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  • Venerdì 8 dicembre 2023

La retorica di Donald Trump è sempre più fascista

Ha chiamato gli avversari «parassiti» e usa un linguaggio sempre più violento e pericoloso

(AP Photo/Alex Brandon)
(AP Photo/Alex Brandon)
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Mercoledì sera a Tuscaloosa in Alabama si è tenuto il quarto dibattito televisivo fra i candidati alla nomination del Partito Repubblicano per la presidenza, e anche in questa occasione Donald Trump ha scelto di non partecipare, forte del larghissimo vantaggio che tutti i sondaggi gli attribuiscono per le primarie. A inizio novembre un sondaggio del New York Times lo segnalava come favorito in alcuni stati chiave anche alle presidenziali contro il Democratico Joe Biden. Questo benché nelle ultime settimane Trump abbia notevolmente alzato il livello dello scontro con i suoi avversari, a un punto senza precedenti che da molti è stato definito preoccupante.

Bisogna comunque ricordare che alle elezioni americane mancano undici mesi, e che i sondaggi devono essere presi con estrema cautela: moltissime cose possono ancora cambiare.

La retorica di Trump sta assumendo toni sempre più autoritari e violenti: le prossime elezioni sono descritte come la «battaglia finale» e Trump parla apertamente dell’occasione di una «vendetta» e di «un regolamento di conti» nei confronti degli avversari, indicati come «traditori» e «usurpatori» della volontà popolare. Con l’eccezione di quelli più apertamente conservatori, la gran parte dei media statunitensi ha sottolineato in questi giorni una deriva sempre più radicale della retorica di Trump, che in alcuni casi ricorda la retorica fascista dei regimi del Novecento.

In una recente intervista alla televisione di destra Fox News Trump ha risposto proprio ad alcune domande su una possibile deriva autoritaria del suo secondo mandato. È stato piuttosto evasivo, ma incalzato dal giornalista Sean Hannity ha detto: «No, no, non sarò un dittatore, con l’eccezione del primo giorno dopo l’elezione: chiuderemo i confini e perforeremo, perforeremo, perforeremo. A parte questo, non sono un dittatore». Cambiando piuttosto discorso, Trump faceva riferimento a politiche antiimmigrazione e all’autorizzazione di nuove perforazioni petrolifere.

Trump non ha abbandonato la falsa narrativa sulle «elezioni rubate» del 2020, ma anzi la sta utilizzando per alimentare programmi autoritari. Nelle ultime settimane ha definito gli avversari politici «parassiti da estirpare» – un’espressione usata in passato da dittatori come Adolf Hitler e Benito Mussolini – ha dichiarato che gli immigrati «stanno avvelenando il sangue della nazione», ha sostenuto che l’ex capo di stato maggiore dell’esercito Mark Milley meriterebbe di essere condannato a morte per tradimento e ha ipotizzato l’uso dell’esercito per ristabilire l’ordine nel paese, soprattutto negli stati e nelle città gestite dai Democratici.

Ai già noti eccessi verbali di Trump si aggiungono programmi e piani più concreti presentati in campagna elettorale per il prossimo mandato o trapelati attraverso inchieste di media che hanno parlato con persone vicine all’ex presidente. Trump starebbe lavorando per un maggiore accentramento del potere, per un controllo della magistratura al fine di perseguire gli avversari politici, per licenziare migliaia di funzionari pubblici, sostituendoli con altri più “leali”, e per soluzioni drastiche contro l’immigrazione, che prevedono deportazioni e incarcerazioni di massa. Alcune di queste soluzioni antidemocratiche sono apertamente presentate nei comizi, altre sono ipotizzate e studiate da organismi e rappresentanti della componente più estremista del Partito Repubblicano, oggi maggioritaria.

Durante un comizio a Cedar Rapids, Iowa. (Geoff Stellfox/The Gazette via AP)

Secondo molti osservatori proprio il mutato contesto politico rispetto alla prima elezione del 2016, con la radicalizzazione e lo spostamento verso destra dei Repubblicani, è uno dei fattori che rendono un eventuale secondo mandato di Trump molto più pericoloso del primo. Poi c’è la situazione personale di Trump, attualmente imputato in quattro diversi processi penali: oggi l’ex presidente, scrive il New York Times, è «più arrabbiato, disperato e pericoloso» per la tenuta democratica degli Stati Uniti.

Già durante la campagna elettorale del 2016 Trump aveva usato una retorica radicale e antidemocratica: aveva parlato di frodi dopo la prima sconfitta alle primarie in Iowa, aveva minacciato di far arrestare Hillary Clinton, aveva definito i messicani «stupratori» e gli immigrati «animali», aveva promesso di vietare l’ingresso nel paese ai musulmani e si era offerto di pagare le spese legali ai sostenitori che avessero picchiato i contestatori. Una volta in carica, aveva fatto ripetute pressioni per indagare penalmente i suoi avversari politici, incontrando resistenze dagli organi giudiziari, mentre i progetti di legge più illiberali, come il primo “travel ban” che aveva bloccato l’ingresso negli Stati Uniti da determinate nazioni, si erano scontrati con problemi di costituzionalità.

Sostenitori di Trump in Iowa (Geoff Stellfox /The Gazette via AP)

Secondo molti media oggi le resistenze a una deriva autoritaria potrebbero essere minori. Il partito Repubblicano è molto più coeso sulle posizioni più estreme di Trump (i rappresentanti più moderati e critici sono stati spinti a non ricandidarsi o sconfitti nelle primarie), mentre la cerchia ristretta del presidente sta lavorando da tempo per avere un’amministrazione più leale ed efficiente. Il primo mandato fu caratterizzato da una lunga serie di dimissioni, sostituzioni e grande litigiosità nello staff, che potrebbe non ripetersi dopo un lungo processo che ha uniformato il pensiero Repubblicano all’agenda politica di Trump.

Quest’ultima è stata presentata ampiamente in questi primi mesi di campagna elettorale. Un primo obiettivo dopo il ritorno al potere è stato riassunto in modo preoccupante durante un discorso di Trump nella giornata nazionale dei veterani: «Estirperemo comunisti, marxisti, fascisti e radicali di sinistra che vivono come parassiti nei confini della nostra nazione e che mentono, rubano e barano nelle elezioni. La minaccia esterna è molto meno sinistra, pericolosa e grave rispetto a quella interna». Il discorso è stato paragonato a quello di dittatori del passato e di presidenti autoritari del presente come Viktor Orbán o Recep Tayyip Erdogan e segue dichiarazioni pubbliche e private in cui l’ex presidente ha detto che si muoverà perché il dipartimento di Giustizia persegua penalmente i suoi avversari, dalla famiglia Biden a ex collaboratori considerati traditori, fino ai procuratori che lo hanno accusato in sede civile e penale.

Secondo un’inchiesta del Washington Post esiste inoltre un piano spiegato in via ufficiosa dai collaboratori più stretti dell’ex presidente per utilizzare l’esercito per sedare possibili proteste sin dal primo giorno dopo una sua eventuale rielezione. La via legale per farlo sarebbe appellarsi all’Insurrection Act, una legge del 1871 che permette di utilizzare le forze armate come supporto per operazioni di polizia all’interno degli Stati Uniti. Trump ha invece detto pubblicamente di voler utilizzare l’esercito per «ristabilire l’ordine» nelle città gestite dai Democratici e per attaccare i cartelli della droga, anche in territorio messicano.

Sostenitrici in Florida (Photo by Alon Skuy/Getty Images)

Trump ha inoltre ribadito di voler riconsiderare impegno e obiettivi della NATO e di voler attuare una stretta radicale contro l’immigrazione. Questa passerebbe dal respingimento di ogni richiesta di asilo, dal superamento del principio della cittadinanza automatica per chiunque sia nato negli Stati Uniti, dall’uso dell’esercito ai confini e dal rastrellamento e dalla reclusione in campi detentivi di tutti gli immigrati illegali presenti nel paese. A livello legale ha inoltre annunciato che concederà la grazia presidenziale a gran parte delle persone che parteciparono all’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021: «Intendo una grazia totale, con tanto di scuse. Tranne per un paio di loro, che forse hanno perso il controllo». La grazia era già stata molto sfruttata negli ultimi giorni del suo primo mandato per proteggere amici e alleati politici.

Un altro progetto prevede invece una radicale sostituzione di una parte consistente dei funzionari e dipendenti pubblici federali: lo ha raccontato Axios rivelando come la prossima amministrazione Trump vorrebbe riproporre un ordine esecutivo già approvato 13 giorni prima della fine del mandato e poi cancellato da Biden. Questo inserisce una nuova categoria all’interno dei dipendenti federali (“Schedule F”): chi vi apparterrà perderà le protezioni da un possibile licenziamento. L’ordine permetterebbe di licenziare e sostituire con funzionari più aderenti all’agenda politica del presidente 50.000 dipendenti di enti federali di intelligence e sicurezza nazionale, ma anche di FBI, dipartimento di Stato e Pentagono.

Dopo la fine del mandato di Trump e l’assalto al Congresso del 6 gennaio si era sviluppato negli Stati Uniti un grande dibattito pubblico sulla necessità di codificare maggiormente i limiti dei poteri presidenziali per evitare che in futuro la tenuta della democrazia potesse essere messa in discussione. A dicembre 2021 erano state presentate proposte di legge in questo senso come il “Protecting Our Democracy Act”, che però non ha mai ottenuto l’approvazione del Senato per l’opposizione dei Repubblicani.