Spendiamo ancora moltissimi soldi in sussidi ai combustibili fossili

Nonostante tutte le ambizioni delle varie conferenze sul clima, nel 2022 è stato speso così il 7 per cento del PIL mondiale

(Sean Gallup/Getty Images)
(Sean Gallup/Getty Images)
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Il 30 novembre a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, è iniziata la 28esima conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, in breve COP28, la grande riunione internazionale che si tiene ogni anno in un paese diverso e che ha l’obiettivo di cercare di contrastare gli effetti del riscaldamento globale. Tra i vari temi oggetto di discussione ci sarà quello relativo ai sussidi pubblici per la ricerca, la produzione e il consumo dei combustibili fossili, quelli che causano le emissioni di gas serra che fanno aumentare le temperature dell’atmosfera: petrolio, gas e carbone.

Nonostante gli impegni formali per la tutela dell’ambiente che hanno preso nelle scorse riunioni, nei fatti i vari paesi continuano a finanziare il consumo e la produzione di energia da fonti fossili: secondo un rapporto del Fondo Monetario Internazionale, nel 2022 i sussidi ai combustibili fossili hanno raggiunto i 7mila miliardi di dollari, pari al 7,1 per cento del PIL mondiale. Anche l’Italia spende molto per i combustibili fossili: tra sussidi espliciti e impliciti (ci arriviamo) quest’anno dovrebbe superare i 42 miliardi di euro, il 2,2 per cento del PIL.

L’ammontare dei sussidi globali dello scorso anno è molto più alto della media degli anni precedenti, ed è la conseguenza delle numerose misure introdotte dai governi per contenere l’impatto dell’aumento dei prezzi dell’energia su famiglie e imprese.

Alla COP di quest’anno l’Unione Europea proporrà una riduzione dei sussidi pubblici, che comprendono sia finanziamenti per la ricerca di nuovi giacimenti e per lo sviluppo di tecnologie per sfruttarli, sia le iniziative per calmierare i prezzi di carburante ed energia nelle case. Questa proposta probabilmente sarà osteggiata dai paesi in via di sviluppo, che vorrebbero poter sfruttare i combustibili fossili per far crescere la propria economia come hanno fatto per decenni i paesi più sviluppati.

In generale i sussidi servono agli stati per promuovere alcuni tipi di comportamenti desiderabili: tramite i sussidi lo stato rende conveniente per le aziende produrre un certo bene e per i consumatori comprarlo. I sussidi per i combustibili fossili sono sempre al centro di grandi discussioni di carattere etico, perché con questi lo stato sta di fatto incentivando la produzione e il consumo di sostanze dannose per l’ambiente. Allo stesso tempo per smettere del tutto di usarli bisognerebbe cambiare radicalmente il funzionamento delle società, perché gran parte dei sistemi economici e sociali si basa ancora sull’uso di queste fonti di energia. Oltre all’improvviso aumento dei costi energetici, che causerebbe a catena l’aumento dei prezzi di praticamente tutto, non abbiamo ancora soluzioni su larga scala per i mezzi di trasporto.

I sussidi ai combustibili fossili si dividono in espliciti e impliciti. I sussidi espliciti sono solitamente di entità piuttosto contenuta. Sono tipicamente misure indirizzate direttamente al settore energetico e prevedono un effettivo esborso da parte dello stato per consentire la vendita di energia a un prezzo più basso di quello che il mercato richiederebbe: in questa categoria rientrano tipicamente quelli che sono serviti ai governi per calmierare il costo dell’energia durante la crisi energetica dello scorso anno. Per esempio in Italia li ha introdotti il governo di Mario Draghi nel 2021 e 2022 sotto forma di sconto sulle accise per i carburanti, che hanno nei fatti abbassato i prezzi alla pompa, e l’azzeramento di varie voci nelle bollette per compensare l’aumento del costo della materia prima.

Nel 2022 a livello globale questi sussidi sono quasi raddoppiati rispetto all’anno precedente, passando da 745,8 a 1.326,4 miliardi di dollari. Il Fondo Monetario Internazionale stima che diminuiranno già da quest’anno, man mano che i prezzi dell’energia torneranno più bassi.

I sussidi impliciti sono più grandi, ma più impercettibili. Comprendono tutti quei soldi che gli stati danno indirettamente al settore senza fare misure ad hoc, per esempio tramite l’applicazione di sconti fiscali. Ma il grosso dei sussidi impliciti sono le cosiddette esternalità, ovvero gli effetti negativi che i combustibili fossili generano sull’ambiente e sulla società, e che quindi rappresentano un costo per la collettività, sebbene appunto implicito: tra questi tipicamente rientrano i danni alla salute o gli effetti di congestione del traffico, per esempio. A livello mondiale sono stati pari a 5.710 miliardi di dollari nel 2022, in aumento rispetto ai 5.204 del 2021, e il Fondo Monetario Internazionale stima che possano ancora crescere negli anni a venire.

I sussidi, sia impliciti che espliciti, si distribuiscono in modo diverso tra le varie fonti fossili e per il trasporto dell’energia elettrica. Nel 2022 il più sussidiato è stato il petrolio insieme a tutti i prodotti derivati, che complessivamente ricevono il 47,2 per cento di tutti i sussidi. Poi c’è il carbone, che ne riceve il 30 per cento, e a seguire ci sono il gas naturale (18,3 per cento) e l’elettricità (4,5 per cento).

Non tutti i paesi del mondo elargiscono sussidi all’industria dei combustibili fossili in modo uguale. A livello assoluto è la Cina il paese che spende di più: nel 2022 è arrivata a 2.235 miliardi di dollari tra sussidi espliciti e impliciti, quasi un terzo di tutti i sussidi a livello mondiale. Seguono gli Stati Uniti con 757 miliardi erogati, il 10,8 per cento del totale, e la Russia con 421 miliardi, il 6 per cento del totale.

Il paragone però va fatto in relazione alla grandezza dell’economia dei paesi, ossia in proporzione al loro PIL. Cina, Stati Uniti e Russia non sono tra i paesi che destinano una quota maggiore a questi sussidi. I primi tre sono Algeria, Ucraina e Venezuela, che erogano sussidi rispettivamente per il 38,5, il 34,8 e il 32,6 per cento del loro PIL. Sia l’Algeria che il Venezuela sono paesi la cui economia si basa soprattutto sullo sfruttamento e sulle esportazioni di risorse energetiche, e tendono dunque a sussidiare parecchio il settore. Stessa cosa vale per paesi come l’Iran (27,2 per cento) e l’Arabia Saudita (27 per cento).

Cina, Stati Uniti e Russia, che destinano a questi sussidi più di tutti in termini assoluti, mostrano percentuali molto diverse tra loro: rispettivamente il 12,5, il 3,2 e il 23,6 per cento del PIL.

In questa lista l’Italia è in ventunesima posizione in termini assoluti, ma scende parecchio considerando la quota di PIL: nel 2022 i sussidi ai combustibili fossili sono stati 63,3 miliardi di dollari, il 2,8 per cento del suo PIL. Il 2022 è stato però un anno eccezionale, in cui il dato risente molto di tutte le misure introdotte dal governo per attutire gli effetti della crisi energetica su famiglie e imprese: sono stati più del doppio rispetto al 2021 (erano pari a 30 miliardi, l’1,4 per cento del PIL) e quattro volte rispetto al 2020 (quando erano 15 miliardi, lo 0,7 per cento del PIL). Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale scenderanno già da quest’anno, quando dovrebbero fermarsi a 46 miliardi di dollari, fino ad arrivare a 37 nel 2025.

Dei 46 miliardi di sussidi nel 2023, il 48 per cento finanzia quelli per il settore del gas, mentre il 52 per cento quelli dei carburanti, in particolare il gasolio. In Italia il gasolio è il carburante più usato a livello industriale e nei trasporti, e talvolta anche come combustibile per il riscaldamento. Per questi motivi ha sempre ricevuto un trattamento fiscale di favore e le accise, ossia le tasse che gravano su ogni litro di carburante venduto e che contribuiscono quindi a determinare il prezzo per il consumatore, sono inferiori rispetto a quelle sulla benzina – più usata invece per il trasporto privato.

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