sul caso, non aveva deciso misure cautelari per impedire all’uomo di avvicinarsi a Ballan. In una conferenza stampa il procuratore capo di Treviso, Marco Martani, ha ammesso che non farlo è stato probabilmente un errore:

La valutazione che era stata fatta dal magistrato del gruppo fasce deboli [quello che si occupa tra le altre cose dei reati sessuali, ndr] era di non urgenza sulla richiesta di misura cautelare. Alla luce di quello che è successo la valutazione si è rivelata infondata.

Secondo il procuratore, sulla base della denuncia presentata da Ballan c’era «il presupposto per la richiesta di una misura di divieto di avvicinamento», una misura cautelare che il giudice può disporre su richiesta del pubblico ministero nei confronti di un indagato (quindi non ancora sotto processo) per imporgli di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona che denuncia di essere vittima di stalking o violenze.

Ballan infatti lavorava come cassiera in un supermercato vicino al luogo in cui abitava, a Riese Pio X, in provincia di Treviso: un posto che poteva essere agevolmente frequentato da Fandaj con una scusa, dal momento che abitava in zona anche lui, e che avrebbe giustificato il divieto di avvicinamento. Martani ha anche detto che in un’occasione Fandaj aveva scavalcato il cancello dell’abitazione di Ballan, gridandole insulti e minacce. Non era però entrato in casa.

Ballan aveva sopportato per mesi la persecuzione senza denunciare perché quella con Fandaj era stata una relazione parallela a quella con il suo compagno stabile, il 28enne Nicola Scapinelli, a cui non voleva confessare il tradimento. Ballan e Scapinelli stavano insieme da 11 anni, avevano un figlio di quattro anni e lei era incinta di due mesi del secondo. Fandaj aveva cominciato a ricattare Ballan, dicendole che se non fossero tornati insieme lui avrebbe diffuso dei video che li ritraevano insieme in intimità. È stato lo stesso Scapinelli a raccontare queste cose alla procura di Treviso: Ballan infatti dopo mesi gli aveva detto della relazione con Fandaj, lui l’aveva accettata e aveva sostenuto la decisione di presentare una denuncia per stalking.

Il divieto di avvicinamento è un tipo di misura che viene spesso usato in casi di stalking, maltrattamenti o altri reati simili, ma è anche considerata non del tutto efficace perché può essere facilmente violata: spesso infatti non vengono usati dispositivi elettronici per controllare che venga rispettata, e in ogni caso quando si riscontra una violazione può essere troppo tardi per intervenire ed evitare conseguenze. Ha messo in dubbio l’efficacia del divieto di avvicinamento anche il procuratore Martani, dicendo che «di fronte a una volontà così feroce e determinata di omicidio questa misura non so fino a che punto l’avrebbe potuto impedire», anche perché «tutto è avvenuto nel giro di 20 minuti» e non ci sarebbe stato il tempo per intervenire.

Secondo Martani «l’unica misura che avrebbe dato la certezza che lui non l’avrebbe potuta uccidere era la custodia in carcere», ma in base alle informazioni che aveva la procura non c’erano gli estremi legali per disporla. Martani ha spiegato anche come sono state prese le decisioni dopo la denuncia di Ballan, e perché non erano state disposte misure cautelari: il magistrato che aveva raccolto la denuncia aveva disposto una perquisizione nei confronti di Fandaj, poi aveva passato il caso al magistrato competente per i casi di stalking (quello del nucleo che viene chiamato “fasce deboli”).

Quest’ultimo prima di prendere una decisione aveva chiesto i tabulati del telefono di Fandaj per vedere i messaggi con la donna (dal telefono di Ballan non erano accessibili perché lei li aveva cancellati). Nei quasi due mesi trascorsi tra la denuncia e l’omicidio l’esito dei tabulati non era ancora arrivato e secondo il procuratore «non c’erano stati altri episodi allarmanti»: come conseguenza di questa situazione, non erano state decise misure cautelari.

Nelle ultime settimane in Italia si è discusso molto di come le autorità dovrebbero affrontare i casi di femminicidio, cioè quelli in cui l’omicidio di una donna è la conseguenza di violenze (fisiche ma anche psicologiche) che derivano da una dinamica di potere e controllo alimentata da stereotipi e aspettative di genere, e che sono esercitate sulle donne da uomini a loro vicini o che pensano di esserlo.

Se ne è parlato soprattutto a partire dal femminicidio di Giulia Cecchettin lo scorso novembre, e nel frattempo il parlamento ha approvato una legge che vorrebbe rafforzare le misure contro la violenza sulle donne già previste dalla legge che venne chiamata “Codice rosso”, del 2019.

La nuova legge, presentata dalla ministra per la Famiglia e le Pari opportunità Eugenia Roccella, ha introdotto l’obbligo per il pubblico ministero di valutare le misure cautelari entro 30 giorni dall’inizio delle indagini, mentre finora non c’erano limiti. Il giudice poi ha altri 30 giorni per decidere se accogliere le richieste. Secondo alcuni sarebbe ancora un tempo troppo lungo: nel caso specifico di Ballan per esempio non sarebbe stato sufficiente. La nuova legge inoltre amplia i casi in cui si può disporre l’uso del braccialetto elettronico per verificare il rispetto dei divieti di avvicinamento.

La legge voluta da Roccella è stata piuttosto criticata dalle associazioni che si occupano di violenza sulle donne perché rafforza soprattutto le misure “punitive”, ma si occupa poco di prevenzione: Antonella Veltri, presidente dell’associazione Dire (Donne in rete contro la violenza), dice che le iniziative previste per l’educazione e la formazione contro la violenza sulle donne «non sono chiare» e manca «una formazione capillare, costante e adeguatamente finanziata».

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