Il problema più grande del trasporto aereo

Il primo volo dimostrativo transatlantico con un grande aereo alimentato con biocombustibile è stato commentato con grande entusiasmo, ma non c'è molto da essere ottimisti

(Anna Moneymaker/Getty Images)
(Anna Moneymaker/Getty Images)
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Martedì 28 novembre un Boeing 787 della compagnia aerea Virgin Atlantic è decollato dall’aeroporto di Heathrow a Londra, ha sorvolato l’oceano Atlantico settentrionale ed è atterrato all’aeroporto John F. Kennedy di New York. L’aereo non era certo il primo a effettuare uno dei collegamenti transatlantici più trafficati del mondo, ma è stato il primo aereo di grandi dimensioni a coprire quella rotta utilizzando esclusivamente biocombustibile. Virgin Atlantic e il governo britannico, che ha collaborato al progetto, hanno commentato con entusiasmo e toni enfatici l’iniziativa segnalando le grandi potenzialità dei biocombustibili per ridurre l’impatto ambientale del settore aereo, ma non tutti sono convinti che usare combustibili ottenuti da piante, scarti alimentari e altri tipi di biomasse sia davvero una via praticabile per risolvere o per lo meno ridurre il problema.

Il Boeing 787 è stato alimentato con quelli che vengono definiti carburanti sostenibili per l’aviazione (“sustainable aviation fuels”, SAF) il cui impiego è discusso da tempo e che negli ultimi tempi hanno ricevuto nuove attenzioni, soprattutto in seguito alla decisione del governo degli Stati Uniti di incentivarne l’utilizzo, attraverso agevolazioni fiscali. A bordo dell’aereo non c’erano passeggeri paganti, ma rappresentanti della compagnia aerea e delle istituzioni britanniche, anche perché le attuali regole per la sicurezza in volo vietano di utilizzare più del 50 per cento di SAF per volare. Virgin Atlantic ha potuto effettuare il viaggio sperimentale grazie a una deroga concessa dall’Autorità per l’aviazione civile del Regno Unito.

Oltre ai limiti imposti dai regolamenti, a oggi sarebbe comunque impossibile gestire una quantità rilevante di voli per un semplice motivo: non ci sono SAF a sufficienza. Secondo le stime più condivise, a oggi i SAF costituiscono meno dello 0,1 per cento del mercato dei carburanti per l’aviazione civile e le prospettive di crescita sono vincolate da molte variabili, in un settore costantemente esposto a grandi oscillazioni.

Per ridurre l’impatto delle attività umane e mitigare gli effetti del cambiamento climatico, quasi tutti gli ambiti produttivi sono coinvolti nella revisione delle loro attività per produrre meno emissioni, a partire da quelle di anidride carbonica (“decarbonizzazione”), tra le principali responsabili dell’effetto serra. Per alcuni settori, come quello aereo, la transizione è più difficile di altri perché a oggi non esistono tecnologie alternative per azzerare o ridurre significativamente le emissioni prodotte in volo. Le stime variano molto, ma si calcola che l’aviazione sia responsabile del 2-2,5 per cento circa di tutte le emissioni di anidride carbonica, cui si devono aggiungere numerose altre sostanze inquinanti prodotte dalla combustione del cherosene, il principale carburante impiegato per far volare gli aerei.

Ci sono settori che nel complesso producono molte più emissioni, ma la domanda di collegamenti aerei è in crescita e continuerà ad aumentare man mano che i paesi in via di sviluppo estenderanno le proprie capacità economiche. Alcune previsioni non escludono che entro il 2050 le emissioni di anidride carbonica del settore aereo possano raddoppiare, in mancanza di accorgimenti e soluzioni per tenerle sotto controllo.

(Justin Sullivan/Getty Images)

Nonostante le grandi difficoltà, negli ultimi anni alcune compagnie aeree hanno iniziato a pubblicizzare gli impegni per raggiungere la neutralità carbonica in tempi rapidi, provando in questo modo a migliorare la propria percezione da parte dei clienti e dei decisori politici. Le più virtuose hanno avviato progetti per ridurre le emissioni in tutti gli ambiti non strettamente legati al volo, dove invece è più difficile farlo, per esempio ottimizzando la logistica delle operazioni a terra ed elettrificando i loro mezzi negli aeroporti. Hanno anche fatto ampio ricorso ai sistemi di compensazione delle emissioni, dove in sostanza il soggetto che le produce può compensare acquistando crediti tramite progetti che contribuiscono alla riduzione delle emissioni globali. Il sistema delle compensazioni è però criticato da molto tempo e a detta dei più critici più che soluzioni crea alibi per i grandi emettitori.

Il problema di fondo per le compagnie aeree è che portare e mantenere in volo a 10-12mila metri un aereo con una massa di 180 tonnellate richiede una grande quantità di energia, che deve essere ottenuta partendo da qualcosa che occupi poco spazio e che pesi il meno possibile. Conta quindi la densità energetica, e quando si parla di carburanti si usa spesso il concetto di energia specifica, espressa in wattora per chilogrammo (o meglio ancora in megajoule per chilogrammo). L’energia specifica del carburante utilizzato in aviazione è intorno ai 12mila wattora per chilogrammo, contro i 300 wattora per chilogrammo delle migliori batterie elettriche oggi sul mercato. Le batterie sono pesanti e la loro massa non cambia in modo rilevante man mano che si scaricano, come avviene invece con i serbatoi contenenti il carburante convenzionale, la cui quantità si riduce man mano che viene bruciato dai motori, alleggerendo l’aereo.

In attesa di nuove evoluzioni tecnologiche, che potrebbero portare a ripensare radicalmente gli aeroplani se mai venissero attuate, i SAF sono visti come una soluzione temporanea per mitigare il problema delle emissioni. Come si è visto con il volo dimostrativo di Virgin Atlantic, potrebbero essere impiegati sugli aerei già esistenti senza la necessità di intervenire sul loro funzionamento e per questo sono visti molto positivamente dalle compagnie aeree. Ci sono però forti dubbi sulla possibilità di riuscire a produrne a sufficienza per un settore che consuma moltissimo combustibile, così come ci sono molte riserve sul fatto che i SAF possano essere considerati davvero sostenibili.

Il principio alla base dei SAF non è diverso da quello dei biocombustibili in generale. Invece di produrre combustibili partendo da petrolio e gas, che comportano l’aggiunta di ulteriore anidride carbonica nell’atmosfera, si parte per lo più dalle piante che sottraggono anidride carbonica già esistente nell’ambiente durante la loro crescita, che viene restituita nel momento in cui vengono bruciate. In questo modo la quantità di anidride carbonica rimane invariata, almeno in linea teorica.

I processi di produzione dei biocombustibili richiedono un certo dispendio di energia, anche solo per coltivare, prelevare e trattare le piante dalle quali saranno ricavati i prodotti per la combustione. L’intera catena di produzione implica l’emissione di anidride carbonica e altre sostanze inquinanti, ma anche tenendo conto di tutte queste variabili si ritiene che i biocombustibili abbiano un impatto minore dal punto di vista delle emissioni rispetto a quelli tradizionali. La loro produzione su grandissima scala, necessaria per rispondere alle esigenze attuali, avrebbe comunque un forte impatto perché richiede di destinare a uso agricolo enormi quantità di terreno. Non è un problema da poco, perché piantagioni tutte dello stesso tipo impoveriscono la biodiversità, cioè la varietà di specie che popolano un certo ecosistema, con gravi conseguenze per l’ambiente.

Tra i tipi di piantagione da destinare alla produzione di combustibili fossili viene spesso citata la canna da zucchero, la cui coltivazione è relativamente semplice e possibile su ampie porzioni di territorio, compatibilmente all’area climatica in cui ci si trova. Uno studio pubblicato nell’estate di quest’anno ha quindi provato a calcolare quanta canna da zucchero si dovrebbe produrre per convertire ai SAF il settore dei voli di linea. La ricerca ha stimato che sarebbero necessari quasi 1,3 milioni di chilometri quadrati, quasi quattro volte l’intera superficie dell’Italia.

La produzione dei SAF dovrebbe quindi coinvolgere diversi altri metodi, a partire dallo sfruttamento dei rifiuti organici, tenendo comunque in considerazione che anche usandoli tutti non ce ne sarebbero lo stesso a sufficienza per far volare tutti gli aeroplani che utilizziamo oggi. Tra le altre fonti per la produzione dei SAF vengono spesso segnalate anche le alghe, che crescono velocemente lungo le coste e i fondali, ma anche in questo caso occorrerebbe valutare l’impatto ambientale della raccolta e il dispendio di energia per il trasporto e il loro trattamento.

Non è un ostacolo da poco e le compagnie aeree confidano di poterlo superare con l’affermarsi dei cosiddetti combustibili sintetici o elettrocombustibili. Per produrli si parte da energia elettrica ottenuta utilizzando fonti rinnovabili che viene impiegata per sottrarre l’anidride carbonica già presente nell’atmosfera e trattarla con vari processi di sintesi chimica, arrivando infine alla produzione di combustibili con caratteristiche comparabili a quelle dei combustibili fossili. Anche in questo caso la loro combustione non comporterebbe l’aggiunta di nuova anidride carbonica rispetto a quella che era stata sottratta per produrli, ma il processo richiede comunque grandi quantità di energia elettrica e ci si chiede dunque quanto possa essere sostenibile e praticabile su larga scala.

Prototipo su piccola scala di un sistema per la produzione di combustibili partendo dalle alghe (Alexander Koerner/Getty Images)

Tutti questi problemi e una certa inerzia nel continuare a utilizzare i combustibili tradizionali hanno influito negativamente sulla disponibilità dei SAF. Alcune compagnie aeree, come la statunitense United, nel 2022 hanno utilizzato 11 milioni di litri di SAF, pari a circa lo 0,8 per cento di tutto il combustibile utilizzato dai suoi aerei. I SAF sono stati miscelati al cherosene normalmente impiegato per i voli di linea, visto che per ora non possono essere impiegati in maniera esclusiva. È una porzione molto bassa rispetto al consumo di una sola compagnia aerea e diventa infinitesimale rispetto ai consumi complessivi di combustibili nel settore.

La domanda dei SAF è nel frattempo aumentata sia per il sistema di sussidi adottato negli Stati Uniti, sia per i nuovi regolamenti nell’Unione Europea che prevedono un impiego di almeno il 6 per cento di SAF negli aeroporti europei entro la fine del 2030, con l’obiettivo di arrivare al 70 per cento nel 2050. Alle attuali condizioni l’obiettivo non sembra essere realizzabile e un aumento della domanda a fronte di una grande scarsità potrebbe avere effetti sui prezzi, incidendo su una delle voci di spesa più grandi per le compagnie aeree, per lo più soggetta alle classiche oscillazioni del mercato dei combustibili fossili.

La scelta di definire “sostenibili” i SAF continua a suscitare perplessità, anche perché con l’espansione del settore potrebbe essere difficile certificarne l’origine sostenibile. Il disboscamento di foreste naturali, come già avviene in molte aree del mondo per fare spazio a piantagioni estensive, non rientra in un approccio davvero sostenibile alla produzione di questi biocombustibili, ma dimostrare chiaramente la loro provenienza potrebbe rivelarsi difficoltoso.

Con le attuali tecnologie appare improbabile che in tempi brevi il settore del trasporto aereo possa diventare davvero sostenibile. Secondo alcuni esperti, la via più percorribile almeno per il momento consiste nel ridurre la domanda, intervenendo sui prezzi e sui sussidi per i carburanti tradizionali, specialmente per i voli di breve durata che potrebbero essere sostituiti con collegamenti di altro tipo a cominciare da quelli ferroviari. La costruzione di linee efficienti e ad alta velocità per i treni richiede però tempo e ha almeno inizialmente un forte impatto sull’ambiente, che viene comunque mitigato più rapidamente per quanto riguarda le emissioni rispetto ad altre infrastrutture, compresi gli aeroporti.

La domanda globale sembra però indirizzata verso altre prospettive. Secondo l’organizzazione intergovernativa europea per il controllo del traffico aereo Eurocontrol, la quantità di voli effettuati ogni anno raggiungerà 16 milioni entro il 2050, con un aumento del 44 per cento rispetto al 2019, l’anno prima dell’inizio della pandemia da coronavirus che per lungo tempo ha portato a una forte riduzione dei viaggi. Lo sviluppo dei SAF e di altre soluzioni alternative potrebbe quindi avere una portata ancora inferiore a fronte di un aumento così significativo dei voli in buona parte del pianeta.